Sanremo 2022, Ernesto Assante: “Un Festival della restaurazione”

di Ernesto Assante

Ha vinto chi meritava di vincere, ovvero Mahmood e Blanco, che avevano la canzone che meglio rappresenta la musica italiana di oggi, quella in grado di parlare al pubblico più ampio trattando l’amore con una libertà che Sanremo non aveva mai visto prima. Forse la canzone, “Brividi”, è ancora più avanti del Paese profondo; forse per arrivare davvero a vedere l’amore, la sessualità, liberi davvero, dovremo aspettare ancora, ma intanto Mahmood e Blanco hanno fatto salire a tutti, insieme, un gradino della scala, cantando l’amore, tutto l’amore, ogni amore, nella maniera più bella e credibile, e con quell’amore hanno vinto meritatamente il festival, cantando bene una canzone scritta in maniera originale.

Alla fine, come accade ogni anno, si inizia la prima puntata pensando che poche sono le canzoni che piacciono e poi, alla quinta serata il numero delle canzoni ‘apprezzabili’ cresce, sia perché alla fine più volte si ascoltano meglio, sia perché l’effetto tormentone funziona. Sanremo funziona così, anche e soprattutto negli ultimi anni, dove la quantità di ‘orrori’ è assai bassa e dove, come ha sottolineato Gino Castaldo durante la diretta, la musica è obiettivamente tornata al centro della scena, che piaccia o meno. 

Un bilancio di questo festival della ‘restaurazione’? Beh, è difficile criticare una formula che si è dimostrata clamorosamente vincente, e forse non ha nemmeno senso, perché alla fine Sanremo se non ha fatto solo bella musica ha certamente fatto bella televisione, distante anni luce da “Il cantante mascherato” o “Tale e quale show”; uno spettacolo equilibrato, sufficientemente elegante, certamente aperto a temi e argomenti importanti trattati in maniera bella e non ‘invasiva’, con grandi momenti di intrattenimento che non hanno, come è avvenuto in anni precedenti, prevaricato la musica.

Zalone e Saviano, Fiorello e Drusilla Foer, sono stati bene insieme sul palco dell’Ariston, senza note stonate, senza forzature, mostrando un Paese ‘normale’, bello, impegnato, solidale e allegro. Come hanno mostrato anche le canzoni. Non sarà la verità, ma ci piace credere che sia così.

Amadeus, ormai il vero ‘re’ della televisione italiana, con la sua tranquillità olimpica, non intrattenitore, non showman, non protagonista, è un bravo presentatore e una brava spalla, che potrà anche non brillare ma senza il quale è difficile immaginare uno show come questo, anche perché la musica, fino a prova contraria, l’ha scelta lui. L’ha scelta tutta lui? Lecito dubitarne, comunque, perché alcune presenze sono state certamente dettate da una richiesta di equilibrio rispetto alla rivoluzione dello scorso anno, sotto il segno della restaurazione, di una normalizzazione francamente eccessiva.

Qualcosa è rimasto della ‘scossa’ dello scorso anno, ma troppo poco, e questa è forse la maggiore nota critica da fare al Sanremo 2022. Sarebbe bastato un pizzico di coraggio in più per fare un capolavoro, anche se la media delle canzoni di quest’anno è stata sufficiente, anche se alcune punte di bellezza ci sono state. Il Sanremo dello scorso anno era la fotografia di una musica in movimento, quello di quest’anno ha invece offerto l’immagine di una musica che a muoversi fa fatica, che tutto rallenta, omogenizza e assorbe, che leviga le tensioni, toglie gli spigoli, rende tutto ‘accettabile’, ma allo stesso tempo toglie anche le idee nuove e le sorprese.

L’esemplificazione perfetta della restaurazione è stata Orietta Berti che ha canta la dance, difficile da sopportare da qualsiasi parte la si guardi, anche se volessimo vederla come un’operazione ironica, cosa che sicuramente non era. Restaurazione però è anche Dargen D’Amico, è Sangiovanni, è Tananai, è Aka 7even, tanto per citarne alcuni; è la musica ‘carina’, ‘divertente’, ‘piacevole’ ma nulla di più. A compensare la restaurazione ci sono stati Giovanni Truppi, splendidamente solitario nella sua canottiera, c’è stato Massimo Ranieri, solido, impegnato, poetico, ci sono stati Highsnob e Hu, nel loro piccolo bisogno di cura solidale, forse anche il divertimento di La Rappresentante di Lista, ma non è abbastanza per poter dire che il Festival ha tenuto conto di quello che in Italia si muove ancora, si muove davvero, ambisce ad essere non solo intrattenimento ma anche, in qualche modo, arte.

Ma davanti ai numeri, alle decine di milioni di spettatori, con punte da record, che Sanremo ha fatto registrare, ogni resistenza è vana; Amadeus e chi ha lavorato con lui hanno avuto ragione, facendo qualcosa che gli italiani, dopo due anni di vita difficile, difficilissima, hanno gradito. Quindi restaurazione, sì, ma anche nuovo inizio, nuovo sentimento collettivo, nuova voglia di cantare insieme. Speriamo che sia vero, che finita la settimana sanremese qualcuno capisca quello che è successo e ne tragga le conseguenze.

Un festival senza polemiche, senza tensioni, senza scontri, senza follie, senza eccessi, un festival ‘normale’ che è piaciuto a tutti: qualcosa vorrà pur dire.