Santa Maria del Cedro, depurazione: il Comune chiede l’intervento della procura di Paola

Pierpaolo Bruni

DEPURAZIONE: PARLIAMO DI COSE ” SERIE”… ALMENO PER NOI.

L’amministrazione comunale di Santa Maria del Cedro, la Giunta, i Consiglieri comunali di maggioranza, chiedono, per come già avvenuto “con più note”, alla Procura della Repubblica di Paola, di intervenire ed accertare la “reale funzionalità dei depuratori comunali presenti nei comuni ricadenti sull’alto tirreno cosentino”.

Non è infatti più accettabile che ogni anno nel periodo di maggiore presenza le acque del mar tirreno ” presentano chiazze maleodoranti”.
Si chiede con forza di accertare se “tutti gli immobili presenti nelle comunità siano o meno collegati alla rete fognaria”.
Si chiede di effettuare sopralluoghi nei pressi dei depuratori al fine di accertare eventuali sversamenti in mare o nei ” limitrofi canali “.
Lo abbiamo richiesto decine di volte anche alle autorità di Polizia competenti presenti sul territorio.
Non è giusto, non è corretto che il lavoro svolto da un Ente venga svilito da chi non ha a cuore l’ambiente e il territorio.
La cura del territorio, dell’ambiente per la nostra amministrazione costituisce il ” fulcro” dell’agire amministrativo.
I depuratori devono essere perfettamente funzionanti.
Sono anni che lottiamo contro “questa indifferenza”.
Soldi dei nostri contribuenti – e non solo – abbiamo investito per rendere sempre più efficiente l’impianto.
Si accertino le responsabilità ad iniziare dagli affidamenti. Dalla gestione. Dalle omissioni.
Da chi vuole impedire – accertandone le reali ragioni – la crescita delle comunità, ponendo in essere i già denunciati comportamenti OSTRUZIONISTICI che ledono un intero comprensorio.
SIAMO PRONTI A COSTITUIRCI IN GIUDIZIO NEI CONFRONTI DI QUEGLI ENTI CHE ” non rispettano la normativa in materia e arrecano danno alla NOSTRA comunità”.
Ps…. a giorni parleremo di rifiuti, isole ecologiche, stazioni di trasferenza, differenziata, raccolta, costi, e UBICAZIONE dei MEZZI utilizzati dopo la raccolta.


I principali sistemi di trattamento delle acque di rifiuto nel passato
Nel passato, quando le tecniche di depurazione moderne utilizzanti processi fisici, chimici e biologici non si conoscevano, le acque di rifiuto venivano trattate in maniera molto più semplice e meno efficace.
I principali sistemi, in uso ancora oggi laddove non c’è collegamento con la rete fognaria o il depuratore, sono il pozzo nero, la fossa settica e la fossa Imhoff.

Il pozzo nero
Il pozzo nero è un sistema rudimentale usato per la depurazione dei reflui; si tratta sostanzialmente di una grossa buca destinata alla raccolta delle deiezioni dotata soltanto della condotta di afflusso: i liquami si disperdono nel terreno mentre la parte solida si accumula richiedendo un regolare svuotamento periodico.

La fossa settica
La fossa settica è apparsa per la prima volta in Francia nel 1871 grazie al suo ideatore Jean Louis Mourras. Si tratta di un serbatoio sotterraneo con dimensioni tali da consentire la stagnazione del refluo per un adeguato periodo di tempo, tale da far affondare i sedimenti solidi e separarli dall’acqua. A differenza del pozzo nero le fosse settiche sono dotate anche di una tubazione per l’emissione dell’effluente, acqua chiarificata che può essere utilizzata come subirrigazione o scaricata o in un corpo idrico se la fognatura è inesistente. Queste fosse non contengono elementi chimici né biologici per dissolvere i solidi, che degradano naturalmente nel serbatoio.

La fossa Imhoff
La fossa Imhoff (o fossa biologica) è stata realizzata 1904, grazie agli studi dell’omonimo tecnico tedesco. Si tratta di un’evoluzione della fossa settica in quanto il liquido e i fanghi sono mantenuti separati, per cui oltre alla sedimentazione ha luogo anche la digestione biologica (anaerobica) dei fanghi. L’effluente in uscita è di migliore qualità.

Le acque di rifiuto in Italia
A partire dagli anni ‘70 la depurazione delle acque di rifiuto è stata affrontata con particolare attenzione. In Italia la Legge n. 319 del 1976, nota come legge Merli, ha stabilito le concentrazioni limite per alcuni parametri al fine di determinare le caratteristiche di un’acqua di scarico. Oggi la norma di riferimento è il D.Lgs 3 aprile 2006 n.152 “Norme in materia ambientale”, oltre a varie disposizioni di carattere regionale che tengono conto delle specificità di un territorio. Per esempio per i depuratori che scaricano in mare vengono stabilite le condizioni impiantistiche, relative alla lunghezza e alla profondità della condotta, per garantire la qualità delle acque di balneazione; se lo scarico avviene in un torrente o in un lago le disposizioni saranno necessariamente diverse.

Cosa c’è nelle acque di scarico
Prima di essere depurate le acque di scarico contengono una serie di contaminanti ad elevato impatto ambientale:
solidi sospesi, che possono depositarsi sul fondo creando uno strato melmoso;
sostanze organiche che sottraggono ossigeno dal corpo idrico in cui sono scaricate;
ammoniaca e idrogeno solforato, tossici per gli organismi acquatici;
composti del fosforo e dell’azoto, che possono favorire la crescita di alghe;
tensioattivi, sono tossici per gli animali acquatici;
batteri patogeni che possono diffondere epidemie.
Tutte queste sostanze possono essere ridotte in concentrazione con adeguati trattamenti, che differiscono a seconda del grado di inquinamento del refluo, dal luogo dello scarico e dall’eventuale riutilizzo delle acque.

Come funziona lo smaltimento delle acque reflue
Una filiera standard può prevedere i seguenti passaggi:
separazione di materiali galleggianti e in sospensione; separazione e rimozione di sostanze disciolte; trasformazione di sostanze biodegradabili; disinfezione da microrganismi;
smaltimento dei liquami e dei fanghi trattamento dell’aria

Trattamenti primari
La depurazione delle acque reflue generalmente ha due tipi di trattamenti in continuo. Il primo è quello cosiddetto dei “trattamenti primari” ed è caratterizzato da:
grigliatura (trattenimento dei solidi più grossolani);
dissabbiatura (separazione dei solidi sospesi sedimentabili);
disoleatura (separazione degli oli e dei grassi presenti);
areazione (immissione di aria in appositi bacini allo scopo di ossidare l’idrogeno solforato).

Trattamenti secondari
I “trattamenti secondari” prevedono:
ossidazione biologica (degradazione di sostanze organiche operata da batteri) a fanghi attivi; sedimentazione secondaria (separazione dal liquame depurato della biomassa formatasi con il trattamento biologico); in alternativa al sedimentatore secondario possono essere utilizzate membrane per ultrafiltrazione, che consentono di contenere notevolmente gli spazi di trattamento e di raggiungere eccellenti qualità dell’acqua in uscita dall’impianto.