Sardegna, Meloni è agitata: “Truzzu, vinci?”. La lite con Salvini tra finzione e facciata

(DI GIACOMO SALVINI – ilfattoquotidiano.it) – Inviato a Cagliari. A Cagliari Giorgia Meloni doveva risolvere due grane: quella di Matteo Salvini che fa le bizze sul terzo mandato per i presidenti di Regione e quella di Paolo Truzzu, suo candidato in Sardegna che non è più così sicuro di vincere alle elezioni di domenica. Alle 19.50, quando si imbarca per tornare a Roma, la premier non ha risolto né l’una né l’altra: con il leghista il chiarimento tanto atteso non c’è e le divisioni restano nonostante un teso faccia a faccia nel retropalco; sulle elezioni alla premier resta ancora il brivido finale di un risultato inaspettato con scossoni sul governo.

Il comizio alla Fiera di Cagliari quindi si gioca su due livelli: il palco e il retropalco. Finzione e facciata. Davanti a 3.500 persone, tra cui molte truppe cammellate con pullman organizzati da ogni provincia della Sardegna, Meloni, Salvini e Antonio Tajani si mostrano uniti. “I giornaloni non ci faranno litigare, io e Giorgia siamo amici”, dice il leghista. “Non stiamo insieme per costrizione: ognuno con le sue specificità anche se ogni tanto discutiamo. Staremo insieme 5 anni”, aggiunge la leader di FdI. Ma, dopo essersi a malapena salutati sull’aereo per Cagliari, è dietro il palco che i due si parlano: cinque minuti di faccia a faccia in cui affrontano anche il tema del terzo mandato per i governatori. Non si chiariscono. Ognuno resta della propria opinione. Oggi, forse, si vota l’emendamento leghista in commissione con spaccatura certa della maggioranza. Si proverà a rinviare. Lei ha chiesto a Salvini di non essere ambiguo su Navalny alla vigilia del G7.

Il comizio invece si gioca tutto sul vittimismo e l’attacco all’avversaria Todde. Tutti e tre sfidano il centrosinistra sull’antifascismo professato dalla candidata del M5S. “Dirsi antifascista nel 2024 non è possibile”, spiega il vicepremier del Carroccio. Tajani elogia la Brigata Sassari e aggiunge una smorfia: “Non mi vedo in camicia nera, fez e manganello”. Anche Meloni non si lascia perdere la battuta citando l’intervista di Todde al Fatto: “Vuole vincere solo per l’antifascismo? Un programma concreto e innovativo…”, ironizza.

Tutti e tre più volte attaccano il centrosinistra e la sua candidata. Salvini prova ad appropriarsi pure di Enrico Berlinguer: “Il suo Pci era una cosa seria, mica la sinistra di oggi”. Meloni aggiunge in romanesco: “Il campo largo? Ma che è? Un campo di calcio? A Roma non si salutano e in Sardegna nemmeno. I sardi non se lo meritano”. E giù applausi. Il timore del ribaltone però c’è. Gli ultimi sondaggi in mano a FdI danno Truzzu avanti di 4-5 punti su Todde. Non abbastanza. Il timore è il voto disgiunto del Partito Sardo d’Azione: sostenere la lista e votare per Renato Soru, la scheggia impazzita. “Se l’ex presidente della Regione scende sotto il 10% rischia di toglierci voti”, spiega il meloniano Deidda.

Anche perché Truzzu non è proprio un trascinatore di folle. È il primo a parlare ma non scalda i leghisti presenti. Pochi applausi e la richiesta di “cercare i voti casa per casa”. Tant’è che arriva addirittura a fare un sondaggio su quanti domenica andranno a votare centrodestra e Truzzu: tutti alzano la mano. Dietro al palco però Meloni gli chiede: “Ma vinci?”. Stessa richiesta di Giovanni Donzelli. Lui prova a ostentare tranquillità. Anche a Cagliari cinque anni fa c’era più di un dubbio, poi è andata bene. La premier spera che andrà così anche stavolta. “I sondaggi ci danno in testa, il peggiore che ho visto mi dà tre punti avanti”, spiega Truzzu alla fine dell’evento. Il comizio fila via con qualche momento straniante. Salvini ricorda il processo Open Arms e allarga le braccia: “Se volete arrestarmi, sono qui”. Aggiunge che “la droga è una merda”. Meloni gioca sul solito vittimismo in romanesco: “Ogni giorno ci dicono: ‘il governo sta per cadere, sta per cadere. Poi se svejano”. Scherza sulle riforme: “Se le approvo, poi me ne vado…”. Parte l’inno di Mameli. Salvini e Meloni se ne vanno, senza salutarsi.