Scontri a Matera: non ci sono né buoni né cattivi

Si sa che nel mondo ed in ogni città esistono i buoni e i cattivi. Il bene e il male. Lo Yin e lo Yang. Ma non tutti sanno che esiste un posto, o meglio un luogo, dove non ci sono né buoni né cattivi.  E non è il mondo delle favole. Ma un pezzo di cemento che fa da contorno al famoso rettangolo di gioco: lo stadio. Un luogo abitato da chi ha deciso di abbracciare una fede ed un ideale che va al di là della semplice partita di calcio e che diventa per tanti uno stile di vita: il mondo Ultrà. Ciò che caratterizza l’ultrà è la mentalità. Un modo di pensare anticonformista che inevitabilmente lo pone in contrapposizione col potere costituito. Non esiste ultrà al mondo che non contesti lo status quo, in un modo o nell’altro.

Chi decide di vivere questa esperienza parte sempre da questo assunto: cultura, mentalità, ribellione. I colori sociali della squadra e la fede calcistica, in questo contesto, diventano una sorta di collante sociale che unisce, trasversalmente, uomini e donne in un gruppo. Il Gruppo. L’unità base di ogni curva. Il cuore pulsante del tifo. La rappresentazione della società in ogni suo spaccato. E per quanto si dica che tale esperienza sia finita da tempo, persiste ancora nelle curve la voglia di lottare e non arrendersi ad un potere che vorrebbe confinare, se non cancellare, una storica esperienza di dissenso che spesso e volentieri ha svelato l’arroganza di un sistema corrotto. Ed è per questo che da tempo è in atto una vera e propria lotta di resistenza Ultrà. Il potere ha fatto di tutto per stroncare una realtà che in alcuni momenti si è rivelata una vera e propria forza di contrapposizione. Daspo, denunce, diffide, carcere: queste le risposte. Un repressione senza precedenti che ha creato anche screzi ed incomprensioni tra gli stessi ultrà. Un modo per spaccare i gruppi e creare problemi all’interno delle curve.

Se questo è lo stile di vita ultrà, allora è chiaro che nessuno che abbracci questa fede può dirsi buono o cattivo. La ribellione è intrinseca alla fede ultrà. E la curva azzera ogni differenza: tutti fratelli uniti nella lotta accomunati dallo stesso destino.

Ma il potere, si sa, non ammette “critiche”. Ed ha messo in atto, attraverso trappole, traggiri ed infamità, una serie di azioni volte a spaccare e a dividere la forza dei gruppi ultrà. Divisi e in guerra tra di loro sono più controllabili. E’ questo l’infame disegno che ha causato problemi a curve storiche come quella del Cosenza.

Non dovrei essere io a parlarne perché non ho né la storia né l’esperienza ultrà. Tuttavia in quel piccolo pezzo di cemento anche io ho fatto le mie piccole esperienze in tempi passati. E se Cosenza ha vissuto momenti di “gloria” e di emancipazione, lo si deve proprio a loro: gli ultrà, tutti.

Una gradinata che ha fatto la storia del tifo organizzato in Italia. Una mentalità che ha coinvolto intere generazioni, trasversalmente, rendendo lo stadio un luogo sociale prima ancora che un luogo sportivo. E’ grazie ai gruppi organizzati della Sud, alla loro creatività, al loro senso critico, alla loro capacità di fare “squadra” che Cosenza è diventata una piazza importante nel mondo ultrà. Ed è per questo che la repressione si è scatenata ed è “partita” proprio da Cosenza. Da via Popilia a Cosenza vecchia passando per tutti i quartieri della città si era creata una condivisone ed una fratellanza che ha fatto paura al sistema corrotto.

Quello che è successo a Matera è solo la conseguenza di una repressione che mira a spaccare i gruppi per poi adottare provvedimenti speciali nei loro confronti. Un modo “sbrigativo” per porre fine a questa esperienza che non merita questo.

Le scazzottate fanno parte del “gioco”, succedono. E vanno ricondotte ad uno scontro ultrà. E possono avvenire anche tra fratelli. Di sicuro molti, meglio di me, ricorderanno decine e decine di questi episodi. Certo, sarebbe meglio non avvenissero tra fratelli, ma la situazione è precipitata. E le responsabilità non stanno solo da una parte. Questo deve essere chiaro. Non c’è in questa storia un buono e un cattivo. Ma solo ultrà. Che nel bene o nel male si incontrano o si scontrano. E questo chi pratica da anni le curve lo sa. Chiunque proponga una lettura tra buoni e cattivi, in fondo vuol dire che non ha mai avuto un’ anima ultrà. In questa storia non c’è una ragione che prevale sull’altra, ma solo l’incomprensione dovuta più a pregressi mai chiariti tra persone e gruppi che a una ferma volontà di rottura. Poiché è chiaro che lo specifico problema non nasce a Matera (caso mai lì muore).

Questa pseudo spaccatura ha origini lontane dettate da motivazioni flebili e che in molti hanno volutamente ignorato senza prendere mai alcuna posizione (almeno pubblicamente!), consentendo uno scempio quotidiano che ha portato all’inevitabile scontro di Matera. Inevitabile… ma davvero quella rissa era inevitabile? Davvero la spaccatura era inevitabile? Davvero chi aveva l’autorità e l’autorevolezza di fare qualcosa ha cercato di ricompattare l’ambiente piuttosto che foraggiare una divisione voluta realmente da pochissimi individui? E’ questo quello che mi chiedo.

Perciò additare presunti violenti altro non fa che alimentare la repressione che trova spazio in questi episodi per concretizzarsi ancora di più. Non bisogna cadere in queste trappole. Bisogna recuperare lo spirito del passato e capire che il nemico non siede tra di noi in curva, ma spesso indossa una divisa.

Mi scuso con tutti gli ultrà per questo mio intervento perché sono la persona meno adatta a parlare di loro, non vivendo la curva, ma sentivo il bisogno di dire ciò, perché credo sia ancora possibile ritornare sui propri passi e non darla vinta a chi ci vuole divisi e in lotta. Se responsabilità ci sono, secondo me, come ho già detto, vanno ricercate ripercorrendo la gloriosa storia degli Ultrà Cosenza. E sono sicuro che tutti oggi sentono il bisogno di questa riflessione. Come sono sicuro che gli ultrà, comunque vada, saranno sempre lì, sugli spalti a metterci faccia e fedina penale. Sapranno tutti gli altri protagonisti fare lo stesso?

GdD