Scopelliti e la sua “Reggio da bere”: fine della corsa

Da sinistra: Antonio Caridi (di spalle), Peppe Scopelliti e Alberto Sarra

Peppe Scopelliti ha perso la sua battaglia giudiziaria. Anche la Cassazione, con sentenza definitiva, lo ha riconosciuto colpevole dello sfascio delle finanze del Comune di Reggio Calabria. E condannato a 4 anni e 7 mesi.

Ad avviso dei suoi stessi legali, avendo una condanna superiore ai 4 anni, non potrà chiedere l’affidamento ai servizi sociali ma “dovrà costituirsi” e quindi andare in carcere. E’ possibile chiedere l’affidamento solo quando la condanna da scontare è inferiore ai quattro anni. Con questa decisione la Suprema Corte ha sostanzialmente confermato il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria il 22 dicembre 2016 che aveva ridotto da 6 a 5 anni la condanna per l’ex sindaco.

La vicenda giudiziaria si è occupata delle irregolarità nei bilanci comunali dal 2008 al 2010: dagli accertamenti degli ispettori del ministero della Finanze è stato rilevato un disavanzo che sarebbe stato di circa 170 milioni di euro. L’inchiesta reggina era stata avviata allora per l’autoliquidazione di parcelle esose da parte dell’ex dirigente dell’ufficio finanza del comune di Reggio, Orsola Fallara, poi suicidatasi drammaticamente nel 2010 con l’acido muriatico. La decisione della Suprema Corte, presieduta da Maurizio Fumo ha tenuto conto delle richieste fatte dal sostituto procuratore generale Antonio Salzano. Per Scopelliti, dopo la prescrizione dell’abuso d’ufficio, è rimasta in vita l’accusa di falso ideologico che con la circostanza aggravante, fin nelle fasi di merito, aveva portato all’emissione di una condanna ‘pesante’ rispetto al tipo di reato. Il comune di Reggio per rientrare del disavanzo ha dovuto varare un piano di rientro trentennale. Scopelliti in Cassazione è stato difeso dagli avvocati Franco Coppi e Angelo Giarda.

Su tutta la vicenda giudiziaria, ecco l’articolo de Il Fatto Quotidiano.

di Lucio Musolino

L’inchiesta sullo sfascio economico di Reggio Calabria

L’inchiesta sul “Caso Fallara” ha travolto Scopelliti, per lungo tempo il simbolo di quella “Reggio da bere” che, però, ha portato al tracollo finanziario del Comune. Un tracollo che, evidentemente, era il prezzo di una città usata come trampolino di lancio per la carriera dall’ex “balilla” del Movimento sociale italiano, poi pupillo in terra calabra di Silvio Berlusconi e, dopo ancora, azionista di maggioranza del Nuovo Centrodestra con il quale si è candidato all’Europee del 2014 non riuscendo ad essere eletto. Una bocciatura delle urne che lo ha allontanato anche da Angelino Alfano, aprendogli la strada che porta a Francesco Storace e al suo Movimento nazionale per la Sovranità che, alle ultime politiche del 4 marzo, in Calabria ha sostenuto la Lega di Matteo Salvini.

La Cassazione ha messo il sigillo all’inchiesta dei pm Sara Ombra e Francesco Tripodi (non più in servizio a Reggio) secondo cui l’ex sindaco Scopelliti è ritenuto il principale responsabile dello sfascio economico della città. “La situazione finanziaria del Comune di Reggio Calabria era nota nei minimi dettagli” aveva detto in aula il sostituto procuratore Ombra durante la requisitoria. Nel febbraio 2014 fornì al Tribunale una rappresentazione plastica dei disastri lasciati nelle casse del Comune dall’amministrazione Scopelliti, bacchettata prima ancora che dai giudici penali anche da quelli contabili: “Ci sono state almeno 3 o 4 deliberazioni della Corte dei Conti che attestano come i bilanci del Comune erano falsi. Che quei bilanci erano falsi era evidente”.

Non si pagavano le bollette dell’Enel, i debiti nei confronti delle società partecipate, quelli di fronte al commissario per l’emergenza rifiuti. Per la Procura non sono stati pagati finanche 20 milioni di trattenute Irpef. Fatti che, secondo il pm Ombra, non possono “essere messi in discussione. C’era una situazione disastrosa. – è sempre la requisitoria del processo di primo grado –. I bilanci erano frutto di artifici contabili e di falsità perché non rappresentavano quello che c’era nella realtà. Tutti ne erano consapevoli e i revisori dei conti hanno sistematicamente omesso di dire la verità.
Due primati ha questo Comune: dissesto finanziario e infiltrazione mafiosa”. La Suprema corte ha anche rigettato il ricorso anche dei revisori dei conti Carmelo Stracuzzi, Domenico D’Amico e Ruggero Ettore De Medici che sono stati così condannati definitivamente a 2 anni e 4 mesi di reclusione. Per i magistrati, in sostanza, a Palazzo San Giorgio c’era una vera e propria dittatura della dirigente Orsola Fallara, morta nel 2010 per aver misteriosamente ingerito dell’acido a distanza di poche ore da una conferenza stampa. In quell’incontro con i giornalisti, indetto subito dopo l’avvio dell’inchiesta da parte della Procura, la consulente del Comune si era dichiarata disponibile a fornire tutte le spiegazioni ai pm ma non ha fatto in tempo.

La sentenza di primo grado e la morte di Orsola Fallara

La Fallara – si legge nella sentenza di primo grado – “era una perfetta esecutrice di direttive precise che provenivano dal sindaco Scopelliti, che, tramite lei, ha creato un sistema accentrato su se stesso esautorando di fatto tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarlo”. Orsola Fallara era la responsabile del settore Finanze nominata da Scopelliti senza un concorso. Era il motore del “sistema” del sindaco e, oltre ai misteri sulla sua fine orribile, ha lasciato un bilancio che per gli inquirenti è stato segnato da “un quadro di irregolarità enorme”, un “buco” da centinaia di milioni di euro costruito mentre Reggio diventava una “città cartolina” dove si spendevano soldi per iniziative allegre: 50mila euro alla New Art Gallery per una conferenza stampa di presentazione delle statue “Rabarama”, costate 600mila euro, altri 252mila per finanziare Rtl.

Sono gli anni della “Reggio da bere” in cui in riva allo Stretto arriva anche il concerto di Elton John, organizzato dall’amico promoter Ruggero Pegna, nel 2010 candidato alla Regione in una lista a sostegno di Scopelliti. Risultato: stadio semivuoto e 360mila euro di soldi pubblici in fumo.

Altri 650mila euro sono serviti per la Notte bianca del 2006 quando per avere Lele Mora e i suoi guitti da Grande Fratello, Scopelliti fece versare dal Comune 120mila euro raccomandandosi addirittura a Paolo Martino, il referente della cosca De Stefano a Milano, perché intercedesse con il manager dei vip. Favori, contributi e consulenze esterne come quelle date a 75 avvocati che si sono spartiti 777 pratiche in barba a un ufficio legale per il quale il Comune pagava comunque gli stipendi.

Scopelliti indagato anche nell’inchiesra MammaSantissima

Gli avvocati di Scopelliti hanno sempre sostenuto che “il sindaco atti di gestione non ne compie, perché lui fa il politico”. “Però – era stata la risposta del pm Sara Ombra – quando si tratta di dare contributi elettorali, li fa gli atti di gestione”. Con la sentenza di oggi, i giudici del Palazzaccio chiudono definitivamente il “caso Fallara” e il processo sui disastri lasciati nei bilanci del Comune di Reggio Calabria dalle giunte guidate da Giuseppe Scopelliti che, dal 2004, vive sotto scorta. Gliel’aveva assegnata la prefettura che non l’ha revocata nemmeno dopo la perquisizione che l’ex sindaco ha subito nel 2016 perché indagato nell’inchiesta antimafia “MammaSantissima”. Per la Dda è stato il “pupo” nelle mani dell’avvocato Paolo Romeo, l’ex parlamentare del Psdi ritenuto una delle due teste pensanti della ‘ndrangheta reggina.

Sarebbe stato Paolo Romeo, assieme alla componente segreta della ‘ndrangheta, ad aver deciso nel 2002 che Scopelliti avrebbe fatto il sindaco affiancandogli assessori come il futuro senatore Antonio Caridi, scarcerato da pochi giorni dopo quasi due anni di carcere per reati di mafia. È imputato nel processo “Gotha” (nato da un’inchiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo) nel quale Giuseppe Scopelliti è indagato per reato connesso. Ma questa è un’altra storia. Non completamente slegata.