The Run Zone: Manu Chao

Nel 2001 avevo 17 anni e quel luglio faceva caldo bestiale. Cosenza bruciava, le scarpe si attaccavano quasi all’asfalto, ma in compenso  tutte le signorine decisero di svestirsi per combattere il caldo e l’afa tremenda. In tv andavano in onda i classici servizi sul caldo e sulla sopravvivenza degli anziani alternate alle news del calciomercato. Ricordo Paolo Bargiggia, ma non solo lui, però in ogni caso guardatelo adesso Bargiggia, giusto per fare un confronto. In quel caldissimo luglio però, si teneva anche il g8 a Genova, e quei giorni forse sono stati quelli che ricordo con maggiore chiarezza. Ricordo la gioia e il dolore di quei giorni. Ricordo i colori e il nero delle barricate, ricordo il coraggio e l’infamia, ricordo che un altro mondo doveva essere possibile, ricordo della morte di un ragazzo. Quando davanti alla tv, mentre prendevo qualcosa di fresco dal frigo, mia madre disse “Hanno ammazzato qualcuno, hanno ammazzato un ragazzo, era un manifestante”, compresi che la storia stava per essere tristemente scritta.

Quel giorno a Genova morì Carlo Giuliani, e con lui forse anche la voglia di cambiamento di quella generazione. Le immagini del serpentone del Carlini, la dignità del corteo, le cariche, via Tolemaide, Bolzaneto, La Diaz, tutte scolpite nella memoria.

C’era la musica però, quella non venne sconfitta, non bastarono i tonfa e i blindati, nessuno riuscì a zittire quella voce che esplose di gioia e che cantò anche la morte. Manu Chao era lì, non solo per il concertone prima dell’inizio del vertice, ma anche per partecipare alla marcia della dignità contro i potenti del mondo. Con lui anche un giovane e sempre rubicondo Roy Paci mentre intonava “Bella Ciao” con la sua Tromba. Ascoltavo punk e affini in quel periodo adolescenziale mentre, dietro l’angolo, sarebbero arrivate maggiore età e responsabilità. Insomma all’epoca, Manu Chao non me lo filavo più di tanto, neanche adesso, però conservo un vivido rispetto per i Manonegra, ma questa è un altra storia.

Partiamo da Cosenza alle 11,30,  ci tengo a precisare che i nomi dei miei compagni di viaggio verranno sostituiti per ovvi motivi. Io, il Collega e PierSilvio stiamo andando in Sila, Camigliatello, dove sembra riviva un po’ il mito alteromondista del G8 con la prima data di sempre del Desaparecido nella nostra Calabria. Fa caldo e la statale sembra non essere troppo trafficata.

Nel giro di poche sigarette siamo a Celico, dove purtroppo la strada è interrotta per una vettura in fiamme. Rimango a guardare per un po’ incuriosito con i miei compagni di viaggio fino alle prime esplosioni, poi decidiamo di levarci di culo e fare il giro. Arriviamo a San Pietro, per proseguire su via Redipiano e ritrovare la statale più su. Con noi un signore in una ritmo grigia, che fedelmente ci seguirà nel tortuoso tragitto. PierSilvio ha caldo, beve una Peroni per stare meglio mentre il collega ammira i muschi e licheni del cacchio che troviamo sulla strada. Non sono uno che capisce di alberi e betulle, nemmeno il collega, però entrambi siamo rapiti dalla fittissima vegetazione di queste stradine di montagna, strettissime e parzialmente asfaltate. Il nonnetto ci segue tenacemente, non molla dietro gli occhialoni spessi e appannati. Lo perderemo poco dopo, spingendolo volontariamente nella direzione opposta, odio i tipi appiccicosi. La sfiga vuole che sulla statale ci siano lavori, e, forse anche per il colpo basso sferrato al matusa, rimaniamo 25 minuti imbottigliati.

La comunicabilità e l’empatia inizia a salire vertiginosamente, si parla e si beve qualche birra, poi, presi benissimo anche dall’arietta sempre più fresca, decidiamo di chiudere i finestrini e iniziare a fumare. Le gente a Cosenza, quanto conosce Manu Chao?? E i Manonegra?? Sopratutto quante canzoni sanno cantare nel loro spagnolo approssimativo?? E i Clash?? Il concetto di World music?? Me la passi?? Hai perso una scommessa solo per una x?? Ma che campionato??

Domande a cui non riusciamo a rispondere, siamo a Moccone. PierSilvio va coraggiosamente a recuperare i nostri accrediti, mentre intanto io e il collega prendiamo possesso dei nostri  giacigli in una confortevole camera in casa di amici. Il collega per motivi che non stiamo qui a spiegare passerà la notte sul divano in coabitazione.

MANU-CHAO-SILA-2

La Sila è un posto in cui lo spirito si rigenera, non solo per il fresco e l’aria buona, ma sopratutto per il cibo e tutto ciò che di bello questo angolo di mondo sa offrire. Chiaramente è anche pallosissima se si vuole girare per bar bevendo  mojito e importunare donne sole. Tranne se non vi piacciono le sessantenni. “Non è un paese per giovani”, ma come la Calabria del resto, così lontana da poter accogliere orde di giovani, pronti a portare i loro soldi e la loro voglia di cazzare la gomera. Mancano le strutture dicono, ma alla fine questo concerto, come molti altri, potrebbe portare sempre più risorse e vita in posti come questi.

Devo raggiungere PierSilvio, ma il posto è a 7 km circa e io sono a piedi, prendo la navetta.  Per arrivare nell’aria concerti i signori della mozzarella fanno pagare quattro euro il viaggio d’andata, aggiungendo anche due euro da dare al ritorno alla fine del concerto. “Sei euro??? Bah un pò altino il costo del servizio, se per migliaia di persone abbiamo solo due navette da 15 eh!!!!.”Riesco a rincretinire il tipo alla cassa, che mi da due tagliandi e vendo a tre euro il tagliando al collega. Partiamo, saremo almeno ventotto. Il bel paesaggio della strada che porta a Molarotta, viene interrotto qua e là da posti di blocco, unità cinofile, guardie eco zoologiche, gendarmi di ogni sorta. Appena scesi dalla navetta rieccoci dentro al sogno alteromondista.

I freak non sembrano essere morti, qui oggi sembra proprio una rimpatriata in stile folkabbestia. Non mancano né i pantaloni copri divano di vostra nonna e nemmeno le camicie militari crucche con annesso cappelletto cubano rigorosamente verde militare. Ricompaiono anche le magliette del Che classiche su base rossa e delle EZLN. Sono scosso. Mi trovo nel bel mezzo di quelle generazioni, tanto bistrattate in gioventù, con i mono dread e le cartelle con le toppe degli Ska-p, le scarpe da skate modello panzer e i jeans strabaggy ormai usurati. Respiro a pieno il discreto fascino del comunismo da collina, condendolo con qualche spezia e il classicissimo vino in plastica da arrembaggio palco.

Proprio nel mezzo di questa colorata e sfatta moltitudine di pirati, mentre il vino stava facendo il suo dovere, impazza fra gli astanti la notizia della presenza di cani e unità cinofile all’ ingresso dei cancelli. Il panico si diffonde velocemente. Dopo poco inizia il rito collettivo del fumarsi tutto prima di entrare per paura di essere aggrediti da un pastore tedesco da 40 chili. Mica male. Il sole picchia forte, il caldo mi avvolge, ho perso sia Piersilvio che il collega, ma nel mentre l’odore del’ hascisc copertonato di mescola a quello campagnolo e acre della marijuana di primo taglio.

Pare che non ci sia marijuana in città, non so perché. So solo che qui la vorrebbero un pò tutti. Se lo sapesse Manu, ma non siamo in Messico, quindi la gente si dovrà accontentare.

Siamo dentro, e il colpo d’occhio non è niente male. E’ sicuramente un evento importante, ben organizzato, anche dal punto di vista della logistica, escluso le navette ovviamente. Mi mescolo fra la folla, un po’ alticcio e scomposto, come quando da piccoli ci si mescolava ai concerti della festa della musica. Mi sento vecchio e un po’ bambino allo stesso tempo. Il tempo scorre veloce fra una birra e l’altra, e la cosa che mi salta subito all’occhio è come la nostra povera regione, con tutti i suoi problemi, possa esprimere tanta socialità e condivisione. Giovani e meno giovani si mescolano automaticamente, da ogni parte della Calabria. Cosentini, Catanzaresi, i ragazzi della provincia, quella provincia non meccanica ma ancora fuori dalla seconda rivoluzione industriale. L’alcool aiuta a cantare, a ballare e a star bene.

E’ morto Marulla, ma non il suo ricordo. Seguiranno 50 minuti dello stesso coro in suo onore, sono della partita, perdo la voce. 

Il buio sembra essere arrivato mentre si avvicina l’inizio. Il fatto che la Sila suona beh però non mi convince, siamo tutti regrediti a pecore?? Quanto c’è di bucolico in tutto questo?? Probabilmente molto, però non è momento di riflettere, inizia il concerto.

Non vi tedierò con la cronaca pedissequa dell’evento. In generale il vecchio Manu ancora dimostra di avere le carte in regola per una buona prestazione, anche se chi l’anno prima aveva visto il suo concerto in Salento, affermerà che poteva dare di più. Quasi tre ore di show però non sono cosa da poco. Il repertorio è quello classico, usuale e sembra anche che il tempo sia tornato ai primi del 2000. La folla è festante, presa bene e colorita.

Eccomi. Nel mezzo di questo caos sono fra il tramortito e lo stanco. Mi arriva addosso di tutto, dal vino alle sigarette, gente che cade mentre “ King of the bongo” impazza, insomma tutti sono catapultati in un modo tipicamente catalano. E’ il delirio. Una delle cose che rimarrà viva nella memoria collettiva è sicuramente il momento dei motivetti. Infatti mi trovo di fronte ad una serie di medley strumentali accompagnati da cori molto semplici che esaltano la platea. Pinocchio sarà forse il più suonato e, chiaramente, cantato da tutti  mentre agitano il vino pessimo delle loro bottiglie di plastica. Mi innervosisco e tento di uscire dalla bolgia di memoria collodiana. A fatica sono fuori, a fatica sono salvo. Non penso a niente per un po’, fumo un paio di Marlboro lights.

Ma i Manonegra?? Fortunatamente c’è il tempo di fare anche qualche canzone dei mitici Manonegra. Parte il revival e anche io, per una volta nella serata mi dedico al ballo e al canto, parte “Malavida”, sono coinvolto, è un bel momento. E allora eccoli tutti quelli della generazione Genova, che continuano nonostante le circostanze delle loro vite ad essere anche loro un po’ “clandestini”, almeno per una notte.

Mi sono rotto e mi dirigo verso l’uscita. Becco il collega, che in pessime condizioni si accompagna al sottoscritto mentre cerchiamo una navetta. PierSilvio lo rivedrò qualche settimana dopo, non è dato sapere cosa gli sia successo. Ecco le navette, la ressa è già bella che pronta. Con  passo felpato mi spingo fino all’entrtata del bus e mentre tutti sono distratti sgattaiolo dentro il bus per primo, mentre la folla dietro di me spinge e protesta. Sono dentro e tutti iniziano a rumoreggiare. Mi arriva in mano una tennent’s, bevo e il bus parte. Sono lì solo e torno verso Camigliatello con una birra in mano, stanco, senza forze. In mente solo una domanda, un altro mondo è ancora possibile?? Non saprei, ma sicuramente sto tornando verso casa e potrò fare una dormita, ne ho un fottuto bisogno.

Fosco Salituro