Tirreno, la mafia “non esiste”: la banca, la clinica e tutti gli affari del clan Muto

RIASSUNTO DELLA PUNTATA PRECEDENTE

La mafia dalle nostre parti non c’è. Ma non è stata sconfitta, solo fatta “sparire” piano piano dai calabresi. Che cos’è la mafia? Chiedere un favore ad un amico che ha il parente al Comune per una pratica è mafia? Oppure a chi conosce il medico per una visita? E ringraziare per quel posticino ottenuto? Se non si facesse così il sistema si bloccherebbe. È la normalità, non è mafia.

Ecco: quando la mafia è tutto, tutto paradossalmente sparisce. Ci si abitua. A tutto prima o poi ci si abitua. Sembra normale, tutto uguale. Un modo per riuscire. Nemmeno più per paura o debolezza, semplicemente per assuefazione. Come dire: dopo un po’, se è ovunque, il cattivo odore non si sente più. E nemmeno indagini e arresti (Plinius I e II, Nuova Frontiera e 5 Lustri, tanto per fare degli esempi) scalfiscono perché si ha la certezza radicata che tanto le cose debbano andare comunque così.

Allora bisogna capire chi è e dov’è la mafia. Per poterla distinguere dal resto. Per riconoscerla. Per poter scegliere il suo contrario. Ecco che senso ha raccontare ancora di nuovo storie e vicende che non possono passare inosservate. Prendere consapevolezza.

Nella prima puntata abbiamo passato in rassegna le connivenze del clan Muto e dei sottoclan affiliati con lo stato deviato nella zona di Scalea per come ci è stato raccontato attraverso delicate indagini (http://www.iacchite.blog/tirreno-la-mafia-non-esiste-cosa-ci-insegnano-indagini-e-arresti/). Ora completiamo il quadro.

SECONDA PUNTATA

Seguendo il flusso del denaro, come suggeriva di fare il valoroso magistrato Borsellino, emerge anche il collegamento della criminalità con la BCC (Banca di Credito Cooperativo) del comune di Verbicaro. 

Arturo Riccetti

La Guardia di Finanza nel 2016 ha fatto irruzione negli uffici della banca sequestrando faldoni di documenti. Per 15 anni è stata governata sempre dagli stessi, poi nel 2014 all’elezione del nuovo presidente Arturo Riccetti (consigliere provinciale da sempre vicino alle posizioni politiche di Mario Oliverio) si sono verificati una serie di “intoppi”. Sostanzialmente sono stati erogati mutui e prestiti in favore di amministratori, loro familiari e società dove sono soci o svolgono la loro professione di amministratori. In particolare, dall’ordinanza dell’operazione Plinius inoltre emerge il collegamento dell’istituto con la criminalità di Scalea. E dall’ordinanza dell’operazione Frontiera si evince come riescano ad avere prestiti dalla BCC di Verbicaro società senza alcun tipo di garanzia, dove i consiglieri sono sindaci o commercialisti e hanno legami con la criminalità cetrarese ovvero con il clan Muto. Ad esempio il Gruppo Grisia, attivo nel settore delle costruzioni e non solo sull’Alto Tirreno Cosentino. L’imprenditore Grisia è cognato dell’avvocato Cristiani, legale ed amministratore incompatibile della BCC di Verbicaro, nonché nipote dell’ex parlamentare di Forza Italia Sandro Bergamo candidato a Scalea contro Licursi.

Don Magorno, don Matteo e don Silvestri

Giuseppe Silvestri ha un ruolo importante contemporaneamente nella banca e alla Rotondaro Costruzioni. Le società del Gruppo Mannarino con sede a Scalea, sono gestite nel ruolo di commercialista dal consigliere della BCC di Verbicaro Russo in società con lo stesso Mannarino. Ed infine Zito, altro personaggio importante della BCC, ha accresciuto nel tempo le sue proprietà mentre la Banca faceva concessioni ai Sollazzo (la famiglia dell’ex sindaco di Diamante), che divengono proprietari dell’Hotel Felix a Scalea, e ancora ad un’impresa di materiale edile a Santa Domenica Talao (il cui proprietario ora è stato arrestato). Frequentazioni e vicinanze quantomeno imbarazzanti. Il risultato è che la BCC di Verbicaro diventa un “colabrodo” e attira le attenzioni della Dda di Catanzaro ma anche della Dda di Reggio.

Il sindaco Sollazzo

Successivamente, l’indagine Nuova Frontiera fa emergere altri tentacoli dei Muto molto più lunghi. Gli interessi dei Muto si estendono fino a Sala Consilina questa volta tramite Vito Gallo – sempre con il solito Valente -, tra il 2013 ed il 2014, ai danni di un imprenditore salernitano, titolare di più supermercati del marchio Conad, per assicurare ai Muto la gestione della pescheria interna al Centro Commerciale di Sant’Arsenio (SA), oggetto anche di un attentato dinamitardo lo stesso giorno della sua inaugurazione.

Un fermo immagine del video nel quale sono ripresi i Muto e Mandaliti (tratto da miocomune.it)

Un’altra estorsione, nell’inverno 2015, portata a termine da Vito Gallo e Luigi Sarmiento, vede come vittima il titolare di un supermercato Conad di nuova apertura a Scalea, sempre per acquisire la gestione della pescheria interna. Tutte attività che servono a riciclare denaro sporco, operazione della quale si occupa secondo gli inquirenti Antonio Mandaliti, da Diamante, elemento di vertice della cosca Muto, attraverso l’impresa individuale fittiziamente intestata alla moglie Maria Iacovo, che fornisce le proprie prestazioni ai numerosissimi alberghi, ristoranti, resorts e villaggi turistici nel territorio criminalmente controllato dal sodalizio, imponendo contestualmente l’approvvigionamento di prodotti ittici presso l’impresa dei Muto, l’Eurofish di Andrea Orsino, genero del boss. Il monopolio dei Muto è così capillare da imporre quantità e qualità del pescato nonché prezzi di vendita. Anche da questo risulta evidente come l’economia di queste terre sia complessivamente drogata e permette ai proprietari di questi supermercati di fare una concorrenza sleale a prezzi bassissimi e con salari altrettanto bassi ai dipendenti.

Infine tra le attività in mano al clan Muto si annoverano anche i servizi di vigilanza e sicurezza di tutti i locali di intrattenimento della riviera. Tramite una serie fidata di imprenditori si definiva addirittura numero di addetti e costo delle loro prestazioni.

La vicinanza del clan Muto alla politica locale non è solo nel comune di Scalea, ma anche in quello di Diamante. Il collegamento questa volta è un noto esponente del Pd. Della vicinanza a Muto ha fatto un velato riferimento anche il consigliere regionale Giuseppe Aieta, il quale ha detto di “un’assidua frequentazione di un politico del Pd con un boss della sanità privata intestatario di cliniche per conto dei Muto”. Ora, questo politico – come tutti sanno e come più volte abbiamo scritto – non può che essere Ernesto Magorno (tra l’altro anche di nuovo sindaco di Diamante e parlamentare in carica…) il cui suocero Biagio Casella tra l’altro ha grossi interessi nel comune di Belvedere Marittimo dove ha realizzato la Galleria San Daniele e per il tramite del figlio gestisce il Conad nello stesso comune. Certo, il riferimento alla clinica privata (quella dei Tricarico a Belvedere fallita ma che stranamente non è finita a chi voleva don Magorno…), fa pensare anche a Madame Fifì, al secolo Enza Bruno Bossio, anche lei deputato in carica del Pd, la cui campagna elettorale del 2013 è stata finanziata anche da questa clinica. Ma anche in questo caso non è un mistero che siamo davanti a un personaggio che definire borderline è quasi un eufemismo. Tutto questo tourbillon di capitali e “pezzi grossi” nel privato è avvenuto mentre l’ospedale pubblico di Praia a Mare è stato declassato, riversando così tutto il bacino di utenza a Belvedere. Ma ora il meccanismo si è inceppato perché la Tricarico non è andata a finire nelle mani “giuste” e ci sono parecchie fibrillazioni, culminate con gli arresti di Pasquale, Ciro e Fabrizio Tricarico. 

Ovviamente tutte queste attività riciclano il denaro sporco proveniente dal narcotraffico, la cui piazza di spaccio maggiore – soprattutto d’estate – è nel comune di Praia a Mare. Da sempre il comune di Praia è terra di confino di camorristi (l’operazione Isola di Dino del 2012 lo ha messo in luce) e infatti molto materiale proviene da sodalizi con clan camorristici.

I Muto hanno addirittura messo a disposizione la loro forza e i loro capitali in collaborazioni con altri clan della ‘ndrangheta anche in operazioni più vaste come l’affondamento di circa 30 navi con rifiuti tossici, secondo le dichiarazioni del pentito Francesco Fonti, al largo delle coste di Praia, Amantea e Cetraro. Operazioni che coinvolgerebbero esponenti della ormai defunta DC e dei servizi segreti italiani.

Il quadro generale è più che allarmante, eppure non c’è ancora un’inchiesta complessiva che faccia pienamente luce su tutto questo groviglio. Dobbiamo rassegnarci o sperare che – prima o poi – riusciremo a trovare un giudice a Berlino?

2 – (fine)