Cosenza. Toghe e veleni, la guerra Luberto-Facciolla e il “tandem” col poliziotto Dodaro

Luberto

Il magistrato Vincenzo Luberto ne aveva fatto di strada nei quindici anni intercorsi tra il 2004 e il 2019. Poi, alla fine di quell’anno decisamente “horribilis” per lui, tutte le sue menzogne e i suoi trucchetti gli si sono – finalmente – rivoltati contro con un effetto boomerang. Ma non si può certamente dimenticare quello che è accaduto in quei quindici anni. E noi – e non solo noi – non lo abbiamo dimenticato. 

Nel 2002 Luberto era ancora sostituto procuratore a Cosenza ma proprio in quell’anno, grazie a un’inchiesta sull’usura ma soprattutto alle sue “entrature” nella Dda, è riuscito a farsi applicare alla distrettuale antimafia e a cominciare una scalata irresistibile.

Come tutti sappiamo, Luberto è arrivato fino all’incarico di procuratore aggiunto a Catanzaro. Ma in questi lunghi anni ha avuto responsabilità importanti nelle maggiori inchieste della DDA, specie in quelle riguardanti la provincia di Cosenza. Ma non solo, avendo diretto anche altre importanti attività come l’operazione contro il narcotraffico internazionale sfociata nel celeberrimo blitz del 2010. Eppure, era stato già scoperto nelle sue condotte furfantesche sotto la copertura della toga che indossa, dai magistrati inviati del Ministero della Giustizia (Otello Lupacchini e Donatella Cavatorti) che nel 2005 al culmine della loro inchiesta ne avevano chiesto all’allora ministro Mastella l’allontanamento per incompatibilità ambientale e funzionale, evidenziando che Luberto era solito sovrapporsi con le sue attività alle indagini di altri colleghi ed altri uffici con gravi danni e conseguenze sulle stesse e per avere compromesso il prestigio dell’ordine giudiziario. Quell’inchiesta, come tutti sappiamo, fu insabbiata da Mastella dietro fortissima pressione di Ennio Morrone, all’epoca parlamentare dell’Udeur e da sempre sodale e probabilmente anche “fratello” del Luberto.

Dunque, per compiere la sua scalata, anche Luberto – come il suo maestro (e che maestro!) Spagnuolo – ha pestato più di un piede. E il suo rapporto con il magistrato Eugenio Facciolla ci fa capire quanto siano pesanti i veleni nella magistratura.

Eccoci giunti, dunque, al racconto della guerra, senza esclusioni di colpi (a carico di Facciolla) della guerra tra Luberto e Facciolla.

LA GUERRA FACCIOLLA-LUBERTO

“All’esito di un controllo operato dal procuratore aggiunto Mario Spagnuolo (insediatosi due anni fa procuratore capo a Cosenza, ndr) in merito ai contrasti insorti tra Eugenio Facciolla e Vincenzo Luberto – scrive il magistrato Otello Lupacchini nella sua relazione successiva ad una importante inchiesta disposta dal Ministero della Giustizia -, il procuratore Mariano Lombardi ritenne di segnalare al procuratore generale come fosse mancata qualsiasi collaborazione tra i due magistrati e come perfino le imputazioni, almeno in parte, fossero il risultato di una preclusione negativa che aveva orientato il lavoro investigativo.

Tutto ciò sarebbe stato, sempre secondo il dottor Lombardi, sintomatico di una “evidente elusione dei provvedimenti di coassegnazione” e di “una altrettanto evidente mancanza di capacità di lavorare in gruppo, criterio guida della costituzione della struttura antimafia”.

All’epoca, Vincenzo Luberto era sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Cosenza. Nel corso di un’indagine riguardante vari episodi di usura commessi a Cosenza, rileva la configurabilità dell’aggravante mafiosa e trasmette gli atti alla DDA, dichiarandosi disponibile ad essere applicato alla DDA stessa per proseguire l’indagine in questione.

Facciolla

“Con nota 22 maggio 2002, Eugenio Facciolla segnala al procuratore di aver appreso occasionalmente dal dottor Luberto che le indagini originarie nei confronti della famiglia Pranno riguardanti episodi di usura commessi a Cosenza sono state estese a Luigi Muto e poi all’intero clan Muto, con relative nuove iscrizioni, all’insaputa e senza alcun coordinamento con lo stesso Facciolla, tabellarmente competente per i reati della DDA commessi nei circondari di Cosenza e Paola e assegnatario del procedimento “Godfather” riguardante un’associazione mafiosa e altri reati riconducibili alla cosca Muto di Cetraro.

La circostanza è emersa in quanto il dottor Luberto ha disposto l’intercettazione di un’utenza in uso a Luigi Muto, da tempo sotto controllo, e la Tim ha segnalato la doppia intercettazione…”.

Facciolla evidenzia l’irregolarità di detta situazione, in quanto Luberto è stato applicato alla DDA per indagare su fatti specifici di usura dei quali si era già occupato come sostituto ordinario a Cosenza e non avrebbe potuto, quindi, estendere le indagini ad altre vicende delittuose riguardanti altri soggetti.

Inoltre, Facciolla, in quanto delegato alle indagini relative ai reati commessi nei circondari di Cosenza e di Paola, si lamenta di non essere stato informato dell’ampliamento delle indagini condotte dal collega Luberto, denuncia la mancanza di coordinamento e rappresenta il pericolo di una duplicazione di indagini, giacché il procedimento riguarda proprio il clan Muto e in particolare Luigi Muto e di tale indagine è stata informata persino la commissione parlamentare antimafia.

“Luberto, dunque – sottolinea il magistrato Otello Lupacchini -, ha effettivamente esteso le sue indagini a fatti ulteriori rispetto a quelli per i quali procedeva in origine presso la procura di Cosenza e per i quali, una volta ravvisata l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, era stato eccezionalmente applicato alla DDA.

Del resto, lo stesso Luberto, in occasione dell’audizione del 28 febbraio 2005, ha dichiarato che, dopo aver trasmesso gli atti alla competente DDA di Catanzaro, era stato informato dal capo della squadra mobile di Cosenza Stefano Dodaro, di una denuncia sporta da una persona dichiaratasi dichiaratasi vittima di usura da parte di Roberto Castiglia, marito di Flora Pranno.

Il denunciante era stato poi sentito dalla polizia e aveva affermato di essere vittima di usura anche da parte di Luigi Muto.

dodaro

IL TANDEM LUBERTO-DODARO

Otello Lupacchini osserva che “non si comprende in che modo e con quale potere Luberto, in relazione a tali nuovi fatti di usura, per giunta a carico di un soggetto estraneo al procedimento del quale ormai si era spogliato e per il quale sarebbe stato successivamente applicato alla DDA, abbia potuto estendere le indagini di tale procedimento”.

Un capitolo a parte per il poliziotto cosentino Stefano Dodaro, non a caso genero del politico Ennio Morrone di cui sopra…

“Neppure si comprende il motivo per cui Dodaro abbia informato della nuova denuncia Luberto personalmente anziché trasmetterla alla DDA o, se si trattava di usura semplice, alla procura di Paola o alla procura di Cosenza, impersonalmente se il reato era stato commesso a Cosenza, trattandosi di nuova notizia di reato rispetto ai fatti oggetto del procedimento di cui Luberto si era già “spogliato” trasmettendolo alla competente DDA”.

In ogni caso, la segnalazione di Facciolla non risulta aver avuto altro esito se non una generica nota di Lombardi che sottolinea l’utilità dell’applicazione alla DDA dei sostituti ordinari con lo scopo di accelerare i tempi delle indagini, invitando i magistrati a trasmettere al coordinatore della DDA il progetto statistico dei procedimenti in carico, sollecitando coloro che operano nel medesimo contesto investigativo a concordare preventivamente ogni atto.

Luberto riscontra la richiesta e si impegna a trasmettere tutte le deleghe di indagine relative al procedimento interessato. Ma non si capisce se poi lo fa oppure no.

Successivamente Luberto e Facciolla si accuseranno a vicenda di aver subito indagini sul “proprio territorio”. Anche se hanno una serie di inchiesta “coassegnate”. E però, i contrasti, invece di diminuire, aumentano e si incrociano ancora in diverse altre inchieste fino ad entrare nuovamente in grave conflitto.

“Gli scriventi ispettori – si legge ancora nel dossier – non possono che condividere quanto più volte denunciato da Facciolla in merito all’irrituale ampliamento delle indagini da parte di Luberto e al difetto di coordinamento ascrivibile a chi a ciò era preposto. Ma, anche prescindendo dalla legittimità o meno dell’operato di Luberto, l’aver questi esteso le proprie indagini dalla cosca Pranno alla cosca Muto quando già erano in corso da tempo le indagini di Facciolla su tale seconda consorteria criminale, avrebbe dovuto indurre il capo dell’ufficio e il coordinatore della DDA ad accertare concretamente l’oggetto delle indagini. Nonché a verificare quanto più volte segnalato da Facciolla, assumendo immediatamente iniziative al fine di impedire possibili sovrapposizioni di indagini e contrastanti esiti delle stesse che, previste e ripetutamente segnalate da Facciolla, non potevano certamente essere evitate dalla coassegnazione dei procedimenti…”.

E definiscono “poco cristallina” la condotta di Luberto. Ma non è finita qui.

1 – (continua)