Tragedia nelle gole del Raganello un mese dopo: il racconto di un “miracolato”

Intervento di soccorso nelle gole del Raganello a Civita

Oggi, giovedì 20 settembre, la comunità di Civita, ad un mese dalla tragedia delle gole del Raganello, nella quale persero la vita dieci persone, 9 escursionisti e una guida, si unirà nella preghiera e nella riflessione in una cerimonia religiosa e civile che si terrà nella chiesa madre di Santa Maria Assunta. Momento centrale della celebrazione sarà la Divina Liturgia presieduta dal vescovo dell’Eparchia di Lungro, mons. Donato Oliverio, guida della diocesi cui fanno riferimento i fedeli italo albanesi di rito bizantino cattolico in Italia. Subito dopo la cerimonia religiosa ci sarà una fiaccolata che dalla chiesa madre muoverà verso il punto panoramico “Belvedere” dove si può scorgere in parte la zona nella quale si verificò l’onda di piena che travolse le dieci vittime.

Alle ore 21,30 è in programma, sempre nella chiesa madre del paese, un omaggio musicale, organizzato in collaborazione con la Scuola Superiore di musica “Francesco Cilea” di Castrovillari, con un concerto per pianoforte dei maestri Rodolfo Ponce Montero e Hilda Ester Salvador Mendoza. 

Per ricordare la tragedia, per la quale sono attualmente indagate sette persone tra le quali i sindaci di Civita, San Lorenzo Bellizzi e Cerchiara di Calabria e il presidente del Parco Nazionale del Pollino, abbiamo deciso di ripubblicare il racconto di un “miracolato” dell’hinterland milanese. Perché c’è speranza anche dopo una tragedia.

Fonte: Il Giorno – Milano

Milano – «Sono stato fasciato dalla testa ai piedi ma non ho nulla di rotto e, soprattutto, sono vivo. Mi sento un miracolato». Francesco Sciaraffia, 33 anni, di Bussero, paese dell’hinterland milanese, rappresentante di una multinazionale, è tra i superstiti della tragedia del Raganello in Calabria costata la vita a dieci escursionisti. Francesco era in vacanza a Taranto e lunedì 20 agosto aveva deciso di visitare il parco del Pollino insieme all’amico Ivan Portulano, «che già c’era stato», e ad altre due ragazze, Myriam Mezzolla e Claudia Giampietro, purtroppo tra le vittime.

«Volevamo trascorrere una giornata in mezzo alla natura, vedere paesaggi nuovi e scattare fotografie. Ci siamo addentrati nella Gola, abbiamo percorso circa 150 metri a piedi. Attorno a noi c’erano due gruppi di circa 15 persone, con le guide. Quaranta metri ancora e saremmo tornati indietro, perché non eravamo sufficientemente attrezzati».

Come eravate vestiti?

«Con pantaloncini e magliette, come noi tanti altri. Quel luogo è un parco, non era raccomandato abbigliamento particolare, solo chi procedeva con le guide aveva muta e caschetto. Di controlli non ne ho visti, né si sapeva dell’allerta meteo».

E cosa è successo?

«All’improvviso siamo stati travolti da un muro di fango, sarà stato alto tre metri, e ci siamo dispersi. Non ho avuto neanche il tempo di capire: la violenza era incredibile, pensavo solo a trattenere il fiato ma non riuscivo a evitare le rocce e ho sbattuto ovunque. Le persone che mi hanno soccorso mi hanno detto che la corrente mi ha trascinato per tre chilometri. Mentre rotolavo sentivo braccia e mani di persone in mezzo al fango che cercavano disperatamente un appiglio».

Come si è salvato?

«Sono riuscito a incastrarmi con il fianco tra le rocce, così ho evitato che la corrente mi trascinasse ancora. E mi sono aggrappato a una pianta. A poco a poco mi sono tirato su. Ero in una boscaglia, son passati due elicotteri che non mi hanno visto. Avevo bevuto talmente tanto fango da avere l’esofago come incollato e non mi è rimasta altra scelta che bere la mia urina. Non riuscivo a respirare. Erano passate ore, non c’era più sole e stavo gelando. Ho pensato di risalire lungo il torrente ma non avevo le forze, allora mi sono messo a urlare. Poi per fortuna sono arrivati i miei angeli».

Chi?

«I vigili del fuoco. Ero in un punto difficile da raggiungere, hanno dovuto abbattere la vegetazione attorno per arrivare a me. Poi mi hanno portato in un punto pianeggiante e sono stato “raccolto” dall’elicottero. Il pompiere Cosimo Di Martino mi ha regalato il suo giubbotto, che mi ha salvato dall’ipotermia. Altro mio salvatore: il brigadiere di Castrovillari Aldo Martina. Non li dimenticherò mai».

Il tuo amico si è salvato?

«Sì, è rimasto aggrappato a una pianta rampicante per ore. Mentre conoscevo poco le due ragazze che erano con noi. Sono straziato».

Ti senti un miracolato?

«Sì. È vero che sono allenato, vado in palestra, ma io penso di essere stato fortunato, che qualcuno mi abbia protetto da lassù, dandomi l’opportunità di proseguire la mia vita».

Ora come stai?

«Meglio. Per diversi giorni ho avuto la febbre alta, ora sono tornato a Taranto. Ma qualcosa di buono, questo dramma me l’ha portato».

Cioè?

«Tra me e la mia ragazza Manuela le cose non andavano bene ma quello che mi è successo ci ha fatti riavvicinare. Abbiamo capito di essere importanti l’uno per l’altra».