Ucraina, dopo l’invasione nascerà una nuova resistenza?

di Guido Olimpio

Fonte: Corriere della Sera

Nascerà una nuova resistenza ucraina? La risposta degli esperti non è uniforme, il tema è comunque è stato lanciato negli Usa da alcuni specialisti. Sappiamo che è «facile» iniziare una guerra, ma è complesso gestire il dopo. Il territorio è enorme, non bastano certo 200 mila soldati a controllarlo. Chi si difende ha avuto molto tempo per prepararsi. Per Mosca è relativamente agevole scaricare la sua potenza di fuoco su bersagli definiti, più complesso acchiappare piccole formazioni il cui obiettivo è logorare l’avversario. È probabile che le forze locali abbiano creato depositi d’armi, rifugi. Alcune delle loro unità scelte sono state addestrate da un programma della Cia iniziato nel 2015 dopo gli eventi in Crimea, sanno come comportarsi. Colpendo vie di comunicazione, convogli, ufficiali. Naturalmente molto dipende da quale sarà la posta finale.

Se Putin si “accontenta” di prendere solo una parte del paese le possibilità di tenere crescono, altra cosa se estende il suo mantello sull’intero paese (finale previsto da molti). Ma anche qui deve poi essere in grado di imporre la sua legge affidata ad un regime fantoccio. A Washington alcuni rilanciano uno scenario noto, quella del porcospino. L’orso russo, una volta divorata la preda, riuscirà a digerirla?

C’è chi è convinto di sì. Gli osservatori evidenziano come sarebbe necessario un supporto esterno per gli anti-russi. Le resistenze si sviluppano per gradi, non sono processi immediati, potrebbero trascorrere mesi, sempre che sopravvivano alla repressione e alla morsa. Diventa fondamentale creare una pipeline di rifornimenti e – suggeriscono gli analisti – i paesi Nato che confinano con l’Ucraina dovrebbero trasformarsi in retrovia. Questa scelta – sempre che i governi siano favorevoli – ha una doppia lettura: 1) è un pungolo e una forma di pressione contro l’invasore. 2) il Cremlino la considererà un atto ostile, ci sono i rischi di un allargamento del conflitto. Fino a che punto l’alleanza è disposta a impegnarsi? Su questo punto non manca lo scetticismo. David Ignatius, sul Washington Post, ricorda il precedente degli anni ’50 quando la Cia cercò di aiutare gruppi dell’opposizione ma la sua azione fu contrastata con successo: gli agenti paracadutati uccisi, i network di oppositori infiltrati dal Kgb e i loro leader fatti fuori (anche all’estero).

Mosca – ribatte chi crede poco all’opzione resistenza – ha sviluppato una grande esperienza nel fronteggiare gli insorti. Lo ha fatto in Cecenia, spazzando via tutto anche se con un prezzo altissimo. Per i civili e per i contendenti stessi. Alla fine la regione è stata “pacificata” in modo brutale. Poi è arrivata la crisi siriana, vero laboratorio per l’Armata dove ha provato ogni tipo di mezzo e tattica. I militari si sono addestrati combattendo, mezzi e tattiche sono stati modificati per affrontare gli avversari. Lo zar si è affidato spesso ai miliziani della Wagner, più sacrificabili rispetto ai soldati regolari. Se muoiono le lacrime delle loro madri sono quasi invisibili. Tuttavia qualcuno fa notare che Kiev è in Europa, non è comparabile ai teatri di Grozny o Aleppo, dove i russi hanno spianato lo spianabile. C’è un costo anche in termini di immagine e propaganda. Tutto vero. Ma proprio la tragedia di questi giorni ha dimostrato come Putin badi al risultato e non alle regole. Ti pare che rischi un’invasione, dicevano, è troppo scaltro. E invece lo ha fatto spingendo le sue colonne corazzate nel cuore dell’Ucraina. Per il futuro c’è tempo.