Vibo. Botte, soldi, incendi e pistole per De Nisi sindaco di Filadelfia. Per il giudice il pentito è credibile ma nessuno si scandalizza

Il “locale” di Filadelfia ha una storia «parzialmente diversa» rispetto alle altre cosche di ‘ndrangheta della zona perché, a fronte di un dissidio datato con i Mancuso, gli Anello  «vantano antichi legami con i Bellocco di Rosarno e, anche in virtù della vicinanza territoriale al territorio lametino, volgono le loro attenzioni su quel versante».

Secondo il giudice Francesco Rinaldi – che lo scrive nelle motivazioni della sentenza in abbreviato scaturita dall’inchiesta “Imponimento” della Dda di Catanzaro – è «assolutamente condivisibile» la valutazione del pm sul fatto che gli Anello-Fruci siano uno dei sodalizi di ‘ndrangheta «più potenti e pericolosi dell’area vibonese». Per storia, vocazione, collocazione geografica, hanno «sempre intrattenuto stretti rapporti con le cosche del lametino e con quelle delle Serre vibonesi», manifestando «tendenze espansionistiche nelle aree circostanti (soprattutto verso il territorio di Pizzo Calabro, “incontrandosi” con i Bonavota di S. Onofrio) e dovendo «necessariamente, “fare i conti” con l’egemonia della cosca Mancuso». Con il clan di Limbadi gli Anello si sono relazionati in passato in termini «anche conflittuali», mentre di recente, in particolare con la pax mafiosa favorita dalle strategie di Luigi Mancuso, si è concretizzata una «armonica e fisiologica spartizione del potere mafioso».

Il giudice ritiene provata la «scientifica infiltrazione di interi settori dell’economia (tra i quali quelli di “elezione” del sodalizio, quello turistico alberghiero, il settore dell’energia eolica, il settore del taglio boschivo)». Ma emergono anche «i rapporti con la politica locale e nazionale e, purtroppo, con esponenti delle forze dell’ordine».

Rocco Anello, ritenuto il capo indiscusso del clan, durante il processo, ha depositato un memoriale e ha reso in aula dichiarazioni spontanee nell’udienza del 17 dicembre 2021. Ha bollato come “bugiardi” i collaboratori di giustizia sostenendo che a lui “non interessava la politica” e che non dava neanche ai suoi familiari indicazioni di voto. Del pentito Giovanni Angotti, in particolare, Anello dice che “sarebbe da rinchiudere in manicomio…”. Fatto sta che il giudice è stato di parere opposto. E stabilisce la “credibilità soggettiva” del pentito Angotti.

La sentenza, che condanno lo stesso Angotti a 4 anni come partecipe all’associazione mafiosa, richiama le dichiarazioni secondo cui la cosca Anello si sarebbe occupata “dell’acquisizione di voti in occasione delle competizioni elettorali a favore di De Nisi Francesco, anche con intimidazioni (mediante percosse, uso di armi, danneggiamenti dei veicoli mediante incendi) e con la consegna di denaro agli elettori, ottenendo a favore di De Nisi l’elezione quale sindaco di Filadelfia”. Di ciò si sarebbe occupato anche lo stesso Angotti, il quale ha spiegato che nella circostanza in alcune occasioni sono state consegnate agli elettori schede elettorali già compilate.

Già sindaco di Filadelfia e presidente della Provincia di Vibo, De Nisi è attualmente consigliere regionale di centrodestra e non risulta indagato. Quando, due anni fa, sono divenute note le dichiarazioni di Angotti, De Nisi si era affrettato non solo a smentirle ma anche a presentare memorie alla Dda di Catanzaro… E in effetti, alle ultime elezioni regionali, il suo “elettorato” s’è schierato compatto con lui contribuendo alla sua elezione alla Regione. E nessuno si scandalizza se un giudice ritiene credibile il pentito che l’ha accusato: acqua fresca, anzi Gratteri stasera va a Tropea nella “tana” dei compari di De Nisi, che sono notoriamente il famigerato Peppe ‘ndrina Mangialavori e il sindaco Macrì. Tutto va bene madama la marchesa…