Catanzaro, i tragicomici processi di Luberto: Santa Tecla e la “Corigliano-bene”

Luberto

A seguito delle fibrillazioni intercorse tra vari uffici giudiziari, il giorno dell’apertura dell’anno giudiziario 2019 del distretto di Catanzaro, al culmine della “guerra” tra il procuratore generale della Corte d’Appello e il procuratore della Repubblica e della Dda Nicola Gratteri, in molti sottolinearono la forte presa di posizione di Otello Lupacchini. L’allora procuratore generale della Corte d’Appello, con sdegno, aveva informato i partecipanti delle esose somme sborsate dall’erario per i risarcimenti dovuti a ingiusta detenzione. E non aveva certamente torto, se si vanno ad analizzare attentamente, magari in ordine cronologico, tutti i maxi blitz farlocchi effettuati soprattutto nella Sibaritide nel corso degli ultimi anni. Una sorta di “prova del nove” o, se preferite, una semplice addizione. Della serie: due più due fa… quattro. Il responsabile principale di queste vere e proprie vergogne si chiama – e che ve lo diciamo a fare? – Vincenzo Luberto. Qualche tempo fa abbiamo passato in rassegna i clamorosi abbagli delle operazioni Omnia e dell’omicidio dell’imprenditore rossanese Luciano Converso (http://www.iacchite.blog/catanzaro-i-tragicomici-processi-di-lupo-alberto-omnia-e-omicidio-converso/). Oggi è la volta dell’operazione Santa Tecla. Rinfreschiamo la memoria perché da più parti si parla della possibile candidatura a sindaco di Corigliano-Rossano di Pasqualina Straface, che era sindaco quando il comune di Corigliano Calabro fu sciolto per infiltrazioni mafiose proprio a causa di quella inchiesta. Ed è giusto ricordare che Pasqualina Straface è uscita pulita da quella vicenda, checché ne possano dire i suoi avversari di ieri e magari anche quelli di oggi. E lo facciamo anche per chiarire la nostra posizione rispetto a una eventuale candidatura della Straface contrapposta a quella dell’attuale sindaco Flavio Stasi.

OPERAZIONE SANTA TECLA

“Tutti assolti «perché il fatto non sussiste”. È questo il dispositivo della sentenza emessa nel 2019 da parte dei giudici del Tribunale di Castrovillari nei confronti di dieci imputati “eccellenti”, la più “eccellente” dei quali era l’ex sindaca dell’ex Comune di Corigliano Calabro Pasqualina Straface, l’unica sul capo della quale pendeva la pesante accusa di concorso in associazione mafiosa formulata da parte della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. L’inchiesta e quindi il successivo processo si chiamava “Santa Tecla” e andò in scena nel 2010 provocando tra le altre conseguenze lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Corigliano. Il pubblico ministero Domenico Assumma, che nel frattempo aveva sostituito Luberto, caduto in disgrazia e bassa fortuna perché finalmente “sgamato” e denunciato dallo stesso Gratteri, al termine della propria requisitoria al processo, aveva sollecitato la condanna dell’ex sindaca alla pena di sei anni di reclusione. Ma evidentemente senza successo.

E al contempo aveva richiesto la declaratoria di prescrizione dei reati contestati a tutt’e nove i suoi coimputati, a cominciare dall’imprenditore Mario Straface, fratello dell’ex sindaca e già definitivamente condannato per associazione mafiosa nel maxiprocesso anti-’ndrangheta battezzato “Santa Tecla”, continuando con l’ex vicesindaco Giorgio Miceli, l’ex assessore comunale Giuseppe Curia, l’ex consulente comunale esterno Gilberto Capano, gli attuali dipendenti comunali di Corigliano-Rossano Annamaria Pagnotta, Carmine Grispino e Cosimo Servidio, gl’imprenditori Agostino Sposato di Corigliano-Rossano e Gianluca Gallo di Terranova da Sibari.

Nel processo conclusosi nel 2019, a 9 anni dagli arresti, “campeggiavano” la relazione della Commissione antimafia insediatasi nel municipio coriglianese nel giugno del 2011 a seguito dello scioglimento degli organi elettivi per infiltrazioni mafiose deciso dall’allora Consiglio dei ministri, il conseguente decreto di scioglimento emesso dall’allora Presidente della Repubblica e gli atti d’accusa dell’inchiesta antimafia “Santa Tecla” che nel luglio del 2010 portò in carcere 67 persone.

Sul “groppone” dell’ex sindaca v’erano, in particolare, alcune ordinanze di somma urgenza da lei firmate proprio nella veste di prima cittadina a seguito d’alcuni eventi alluvionali, fatti fronteggiare dall’impresa di lavori pubblici dei propri familiari, imprenditori attorno ai quali ruotarono la maxinchiesta ed il maxiprocesso “Santa Tecla”. Gli altri nove imputati erano invece accusati d’abuso d’ufficio e d’altri reati che si sono prescritti secondo lo stesso magistrato che aveva rappresentato la pubblica accusa, ma in merito ai quali i giudici del collegio penale avevano deciso comunque di assolvere gl’imputati.

Con questo non si vuole dire o dimostrare che non era giusto sciogliere per mafia il Comune di Corigliano. Ci sono state comunque condanne definitive per associazione mafiosa riguardanti parenti stretti di Pasqualina Straface ma bisogna anche sottolineare con forza che “Santa Tecla” era un’inchiesta raccontata a metà e a dirla tutta anche male…

Ci furono retroscena letteralmente “ideati” ed “inventati” dalla pubblica accusa in quello che è stato definito il “maxiblitz dei blitz” ovvero quello denominato “Santa Tecla”, dove tra i coinvolti risultavano numerose persone innocenti, arrestate tuttavia nel fatidico giorno dell’operazione naturalmente sempre dallo stesso pm Luberto. E puntualmente risarcite dall’erario dopo aver constatato che si trattava dei soliti abbagli del magistrato.

Perché tutto questo? Semplicissimo: solo per favorire alcuni famigerati delinquenti incalliti della cosiddetta “Corigliano bene”. Tanto per citarne alcuni: Pino Curto il gioielliere, Pietro Paolo Oranges l’imprenditore, Cataldo Russo, Giacomo Russo e altri. Questi dovevano essere i veri imputati di Santa Tecla ed invece – come da scontato e vomitevole copione – furono fatti passare per “persone offese”!

Vi formiamo alcuni dettagli sui rapporti tra la “Corigliano bene” e chi – almeno sulla carta – dovrebbe garantire la giustizia e l’imparzialità. A partire dalla truffa di stato operata da Pino Curto nei confronti di un noto vivaista di Corigliano, il cui processo è ancora pendente presso il Tribunale di Castrovillari. Per continuare con il costoso e pregiato orologio che Pino Curto, tramite uomini dell’apparato dello stato, recapitò come regalo di Natale al pm Luberto, facendo il verso a personaggi come Luciano Moggi quando doveva “comprarsi” gli arbitri ai tempi della Juve… E ancora le spavalde e sfacciate gite in barca dello stesso Curto col pm Luberto e le rispettive famiglie. Certo, non è un reato né regalare orologi e né fare gite in barca ma va da se che un magistrato serio, per elementari ragioni di opportunità, non dovrebbe prestarsi a tali “giochini”. Ma tant’è…

Ci rimangono ancora da analizzare, tanto per restare ancora nella Sibaritide (ché Luberto si è dato da fare – benedica! – in tutto il territorio calabrese) gli affari del prode magistrato nel settore “materiale igienico-sanitario, pavimenti e rifiniture di pregio” fino all’arredamento completo per la sua abitazione estiva sul Tirreno tramite i buoni uffici del potentissimo Pietro Paolo Oranges. Il soggetto, del quale ci siamo ampiamente occupati nel corso di questi anni, nonostante abbia diversi processi in corso, è ricercatissimo e onnipresente in tutti i festini della fascia jonica, nei quali si accompagna indisturbato – per come abbiamo già documentato nei mesi scorsi – tra prefetti e marescialli, intrallazzatori e cortigiani/e, avvocati e alti prelati. Ma per queste “perle” dovrete avere ancora un po’ di pazienza.

2 – (continua)