Coronavirus, Belvedere: una dipendente positiva alla clinica Tirrenia Hospital

di Saverio Di Giorno

Un caso positivo al Covid alla Tirrenia Hospital di Belvedere Marittimo. La domanda che circola nelle teste ora è: era evitabile? Tutto è evitabile. Ma la sensazione è che questa volta lo era un po’ di più. La mente tira fuori tutti i pensieri, il cammino percorso, le persone incontrate, ma non può che tornare alla clinica. Per ovvi motivi: è una casa di cura; ma anche per altri motivi, meno ovvi: quell’alto numero di ricoveri anomali di cui più volte ci siamo occupati a tempo debito. La struttura fa sapere che nessun altro sarebbe in pericolo e tutti i protocolli sono stati attivati. Ma come c’erano dubbi sulle procedure prima ce ne sono anche ora alla luce delle notizie che giungono.

Gli anziani portati alla clinica da luoghi che si sono poi dimostrati essere incubatori di Covid, Bocchigliero e Rogliano. Indirettamente certo, ma il periodo di incubazione del virus non può che far emergere questo timore: da Villa Verde o da Bocchigliero il personale entrava e usciva, veniva a contatto con altre persone del paese e cosi via. Se non sono stati gli anziani il vettore, il veicolo, perché no (da asintomatico) chi li portava? A questo punto, sarebbe forse il caso di fare tamponi a tappeto. Questa mancanza di tamponamento d’altra parte è un deficit che riguarda tutta la regione.

Era evitabile? Questo dubbio non deve essere balenato in mente solo ai dipendenti, ma forse anche alla dirigenza della struttura. È di qualche giorno fa, infatti, la notizia secondo cui la casa di cura ha messo in cassa integrazione tutti i dipendenti. Una cassa integrazione fatta a rotazione e con il personale ridotto per garantire la funzionalità minima alla struttura. Una cassa integrazione che però già aveva messo in allarme, perché sembrava una cautela arrivata purtroppo in ritardo.

Già nelle precedenti ore, questa dipendente, era risultata positiva a un controllo preliminare. E questo aveva destato preoccupazione tra i colleghi, i quali alcuni erano stati messi in quarantena in largo anticipo (preventivamente) per iniziativa dei sindaci, altri, quelli che sono stati più a contatto con questa dipendente, per iniziativa della struttura. A molti, però, le decisioni cautelative della struttura sono parse da sempre opache e parziali e si lamenta una mancanza di chiarezza. La stessa opacità che riscontravamo nel decidere chi e come ricoverare e quella stessa ombrosità che documentavamo nelle stesse figure dirigenziali e nelle loro attività, a quanto pare è stata seguita nel prendere misure di sicurezza e nel comunicarle.

Certo, nessuno sa come fronteggiare un’emergenza del genere, ma probabilmente sarebbe bastato essere in linea con le direttive ministeriali che imponevano una riduzione dei ricoveri non urgenti; oppure seguire controlli più approfonditi e una maggiore attenzione. Sulla scia di questo allarme, nelle scorse ore si era deciso di procedere alla sanificazione di alcuni luoghi all’interno della struttura, ancora una volta tardi. Eppure, già diversi giorni fa ci giungeva come grido di allarme e aiuto la mancanza di materiale di protezione più elementare, che i dipendenti si procuravano autonomamente (l’arrivo del materiale era previsto per oggi dopo un’improvvisa accelerazione) o l’inosservanza delle norme più semplici.

Ora il grido di allarme si è trasformato in un’esigenza di chiarezza, un bisogno di tutela. Occorrono ricerche approfondite per capire la provenienza, tamponi a tutti e, volendo eccedere in zelo, anche rivedere le cartelle cliniche. Sarebbe un meglio tardi che mai. Bisogna chiarire la ratio delle decisioni della dirigenza che, come abbiamo già raccontato, dirige in maniera troppo disinvolta il centro. Bisogna capire se quello che aveva ipotizzato la Lucarelli per la Lombardia, ovvero lucrare, vale anche in questo caso.

Una ricerca che darebbe i suoi frutti anche nel caso in cui si provasse che la clinica non è stata la causa, perché sapremmo che ci sono altri luoghi dove andare a cercare e da isolare. Questa volta per tempo. Si attende ancora, ad esempio, l’esito della relazione che era stata sollecitata da Magorno. Si attendono risposte da tutte le autorità allertate che (si spera) abbiano tenuto sotto controllo l’evolversi della situazione.

Ancora una volta, per questa dannata vicenda, ci si è chiesto se fosse il caso di rimarcare i punti oscuri, alzare l’allarme sul fatto che ci potrebbero essere luoghi di contagio (e senza una ricerca – lo ripetiamo – non sapremo mai se questo corpicino è passato per Belvedere o annidato altrove). E ancora una volta a questa domanda se n’è sovrapposta una più assillante. Senza la paura, questa parola tanto vituperata in questi anni, sarebbero mai emerse queste condizioni lavorative? Avrebbero mai trovato ascolto in un territorio sempre dormiente? Lo scandalo, sì perché tutto ciò è scandaloso, diceva Dario Fo a chiusura di una commedia, è l’alka seltzer di una democrazia malata. È il rigurgito liberatorio di un corpo troppo pieno.