A Cosenza presto si ritornerà a sparare

A distanza di qualche mese (25 febbraio) riproponiamo un articolo che torna di grande attualità in un periodo nel quale la malapolitica sta dando il via ad una lunga serie di appalti milionari che metteranno in moto i soliti meccanismi di spartizione paramafiosa.

Quello che si prospetta per Cosenza non è una bella storia. Gli annunci roboanti del sindaco sulla Cosenza che verrà, con centinaia e centinaia di milioni di euro come possibili investimenti (stadio, ospedale, metro, ovovia e cazzate varie), fanno gola a tanti. Non solo ai soliti avvoltoi politici e agli imprenditori ammanicati che già pregustano il banchetto, ma anche alle organizzazioni mafiose locali. O meglio, a quel che resta dei clan cosentini.

Bisogna stare attenti in terra di ‘ndrangheta nel prospettare, se non si hanno gli anticorpi come noi, lauti banchetti. Che non vuol dire che non bisogna fare o costruire ciò che necessita allo sviluppo della città solo perché ci sono le ‘ndrine, ma quantomeno provare ad impedire che le stesse si infiltrino in tutti questi appalti. Se in altri luoghi ci vogliono due occhi per tenere sotto controllo la situazione, da noi non ne bastano 100 di occhi. Purtroppo è così. E lo abbiamo visto tutti con quello che è successo con l’appalto di piazza Fera/Bilotti.

In molti si sono detti stupiti, noi lo scriviamo dal primo giorno di cantiere che c’era qualcuno che si ingrassava con questi lavori. Ma nessuno ci ha ascoltato, anzi siamo stati e continuiamo ad essere perseguitati per questo, salvo poi una bella mattina svegliarci e apprendere dalla DDA che la piazza più importante della città è “made in ‘ndrangheta”.

Gli ultimi arresti e le ultime retate hanno di fatto ridotto le capacità operative dei clan locali, ma non gli appetiti. E la cattura di molti storici ed importanti pezzi da 90 (chi pentito chi al 41 bis) della mala locale, ha lasciato un vuoto di comando in città. E c’è chi da tempo vede in questa “vacatio criminale” la possibilità di formare un nuovo agguerrito clan, per mettere le mani nei tanti affari che si prospettano a Cosenza. A dover recuperare il terreno perduto, sono principalmente gli “italiani”. Ma c’è anche chi potrebbe non gradire il “ritorno nel giro” di “veterani malandrini italiani” che hanno fatto la storia della mala in città. Una storia che però alcuni definiscono poco chiara.

Proprio le vicende di piazza Fera/Bilotti hanno evidenziato una spaccatura “etnica” tra i clan locali. Dopo la morte di Michele Bruni e il pentimento di Bruzzese, Lamanna e Foggetti, nessun “italiano” vuole avere più niente a che far con gli “zingari”. Nelle intercettazioni che hanno portato all’arresto di Giorgio Barbieri, i malandrini italiani lo dicono chiaro: gli zingari devono essere tenuti lontano dall’appalto di piazza Fera/Bilotti. Ed è proprio in chiave anti zingari che storici clan cosentini, da sempre rivali, si sono federati.

Tant’è che lo stesso Muto, garante con Barbieri della tranquillità del cantiere, per apparare la questione dell’esclusione dalla torta degli zingari, scende personalmente in campo. Permettendo all’allora clan Rango/zingari di “gestire la sicurezza” anche nelle aree di sua influenza, il Tirreno cosentino, a mo’ di risarcimento danno. Del resto, l’offerta fatta don Franco Muto, non poteva certo essere rifiutata. Aprire una guerra contro di lui non è cosa semplice. E questo gli zingari lo sanno bene.

Una offerta accettata a denti stretti in attesa di tempi migliori. Che non tardano ad arrivare (per alcuni): l’arresto dei latitanti Lanzino, Presta, e  Marsico, le varie operazioni contro il clan Rango/zingari, l’operazione Frontiera contro il clan Muto, L’operazione Stummer, hanno favorito chi all’interno della mala degli zingari, in seguito al declino dei “Banana”, non ha subito defezioni o arresti. Gli stessi che da tempo erano già, seppur sottotraccia, in conflitto con gli italiani. Gli scontenti di sempre. Infatti era da tempo che in molti lamentavano significativi ammanchi dalla bacinella, imputando gli ammanchi “all’italiano” che a quei tempi la gestiva. Oltre alle continue “discriminazioni” subite. Un gruppo che ha capito che questo potrebbe essere il momento buono per mettere le mani su tutto. E che l’ora della rivalsa è arrivata.

Alla luce di questo, e in attesa di capire che ne sarà delle dichiarazioni di così tanti pentiti, due nuovi schieramenti affilano le armi: gli italiani, che potrebbero radunarsi tutti sotto una unica insegna guidata da chi la sa lunga per esperienza e covattaggine, e i nuovi boss degli zingari che non ammettono fidelizzazioni all’infuori della loro etnia.

Il tempo stringe e gli affari sono fermi.  Scatterà il blitz, non scatterà, sono queste le incognite che fermano, ancora per poco, le pistole tra i due schieramenti. Chi comanda a Cosenza si deve stabilire con urgenza. In troppi hanno messo la testa fuori dal sacco. E per stabilire questo, per come stanno le cose, saranno costretti ad affrontarsi. E dovranno farlo prima dell’arrivo delle grandi commesse e dei grandi appalti, e prima dell’apertura del cantiere della metro. Perché gli “imprenditori” che pagano hanno bisogno di sentirsi sicuri e sapere con precisione con chi trattare e non vogliono trovarsi a dover discutere con tanti, magari nel bel mezzo di una guerra di mafia.

Prima di determinarsi, ai vecchi e nuovi marpioni, restano da capire le intenzioni della DDA di Catanzaro, chiamata a scongiurare tutto questo. Ma per come stanno messe le cose, di Cosenza a Gratteri non gliene frega niente e con la procura che ci ritroviamo, quanto prima le pistole, purtroppo per noi, ritorneranno a sparare. Che non è un auspicio, ovviamente.

GdD