Accoglienza profughi. Il caso Soumahoro è solo la punta dell’iceberg

Se lo stato decidesse di passare al setaccio i bilanci delle società, cooperative e associazioni che hanno gestito, e gestiscono, i famigerati progetti di accoglienza (Sprar, oggi Sai, Cas, Msna, Cpa, Cpt, e chi più ne ha più ne metta), così come ha fatto per i percettori del Reddito di Cittadinanza, scoprirebbe che la vergognosa e truffaldina gestione dei fondi pubblici destinati all’accoglienza dei profughi e richiedenti asilo, è pratica assai diffusa. Senza voler generalizzare.

Il caso Soumahoro ha portato alla luce quello che in pratica succede da 30 anni: quando si tratta di accoglienza di migranti, i conti non tornano mai. Rendicontazioni inesistenti, o farlocche, fatture false, firme false sui pocket money, cresta su ogni tipo di spesa, bonus di qua e bonus di là per i gestori dei progetti e poi, progetti fantasma di ogni tipo, percorsi di integrazione inesistenti, inserimenti di qua e inserimenti di là, tutti finanziati e raramente eseguiti. Questa è la realtà del sistema di protezione e accoglienza dei profughi e richiedenti asilo che, con le dovute eccezioni, si limita a sfamare i migranti per il solo periodo finanziato del progetto, e una volta ottenuto il permesso di soggiorno (umanitario), atteso in qualche sperduto appartamento insieme ad altri disperati in un forzato isolamento, il percorso di integrazione per lo stato e per i gestori dei progetti, è finito. Dove va a dormire il migrante, una volta fuori dal sistema di protezione, come vive, e che fine fa non gliene frega niente più a nessuno.

Che la gestione dei centri di accoglienza dei migranti vale più del traffico di droga, è cosa oramai nota. E questo è possibile perché il sistema che finanzia e controlla la diffusissima rete di accoglienza (oltre 9000 progetti in tutta Italia), fa acqua da tutte le parti. Un vero e proprio colabrodo. Sono principalmente due le linee di finanziamento: la prefettura eroga i fondi destinati ai centri di accoglienza straordinaria (Cas), mentre per i centri di prima accoglienza (Sprar / Siproimi / Sai) e per l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati (Msna), il finanziamento del sistema è a titolarità pubblica. Nel caso dei Cas la prefettura, dopo aver espletato un bando pubblico, affida la gestione e i fondi, direttamente alla società vincitrice dell’appalto con obbligo di rendicontare le spese. Per la gestione dei centri di prima accoglienza, invece, lo stato pretende, in tutti i progetti approvati e finanziati, la presenza, attraverso un cofinanziamento (spesso “versato” in servizi o strutture) di un ente pubblico (regione, provincia, comune) che controlli e verifichi il lavoro dell’ente gestore del progetto di accoglienza (società, associazione, cooperativa).

Dopo “la caduta” dei forestali, dopo l’estinzione degli Lsu Lpu, l’accoglienza dei migranti è stata intesa da molti sindaci, nello specifico al sud, come una buona opportunità per rimpiazzare il “sussidio di stato perduto” camuffato da lavoro. Infatti molti sindaci, nel corso degli anni, si sono fatti promotori, insieme ad associazioni territoriali, di progetti di accoglienza nel proprio comune: nei tanti capoluoghi di provincia, fino ad arrivare all’ultimo paesino sperduto di poche centinaia di abitanti, è stato un proliferare di progetti di accoglienza. Nella sola provincia di Cosenza, per fare un esempio, sono 60 i comuni interessati da progetti di accoglienza, che ospitano in 235 strutture oltre 2000 tra profughi e richiedenti asilo.

Un dato che secondo il “rapporto Openpolis 2021”, pone la provincia di Cosenza al secondo posto, dopo la provincia di Torino, nella classifica delle province italiane con più comuni interessati da centri di accoglienza. Un primato al Sud. Da qui finanziamenti per tutti e di tutti i tipi: si va da un minimo di 300mila euro all’anno fino a finanziamenti che superano i 4 milioni di euro all’anno. In un paesino di un migliaio di abitanti sperduto nel profondo sud (la maggior parte dei progetti risiede in piccoli paesi), “ospitare” un progetto di accoglienza significa offrire una opportunità di lavoro a tante persone (magari inoccupate da decenni) a due metri da casa con uno stipendio medio di 700 euro al mese, il che, a queste latitudini, può davvero fare la differenza. Con enorme vantaggio politico del sindaco che può contare sulla gratitudine elettorale di chi, attraverso vie quasi sempre di natura clientelare, lavora nei progetti.

In tutto questo si crea un assurdo paradosso: il controllore e il controllato corrispondono quasi sempre alla stessa persona. Cioè: lo stato eroga i fondi al comune titolare del progetto che a sua volta li gira, dietro presentazione di rendicontazione, all’ente gestore. Ovvero, il sindaco che spesso e volentieri ha sistemato nella cooperativa parenti, amici e elettori, ha l’obbligo di verificare la veridicità dei bilanci e la correttezza dell’operato dell’ente gestore, ma questo, per ragioni che tutti capiamo, non avviene mai. Nessuno controlla niente, perché equivale a controllare se stessi. Se a fare la cresta sui fondi è la moglie del sindaco, il fratello del sindaco, il compare del sindaco, l’amico del sindaco, non sarà certo il sindaco ad evidenziare la truffa al Servizio Centrale. E così ognuno s’inventa il trucchetto sicuro per lucrare sui fondi destinati all’accoglienza.

Sui fondi invece erogati dalla prefettura il gioco è ancora più facile. Non ci sono intermediari di mezzo, e il rapporto è tra il prefetto e la società che gestisce l’accoglienza d’emergenza. Una volta erogati i fondi, e qui i ritardi sono veramente rari, la società ha libero accesso alle spese che può giustificare come gli pare e piace, e il ricorso a fatture farlocche, cibo, vestiario, servizi sanitari, logistica, adeguamento e ristrutturazione di strutture quasi sempre poste in estreme periferie e abbandonate, è la strada più semplice e sicura. Spese che nessuno può contestare anche se cozzano con la realtà: risultano sempre spese per lavori alle strutture che accolgono i profughi, e poi, come vediamo spesso e volentieri in tv, le strutture risultano fatiscenti, sporche, e prive di servizi. Ma nonostante queste evidenze raramente il prefetto interviene. Tutto passa liscio, tanto è solo “emergenza”. La parola chiave che apre sconfinate praterie al lucro e alla truffa. Non è un caso, infatti, che in questo infame business hanno trovato subito “collocazione” nella gestione dei lucrosi appalti, vecchi marpioni politici e loschi imprenditori, attirati dalla facilità a ricevere i soldi e a spenderli senza un minimo di controllo.

In tutto questo a farne le spese i migranti, tirati dalla giacchetta da questo o quel sindacato, da questa o quella associazione, da questo o quel santone, a seconda delle convenienze del momento, con un unico pensiero: lucrare sulle loro disgrazie.

P.S. esistono al Sud e in Italia, tantissime associazioni, cooperative, comitati, collettivi, parrocchie, sindacati, uomini e donne che operano nella totale trasparenza e con enorme spirito di umanità, spinti soli dal profondo sentimento della solidarietà. A loro va un grazie grande quanto il loro cuore.