Cosenza. Appello al presidente del Tribunale: che fine ha fatto la denuncia sulla microspia?

Sono passati più di tre anni dal ritrovamento (22 agosto 2018), nella nostra redazione, di una microspia. La “scoperta” avvenne per caso: nell’inserire una spina nella presa a muro, notammo uno strano movimento della presa che non era più saldamente attaccata al muro. La cosa ci insospettì, smontammo la presa rinvenendo all’interno una microspia. Impacchettammo tutto, e com’è nostro costume, checchè se ne dica, ci recammo in questura per sporgere regolare denuncia, nella quale chiedevamo all’autorità giudiziaria di accertarne la provenienza.

Volevamo capire chi aveva messo quell’aggeggio nella nostra redazione: la polizia, i servizi segreti, ‘ndranghetisti, massomafiosi, per meglio tutelare la nostra sicurezza. Sapere se chi ti ascolta è autorizzato o no, è una questione di tranquillità. Riempiti i moduli e depositato l’aggeggio nelle mani dell’ispettore, ci accertammo che la denuncia arrivasse sul tavolo dell’autorità giudiziaria, con la speranza di avere le giuste risposte alle nostre legittime domande.

Bene, da allora di questa denuncia si sono perse le tracce. Sono passati più di tre anni e nessuno ha risposto alle nostre domande, così come prevede la Legge. Nonostante fosse a rischio la nostra incolumità, la procura non ha inteso tutelarci: se ad ascoltarci fossero stati dei malintenzionati, e magari lo erano e continuano a farlo, alla procura di metterci in guardia, non gli è passato neanche per l’anticamera del cervello, venendo meno ad un preciso dovere che va al di là della simpatia o dell’antipatia che un Pm può avere per questo o quel personaggio.

Come dire: non è che perché scriviamo della corruzione di alcuni magistrati nel Tribunale di Cosenza, la procura può fottersene delle nostre denunce, specie quelle dove si evidenzia un probabile pericolo per la nostra incolumità. È un preciso obbligo del procuratore capo rispondere alle nostre (e a quelle di tutti) denunce, e noi vogliamo sapere chi ha piazzato le microspie nella nostra redazione, che è quella di un giornale, che può piacere o no, regolarmente iscritto al Registro della Pubblica Stampa del Tribunale di Cosenza. Num. R/G 1166/2018. Il che rende la cosa ancora più grave: trovare una microspia nella redazione di un giornale, senza regolare autorizzazione dell’autorità giudiziaria, è qualcosa che farebbe saltare dalla sedia ogni pm degno di questo “titolo”. Che vorrebbe subito vederci chiaro sul chi e perché ascoltava la redazione di un giornale, indipendentemente dalle “posizioni del giornale”. È così che si comporta un onesto e capace pm. Ma evidentemente questo “metodo” che attiene al dovere istituzionale e alla deontologia, non rientra, quando si tratta di persone a loro avverse, nei “criteri” della procura di Cosenza, solerte però nel produrre inchieste farlocche su di noi. Pensate se la microspia fosse stata rinvenuta nella redazione della Gazzetta del Sud, o del Quotidiano del Sud, oppure del Corriere della Calabria, sarebbe scoppiato il finimondo. Ma tant’è!

Ora, vista la situazione, e non avendo altre possibilità se non quella di rivolgerci ancora una volta alle istituzione, chiediamo l’intervento del presidente del Tribunale, dottoressa Mingrone, pregandola di porre rimedio a questa mancanza di senso del dovere della procura, accertando i motivi della mancata risposta alla nostra denuncia: è un nostro diritto sapere se siamo in pericolo oppure no, e questo Lei non lo può ignorare. Nessuno può “giocare” con la nostra incolumità. Anche se le stiamo antipatici. E’ suo preciso dovere intervenire: vogliamo sapere chi ha microfonato i nostri locali, e non può essere stata la procura altrimenti avrebbe già risposto, a meno che la microspia non sia stata piazzata da qualcuno della procura senza nessuna autorizzazione. Dopo tre anni si può sapere se possiamo stare tranquilli o dobbiamo preoccuparci? Restiamo in attesa, grazie.