Calabria, ecco perché i concorsi per medici ospedalieri vanno deserti (di Francesca Canino)

Calabria, ecco perché i concorsi per medici ospedalieri vanno deserti
di Francesca Canino

Se i concorsi per medici ospedalieri in Calabria, soprattutto nelle discipline più rischiose e impegnative anche sotto il profilo psico-fisico (principalmente emergenza), vanno spesso deserti, non avviene certo per una punizione divina, ma per una serie di motivi facilmente individuabili. Dal numero chiuso nelle facoltà di Medicina, agli ingiusti riconoscimenti economici, dall’impossibilità di vincere qualsivoglia concorso se non si è “parte” di famiglie (in tutti i sensi), partiti, logge, agli ostacoli che vengono posti sul cammino di chi, per puro caso, si trova a lavorare in un ospedale calabrese senza le spalle coperte.

Ogni anno, in Italia, viene ammesso un determinato numero di studenti al corso di laurea in medicina e, in seguito, un numero ancora minore per accedere alle varie specializzazioni (titolo necessario per l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale). Questo numero, da oltre 30 anni, viene calcolato non sulla base dei fabbisogni di salute, ma su meri calcoli economicistici. Da aggiungere che, con l’allungamento degli anni necessari al completamento del percorso specialistico, per avere uno specialista in discipline mediche necessitano minimo 11 anni, per quelle chirurgiche 12. In questo modo, negli anni, si è creata una carenza di medici che permette ad ogni giovane specialista di poter tranquillamente scegliere dove e in quale ruolo lavorare.

Appena uscito dall’università, ognuno ha le sue legittime aspettative: crescita professionale, fare ricerca, ambire a progressioni di carriera, svolgere la professione in modo etico, scientifico e, perché no, con il giusto riconoscimento economico. Quante di queste aspirazioni potrebbero essere soddisfatte lavorando in Calabria? Nessuna.
In Calabria, gli stipendi, a parità di ruolo e posizione, sono mediamente più bassi del 10% rispetto a quelli delle altre regioni; la progressione di carriera ha come titolo fondamentale “l’appartenenza”; dove, proprio per questo, la gran parte dei primari è composta da “miracolati” di cui la maggior parte, non avendo la giusta autorevolezza, non garantiscono una buona crescita professionale, figurarsi la possibilità di fare ricerca; sempre in Calabria, non c’è un euro investibile in fondi di ricerca e formazione seria; le pressioni “esterne” creano ostacoli difficilmente sormontabili per comportamenti professionali etici e scientifici, facendo aumentare a dismisura i rischi medico-legali ed anche, spesso, personali.

In un quadro come questo, c’è qualcuno che si chiede perché i concorsi vanno deserti. La giusta domanda sarebbe: chi sono quei pazzi che vogliono ancora venire o restano a lavorare in Calabria? Forse per questo ci siamo rivolti a Cuba. Sono sufficientemente preparati professionalmente ma, soprattutto, sono abbastanza lontani per non conoscere il disastro in cui si imbarcheranno.