Catanzaro 2022. Anche il Vaticano irrompe nella campagna elettorale: il segretario di Bertolone ridotto allo stato laicale?

La notizia che potrebbe essere uno scoop filtra di nascosto, senza nessuna ufficialità, così come si conviene da sempre quando lo spiffero parte da Oltretevere violando la sacralità e la segretezza dei Palazzi Apostolici. E’ la storia che si riavvolge e che mette a scadenza il pagamento di molti fatti e misfatti che hanno caratterizzato l’ultimo decennio della città di Catanzaro, dove il connubio tossico fra la Chiesa ed il “sistema” massomafioso oggi sembra arrivare – almeno per alcuni capitoli – ai titoli di coda.

Questo nuovo elemento si aggiunge ad una storia tutta ancora da chiarire e da disseppellire dai cassetti impolverati della curia cittadina e da quelli della Città del Vaticano. Le lancette del tempo ritornano drammaticamente indietro ma soprattutto aggiungono un altro elemento di fragilità a molte proposte politiche, che in queste ore si stanno lanciando e consolidando nella prossima campagna elettorale, che il prossimo 12 giugno chiamerà alla urne i cittadini catanzaresi per il rinnovo del consiglio comunale e l’elezione del nuovo sindaco. E’ paradossalmente lo scherzo della storia o della vita, che quando meno te lo aspetti mette all’incasso le cambiali, chiamando i debitori ad onorare la firma.

Siamo ritornati pienamente negli anni d’oro del compromesso, quello che ha governato per lungo tempo il futuro della città di Catanzaro e che le ha appiccicato addosso, quasi a titolo di distinguo, il valore di essere la città della massomafia: il crocevia degli interessi tossici fra gruppi criminali, spezzoni di politica collusa e consolidate obbedienze, con la benedizione e l’intercessione del vescovo del “sistema” ovvero Vincenzo Bertolone.

La fuga del vescovo Vincenzo Bertolone resterà un mistero mai risolto, perché volutamente sepolto nelle segrete di Santa Romana Chiesa ma oggi, forse, scopriamo un pezzo di verità, che se mai confermata, consegnerà alla storia della città di Catanzaro il valore criminale e socialmente pericoloso di un periodo che ha visto arrivare in città chi si professava falsamente come seguace degli Apostoli.

La lettura controcorrente della storia ci ha fatto capire che alla corte del vescovo Vincenzo Bertolone era consuetudine traccheggiare con ambienti dal dubbio valore morale, ma era altresì consuetudine favorire gli esercizi di Fede dei suoi più stretti collaboratori, quelli non assetati di verità ma in particolare di denaro.

La “corte” del potente vescovo comincia a pagare pegno perché travolta da uno scandalo che era diventato strisciante in città, ma in particolare per il pugno di ferro che Papa Francesco ha esercitato per restituire moralità e dignità alla Chiesa di Roma, facendo cadere la testa di Bertolone di qualche altro potente prelato in Calabria. Oggi giunge la notizia, trapelata di soppiatto come uno tsunami che “l’altro” potente della curia di Catanzaro è stato disarcionato, lasciando le penne sul selciato.

E’ l’ormai famoso segretario del vescovo don Francesco Candia, ostinato frequentatore delle strade buie della città e detentore di mazzette di denaro nelle tasche, che risponde alla giustizia del Vaticano e che dopo un’inchiesta interna sarebbe stato ridotto allo stato laicale. Finisce un’epoca e tutte le questioni in sospeso ritornano sul piatto, mentre ancora in tanti, diciamo pure una parte importante di una città ferita, chiedono di conoscere quale sia l’attività di indagine della procura di Catanzaro, quella che nei fatti ha riconosciuto il lasciapassare al vescovo inquinato mandandolo al confino nel convento di Grottaferrata.

Se da una parte c’è una giustizia che procede speditamente e la riduzione allo stato laicale di don Francesco Candia è un segno, dall’altra c’è la giustizia italiana che deve indagare sulle tante malefatte consumate durante il regno di Bertolone a Catanzaro, quello che segnatamente si è macchiato di delitti consumati nell’ambito sanitario con la morte sospetta di tanti degenti, in quelle strutture dove la curia di Catanzaro ha e continua ad avere la governance.

Sono le storie di ordinaria criminalità che restano per i posteri il blasone e lo stemma del vescovo del “sistema” Vincenzo Bertolone e della sua corte, dove le responsabilità restano ampiamente diffuse andando ben oltre la figura tossica di don Francesco Candia. E’ la vecchia storia della Chiesa calabrese, quella che dal pulpito ha scandito falsamente per anni le grandi prediche contro la ‘ndrangheta, mentre dietro gli altari consolidava e concludeva i suoi accordi di galleggiamento con il mondo di mezzo, nascondendo con il profumo dell’incenso l’odore acre del sangue e dei cadaveri che ha sepolto senza una preghiera…

Il pentolone per volontà di Papa Francesco è stato ormai scoperchiato e tanti a Catanzaro e nelle diverse curie della Calabria dovrebbero cominciare a preoccuparsi, se è vero com’è vero che le accuse contro don Francesco Candia sono gravissime e che le stesse, per quanto individuali, aprono una crepa preoccupante nel muro del silenzio che ha caratterizzato la Chiesa calabrese. Ma stavolta senza chiacchiere ma con nomi e cognomi.

Il dito è ormai puntato contro la “Chiesa del silenzio”, la caratteristica consolidata della curia di Bertolone che con una mano intascava il denaro, mentre con l’altra dispensava l’ostia e l’estrema unzione, celebrando una grandezza dal dubbio valore cristiano ma riconosciuto come tale solo per una regia argomentata sulla spettacolarità e su una complicità diffusa al suo interno. Cadranno altre “teste” coronate? Tutto lascia intendere che sarà così. Molti sono seduti sui troni traballanti ottenuti non certamente per uno spiccato e riconosciuto percorso di apostolato, ma solo e soltanto per aver messo le mani nella marmellata in modo diffuso, nascondendo le responsabilità proprie e di quanti sono stati garantiti dalla scuola di Bertolone.

E’ una specie di terremoto ormai in corsa che attraversa la città di Catanzaro ma anche parte della Calabria, dove anche la cattedra del vescovo di Rossano-Cariati, Mons. Maurizio Aloise trema per le protezioni ricevute da Bertolone e per le coperture offerte. Pesano sulla coscienza del vescovo “raccomandato” gli anziani vittime della sua gestione come presidente della Fondazione Betania, quello che a tutti gli effetti resta un cimitero a cielo aperto fra cadaveri ormai dimenticati che reclamano giustizia o sopravvissuti come le maestranze di Fondazione Betania, oggetto delle razzie e ruberie iniziate da Mons. Maurizio Aloise e proseguite fino ai giorni odierni con la regia del “palazzinaro” di Squillace, il presidente uno e trino padre Piero Puglisi, riconosciuto bracconiere dei fondi dell’8 per mille della Caritas diocesana.

E’ la scia di una storia che olezza di denaro e ricatto mentre l’incenso assumeva lo stesso valore delle bombe al fosforo, quelle che sono esplose per anni sul cielo di Catanzaro, ma da molti sono state scambiate per fuochi pirotecnici.

Non sono solo le cattedre vescovili a tremare, mentre molti prelati si preoccupano di controllare se la testa è ancora attaccata al busto, quelli miracolosamente sopravvissuti alla decapitazione collettiva del Movimento Apostolico, un altro capitolo controverso della storia della Chiesa calabrese e di quella catanzarese in particolare. C’è un intero sistema che rischia di sgretolarsi moltiplicando i calcinacci già caduti con la fuga del vescovo Vincenzo Bertolone ed oggi per il rinculo che da Roma ha cancellato don Francesco Candia e che arriva in città come profeta di sventure.

Il percorso diventa ad ostacoli, quelli che bisogna superare scegliendo il campo ma soprattutto usando la parola, senza sotterfugi e senza l’alchimia della comunicazione misurata, dove molte volte tacere diventa l’opzione più abbordabile, senza scoprire il retrobottega mettendo il culo al vento. Troppi sono stati i silenzi, quelli strategici, e troppe volte l’opzione della legalità e dell’antimafia ha assunto le connotazioni della barzelletta, se il silenzio ha coperto le malefatte ormai evidenti della curia di Bertolone e del suo cerchio di contrabbandieri.

Peppe ‘ndrina e Francesco De Nisi

La strada diventa un vicolo stretto, quello che mette in predicato le riconferme a Montecitorio di Antonio Viscomi espressione del Pd-P2, da sempre il “beato” della curia di Catanzaro, quella massomafiosa di Vincenzo Bertone, ma anche del “podista” a trazione alternata di Libera, Nicola Fiorita, il professore ecclesiastico. Diventerà don Nicola solo se vincerà e la vittoria – di questi tempi – non è per niente facile, visto che dall’altra parte è schierata la massomafia senza passamontagna e con i volti scoperti: in prima linea Peppe ‘ndrina al secolo Giuseppe Mangialavori, braccio destro del parassita di Cosenza che ha vinto alla Regione e ha trovato l’Eldorado e il suo fedele sicario, quello delle pale eoliche vibonesi Francesco De Nisi. Dei quali non mancheremo certo di scrivere in questa campagna elettorale. Che schifo!

Catanzaro è la città del sistema ma quella che ha capacità di stupire, dove il “Non expedit” funziona al contrario rispetto alla lettura della storia. “Non è conveniente” scomodare le sacre sottane, perché la professione di Fede cattolica non è valore di libertà, ma la consacrazione di una scomunica pesata in consensi elettorali dove l’opzione del silenzio conferma che certa politica si lascia ancora inquinare dai tentacoli sopravvissuti del Movimento Apostolico e dei latitanti della scuola di Bertolone.

E’ la scuola dell’arte sacra prestata alla politica dell’accademia narrante di Nicola Fiorita e della faccia nascosta e scoperta della massomafia di Catanzaro dove il voto ed il segreto del confessionale non sempre è valore d’innocenza. E comunque vada, dunque, vincerà il “sistema” proprio sotto il nasso dello zio Nicola, non Fiorita ma… Gratteri.