Catanzaro. Guardie e ladri e la MalaChiesa

Da stamattina Catanzaro è ancora di più in subbuglio. Le dimissioni del vescovo Bertolone hanno mandato in cortocircuito le logge coperte della massomafia e lasciano una serie pressoché infinita di interrogativi aperti, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche, dal momento che al prelato mancavano solo due mesi per andare in pensione. E allora, perché tutta questa fretta?

Partiamo da una certezza che farà storcere il naso ai cosiddetti benpensanti, quella che descrive compiutamente un ambiente, una società ed un clima non solo meteorologico di una comunità cittadina: Catanzaro è la città della massomafia.

Questa illuminazione è giunta fino a noi ed ai cittadini catanzaresi solo grazie alle inchieste della Procura di Catanzaro ed alla caparbietà del dottore Gratteri, quello che oggi “qualcuno” avrebbe voluto mandare a Milano non certo per promozione, ma per toglierlo di torno e consentire al sistema Catanzaro di rigenerarsi in forma autoctona. Ma l’operazione è fallita.

Questo è quello che abbiamo imparato sulla “recente” storia di Catanzaro, grazie alle tante segnalazioni che abbiamo ricevuto e che continuiamo a ricevere come un fiume in piena: una confessione liberatoria di impronta laica, senza paramenti e senza ostie. La Procura di Catanzaro ha scardinato alleanze anche politiche, connivenze burocratiche e servitori dello Stato ballerini e cantori al richiamo del denaro, superando anche la consacrazione della “Santa” ormai infiltrata nel tessuto imprenditoriale e in quella classe media borghese, che ha venduto dignità e coraggio perché assuefatta ad un sistema riconosciuto come quasi legale. Questa è stata l’azione del procuratore Gratteri che ha messo a nudo un sistema di governo della città di Catanzaro, dove le rappresentazioni piramidali sono lo schema di collaborazione, quella oscura, fra politica, massoneria, Chiesa e spezzoni importanti di ‘ndrangheta.

In questo viaggio anche documentale nel sistema Catanzaro abbiamo scoperto una Babilonia, la grande spaccata della città capoluogo di regione dove sfugge al suo interno l’operato dei tanti normali, dei tanti veri missionari della Chiesa di Roma, quei santi quotidiani osteggiati e sacrificati perché capaci di restituire un po’ di dignità al Credo cristiano, sepolto sotto cumuli di ricchezze e di nefandezze, anche piccole, che nulla hanno a che vedere con gli insegnamenti di Gesù Cristo.

Ecco il perché la Chiesa, la Curia di Catanzaro non può più osteggiare la verità con il silenzio, non può più seguire un tracciato diverso dai richiami di Papa Francesco, mutuando un rapporto inconciliabile con la massoneria, un cancro che riporta l’istituzione della Chiesa cattolica come soggetto responsabile di crimini più o meno gravi. Ed ecco perché, improvvisamente, stamattina il vescovo Bertolone, che pure aveva avuto tutto il tempo per provare a cambiare rotta, è stato “dimissionato”. 

Bisogna scindere le partecipazioni, certo, siano esse dirette o indirette, annullare le compiacenze e le omissioni. Non si può benedire sempre e comunque ogni forma di prevaricazione, anche quella che sembra di piccola evidenza, che sia la collusione con potenti o corrotti, le cointeressenze con speculatori e mafiosi, il riciclaggio, il silenzio sui misteri consumati all’interno delle mura dei palazzi istituzionali o sacri. Non si può pensare di assoggettare il popolo, nel narrato quello catanzarese, con il Vangelo sic et simpliciter perché è pura contraddizione in termini, dove manca lo spessore e l’esempio del Verbo…

Per quanto sia miserevole il fatto che si addebita all’assessore al Personale del Comune di Catanzaro, Danilo Russo, quello della compiacenza e del silenzio colpevole in qualità di rappresentante istituzionale e pubblico ufficiale, sull’assunzione della cugina dottoressa Marino Erminia Marta presso l’asilo comunale Pepe come docente di religione cattolica, appariva assolutamente legittimo che fosse proprio la Curia di Catanzaro a chiedere di sospendere, con le dimissioni il suo figlio prediletto dall’incarico istituzionale, ben prima che la sospensione potesse arrivare dal palazzo di Procura. Ma Bertolone ha messo la testa sotto la sabbia, come gli struzzi.

Non c’è nulla che si possa raccontare a discolpa del fatto, perché l’esempio che emerge è sconvolgente di come una “nuova” classe dirigente sia perfettamente in linea con i metodi peggiori della gestione della cosa pubblica, dove si risponde non ad una logica di bene comune, bensì a quella ristretta e chiusa di famiglia, estendendo l’interpretazione a quella di Fede e di compasso. L’assessore Danilo Russo, che – è meglio ribadirlo – consideriamo la parte più infinitesimale del male e del metodo senza la necessità di conoscere le sue doti decantateci da cari amici in comune (che tali resteranno malgrado… Russo!) ha di fatto replicato il sistema, tracciando un perimetro di riconoscimento con le sue raccomandazioni, che restano comunque un pessimo messaggio di malapolitica.

Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!” (Matteo 23.23) E ci siamo capiti…

Nel deserto parco archeologico in cui si sta trasformando la città di Catanzaro, dove le macerie soprattutto morali ed umane sono la costante non può più servire la regola del compromesso, del silenzio e della verifica politica, quella che è sempre un modo di anestetizzare non tanto il dissenso quanto il reato, qualunque sia il grado di importanza, ma tale perché consumato sulle spalle dei cittadini e su un principio di verità e lealtà tradito sempre.

Così nel Comune di Catanzaro, che si fregia di avere il consiglio comunale più indagato d’Italia, esiste  la sola preoccupazione di consumare una “verifica politica” per rimettere in pista quello che resta della maggioranza di Sergio Abramo, una specie di “Guardie e ladri”, la riproposizione del celeberrimo film con Totò ed Aldo Fabrizi, ben sapendo che nessuno riuscirà a ridere, questa volta! Costruire una scenografia che sia apprezzabile in un panorama di desolazione e di macerie impone a tutti di recitare, di continuare a fare finta di nulla mentre la Procura di Catanzaro continua a cannoneggiare la sede comunale facendo saltare equilibri politici e gruppi destinati a sciogliersi come quello di riferimento dell’assessore Russo, quel “CZ da Vivere” dove anche Marco Polimeni è ormai alla canna del gas. Cosa resta allora? C’è il tentativo ingnobile di restare attaccati alla poltrona con la complicità del sindaco Sergio Abramo, ormai annichilito e distratto dal sistema Catanzaro, dal quale almeno nelle intenzioni e nei lanci di agenzia, aveva separato e distinto le responsabilità.

La città di Catanzaro non ha più niente da raccontare né a se stessa, né al mondo. Potrà raccontare solo al palazzo della Procura della Repubblica quello che più che un racconto è una confessione, non libera, ma necessaria per restituire verità alla verità. Allora scopriremo che tutta la trasparenza professata nelle procedure concorsuali del comune di Catanzaro non c’è. Che molti concorsi sono già assegnati prima ancora del loro espletamento, come altri sono stati vinti dagli “unti del Signore” favoriti dai “pizzini” provvidenziali… Capiremo la rabbia di chi, la dottoressa Sergi Maria, ci ha mandato i carabinieri in redazione, perché scoperta e perché non è un valore di priorità avere un figlio da sistemare. Tanti sono i figli di Calabria che aspirano legittimamente ad una sistemazione, magari in forza di una meritocrazia riconosciuta, ma che non hanno “l’aiutino”, quello garantito dal pizzino istituzionale e dal santino benedetto.

Abbiamo scoperto che il Comune di Catanzaro è ancora all’attenzione della Procura di Catanzaro, che un’altra inchiesta “parentopoli” partendo proprio dalla “raccomandazione” di famiglia dell’assessore Danilo Russo, non è una ipotesi tanto peregrina, e lo abbiamo visto quando abbiamo analizzato altri atti comunali, dove a beneficiare sono “altri” parenti di “altri” assessori della giunta Abramo, quelli che sono solidali ed usano lo stesso metodo Russo. Abbiamo avuto modo di scoprire che l’asilo comunale Pepe è solo il prologo di una nuova mazzata che sta per abbattersi sul comune di Catanzaro, che investirà frontalmente il settore dei Servizi Sociali, da cui dipende anche l’asilo Pepe, tirando dentro altri consiglieri comunali, diciamo pasticcioni, in parte conosciuti alle cronache giudiziarie ed in parte “new entry” del sistema Catanzaro.

Questa è la colonna sonora dell’orchestra polifonica della massomafia del comune di Catanzaro, dove il silenzio politico anche del sindaco Sergio Abramo e quello morale della Curia cittadina, porteranno alla fine ad una protesta sociale. Solo allora, i tanti “spin doctor” capiranno che non c’è più nulla da fare a cominciare proprio dal figlio prediletto della locale Curia Danilo Russo, che l’immagine è perduta come la faccia e che, tutti, hanno il fango in viso, lo stesso che sporca l’aquila imperiale della città Magnifica et Fidelissima e porpora locale.

Siamo così ritornati alla casella di partenza nel gioco di verità e di complicità, quelle storiche e consacrate che governano la città di Catanzaro: la città della massomafia.

Ripartiamo con slancio cercando di superare le caselle di pegno e con l’aiuto delle inchieste della Procura di Catanzaro, continuiamo nella narrazione delle alleanze e degli abbracci, quelli blasfemi, che legano il sacro ed il profano nella città di Catanzaro, partendo sempre da quel “giudizio negativo” espresso dalla Congregazione per la dottrina della Fede nel 1983, circa l’inconciliabilità dei principi cattolici e massonici. Come lo stato di peccato grave tanto da non poter accedere alla Santa Comunione per i cattolici che appartengono alla massoneria, ai quali resta proibita l’iscrizione.

Cercheremo di leggere il ruolo poliedrico e di potere della Curia di Catanzaro, quello che attraversa l’economia, la politica, la speculazione in una lettura volgare del Vangelo, superando la dottrina, le innovazioni del Vaticano II e le prescrizioni sempre della Congregazione della dottrina della Fede circa l’incompetenza delle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroghe al disposto. Vedremo che spesso, troppo spesso, nella “vigna del Signore” non ci sono gli operai, ma i liberi muratori opportunamente travestiti…

Così la Chiesa catanzarese “illuminata” mantiene la sua influenza tra i grandi e si accaparra il consenso dei piccoli che nei suoi uomini più veri vede una speranza di sopravvivenza. Con una mano affama con l’altra sbriciola avanzi, con una commercia con l’altra lenisce le ferite, con una gioca nei grandi sistemi economici e sanitari e con l’altra destina spiccioli ai più disperati… Con una crea la domanda, con l’altra una misera offerta. Potere e consenso, in una sola mossa.

Le pagine che seguiranno, ben lungi da presentare un esaustivo excursus della storia della Chiesa calabrese e catanzarese, vogliono offrire un’opportunità, non soltanto di conoscere i crimini e le abnormi contraddizioni di un’istituzione sopravvissuta ad ogni tempo diventando complice di certi sistemi massomafiosi, ma soprattutto di comprendere il grande inganno, l’enorme specchio per le allodole che porta credenti e non credenti a pensare di poter vivere con la coscienza a posto e per molti di sentirsi buoni cristiani guardando al proprio interesse e volgendo lo sguardo, quando ogni giorno, ogni minuto, la fame, la violenza, la disperazione e il sopruso, quello benedetto anche da Santa Romana Chiesa attanaglia la vita di milioni e milioni di esseri umani: il nostro prossimo.

Oggi non ci si può più nascondere con l’alibi dell’ignoranza riscoperta come medievale, ricchi e poveri, tutti siamo chiamati all’altruismo quotidiano e alla pretesa di giustizia come forme di politica, anche sociale per i popoli. Nessuna civiltà è tale se sviluppo e progresso sono esclusiva prerogativa di pochi unti del Signore che avvelenano la “vigna”. Non esistono cristianesimi della mondanità, Gesù dei potenti, dei ricchi e men che meno dei massoni. Esiste un Gesù Cristo con il Vangelo per gli uomini e le donne di ogni tempo e le sue parole sono chiare ed inequivocabili: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei Cieli”.

Molte sono le occasioni di imbarazzo della Chiesa calabrese e di quella catanzarese, che ritroviamo nelle inchieste della Dda di Catanzaro. “Basso Profilo”, l’ultimo impegno del procuratore Gratteri, ha disvelato il reticolo di interessi che hanno abbracciato mortalmente la città di Catanzaro, dove politici, prelati, imprenditori, colletti bianchi e infedeli servitori dello Stato sono stati il motore del compromesso anche di ‘ndrangheta, dove tutto era possibile e dove la città era territorio di caccia.

Chi parla, nella captazione del 21 marzo 2018 effettuata dalla Guardia di Finanza, con Antonio Gallo l’imprenditore anello di congiunzione fra la politica cittadina e le ‘ndrine e le locali del crotonese, è don Giovanni Scarpino, giornalista pubblicista, vice direttore del settimanale della Conferenza Episcopale Calabra “Calabria Ecclesia Magazine” e redattore del giornale della diocesi metropolita di Catanzaro-Squillace “Comunità nuova”. Nella stessa diocesi di Catanzaro riveste il ruolo di Cancelliere nella Curia metropolitana di Catanzaro-Squillace e di parroco di “San Massimiliano Maria Kolbe”, oltre che docente nell’Istituto Teologico Calabro “San Pio X” di Catanzaro e Direttore regionale dell’Ufficio Comunicazioni e Cultura della CEC (Conferenza Episcopale Calabra), oltre che riferimento del “Movimento Apostolico”.

Non è certamente l’ultimo prete della Chiesa catanzarese, ma il collaboratore più diretto del Vescovo Vincenzo Bertolone, anche presidente della CEC.

Parliamo di “panni sporchi” della Curia catanzarese, quelli che certificano la relazione fra ‘ndrangheta e colletti bianchi, tramite il “principino” Antonio Gallo detentore dei rapporti pericolosi con preti e prelati, come don Giovanni Scarpino ed il parroco di Vallefiorita, Marcello Froiio in un incontro all’interno di una gelateria a Roma. Non si tratta di una necessità spirituale del Gallo, ma è invece una richiesta di aiuto ai prelati nella convinzione di avere il fiato sul collo da parte degli investigatori guidati da Gratteri. È lì che Gallo si confessa. E il don subito lo rassicura raccontando un episodio che ha del tragicomico. “A questo qua – un sacerdote della diocesi di Catanzaro, don Nicola Rotundo – lo tartassavano…sono stati tre o quattro mesi là…chiusi…lui gli dava una stanzetta…quelli si chiudevano…no?…Lo abbiamo detto al Generale…il Vescovo…che era Ciliberti.. lo disse al Generale…vedi che questa è un’azienda perbene”…discorso chiuso e verifica della GdF conclusa nei confronti della Reti Sud di Catanzaro! Sentire che il prelato aveva interessato un vescovo perché interpellasse un generale della Guardia di Finanza per intervenire sulla pattuglia – annotano gli investigatori – lascia quanto meno sbigottiti. Come sbigottiti lascia la facilità con cui gli indagati potevano avvicinare altri ufficiali della Gdf, da interpellare all’evenienza”.

Non scandalizza capire che alcune vicende hanno una speciale benedizione se trovano la riconoscenza dei riferimenti importanti della Chiesa calabrese, è un metodo riconosciuto. Il Vescovo che si interessa alla conclusione di una vicenda tributaria di un suo sacerdote – lo ritroveremo in seguito – è Antonio Ciliberti, già Vescovo della Curia di Catanzaro-Squillace e predecessore dell’attuale presidente della CEC, Vincenzo Bertolone. 

Tutto viene narrato come se fosse un fatto di normalità, come se la Curia locale oltre a curare le anime, curasse pure gli interessi economici dei suoi figli prediletti dalle verifiche della tributaria. Metodo consolidato, una specie di inquisizione al contrario dove la violenza della Chiesa non colpisce i nativi delle nuove terre, bensì il valore della trasparenza e dell’uguaglianza delle istituzioni, in tutte le declinazioni, nei confronti dei cittadini. Il Vescovo Ciliberti era un affezionato ed un cultore degli interessi della Curia rispetto alle istituzioni democratiche, fu anche indagato per false dichiarazioni al Pm, posizione poi stralciata, in un procedimento di concussione che riguardava un assessore della giunta Abramo, in relazione ad un affidamento alla Fondazione Città Solidale… ricordiamo anche questo riferimento, ci servirà.

Le Chiese sempre più avide di potere temporale si sono insinuate in quel gioco di prepotenza, corruzione e inganno da cui l’insegnamento cristico, invece, ci avrebbe potuti “rendere liberi, ma liberi davvero”. La Chiesa di Catanzaro è esempio ed al tempo stesso insegnamento. E la storia continua…