Catanzaro, il nuovo pentito di “Basso profilo” mette nei guai colletti bianchi e imprenditori

Si è pentito ed ha deciso di collaborare con la giustizia Tommaso Rosa, di 57 anni, imputato nel processo “Basso profilo”, in corso con rito abbreviato davanti al Gup di Catanzaro. Il processo in cui è imputato Rosa riguarda un sistema affaristico-mafioso che si dipana tra uomini d’affari di Catanzaro, imprenditori ed esponenti politici, tra i quali l’assessore regionale al Bilancio ed alle Politiche del personale, Franco Talarico.

Per Tommaso Rosa, il 14 settembre scorso, i sostituti procuratori della Dda di Catanzaro Paolo Sirleo e Veronica Calcagno, nella loro requisitoria, avevano chiesto la condanna a 20 anni di reclusione. Della decisione di Rosa di collaborare con la giustizia si è appreso nel corso dell’udienza di ieri del processo “Basso profilo”.

“Ho chiesto di essere sentito – ha detto Tommaso Rosa davanti al personale della Dia di Catanzaro – perché intendo collaborare con la giustizia per togliermi un grosso peso di dosso”.

Il nuovo pentito – come riporta Calabria 7 – ha riferito dei suoi rapporti con Antonio Bagnato, boss dell’omonima cosca di Roccabernarda, distante dai Grande Aracri di Cutro: “aggiungendo che Bagnato era rimasto male per l’atteggiamento dei Trapasso, i quali dopo l’uccisione di Dragone, il vecchio capo di Cutro, erano passati dalla parte di Nicolino Grande Aracri. Bagnato mi disse inoltre che aveva una venerazione per Cirò”. Ma ha parlato anche di un summit di Bagnato con i paesi vicini, grazie al quale poi intervenne la pace, dei suoi rapporti con l’imprenditore Antonio Gallo, di Sellia Marina, da poco al 41bis, con Andrea Leone, di Catanzaro,con Pierpaolo Caloiero, di Crotone, con Eliodoro Carduccelli, di Catanzaro, e con altri professionisti, in un verbale pieno di omissis.

Fu proprio Caloiero a presentargli Antonio Gallo, confidandogli di avere ottimi rapporti con personaggi di ‘ndrangheta, con i Trapasso, anche se prima del loro arresto, lui si distaccò da loro, legandosi molto a Mario Donato Ferrazzo, detto Topolino. “Gallo mi disse che aveva molti agganci da Reggio Calabria, fino a Cosenza e che nel settore dell’antinfortunistica non doveva pagare mazzette: i lavori li otteneva sia con l’ alterazione delle gare di appalto, sia con affidamenti, nel settore privato, tramite l’intervento delle cosche. In particolare i villaggi turistici erano controllati dalle cosche”. Il neo pentito racconta come Gallo aveva lavorato in un villaggio della Costa Ionica catanzarese, facendolo entrare in società e chiedendogli una percentuale del 10%, “anche quando i gestori del villaggio per ragioni economiche non pagavano. Mi raccomandò di non dire nulla ai Trapasso e a Caloiero di questa percentuale che mi chiedeva”.

Per le truffe e le false fatturazioni, Gallo dava una percentuale alle cosche, in base all’ubicazione dell’azienda “e in ogni caso lui ricambiava i favori mettendosi a completa disposizione delle cosche che lo agevolavano”. Gallò gli riferì di essere molto legato a persone di Cirò, ad un politico reggino al quale era molto devoto e di avere rapporti con la società di Ferrazzo Mario Donato, non intestata a lui, ma a lui riconducibile.

Il neo pentito ha anche riferito il ruolo di Vincenzo De Luca, un collaboratore esterno che coadiuvava Gallo nell’ambito dell’attività reale dell’antinfortunistica. Era lui a rapportarsi ai terzi e ad accompagnare “ il principino” ad incontri con persone legate alla criminalità organizzata. L’imprenditore, era molto abile, a detta del collaboratore di giustizia, a mantenere  buoni rapporti con i maggiorenti delle cosche, attraverso elargizioni che dava in occasione di eventi, quali le ricorrenze festive e l’utilizzo del nome di Gallo consentiva il buon esito delle trattative. Il grosso delle spese per l’apertura delle società venivano messi da Gallo e Leone, mentre il ruolo del neo pentito era quello di intestarsi le società e di individuare buona parte dei dipendenti, premettendo che per le vecchie società i profitti venivano divisi tra Gallo, Leone e un’altra persona al momento coperta da omissis, mentre per le nuove a Tommaso Rosa spettava al di là dei compensi mensili pari a mille euro, la percentuale sui profitti del 10%. “Questo importo in realtà a me non è stato mai consegnato, poiché Leone e Gallo dicevano che veniva reinvestito e lo avrei visto in seguito”. Il neo pentito fa il nome di diverse società con false fatturazioni, menzionando anche Giulio Docimo, “un cosentino che conoscevo e che mi procurava una serie di persone di Cosenza che dovevano lavorare con noi nelle società fittizie”.