Ciao Giuseppe, grazie per avermi insegnato ad amare la tua Rossano

Vent’anni fa, quando lavoravo al Quotidiano della Calabria, all’alba degli anni Duemila, il direttore Ennio Simeone aveva deciso di affidare anche a noi, che lavoravamo alla cronaca di Cosenza, qualche pagina della provincia. Tra di noi ci dicevamo sempre la fatidica frase “‘A provincia è pani tuastu…” perché si lavorava inevitabilmente a distanza e praticamente si pendeva dalle labbra e dagli articoli dei corrispondenti, che all’epoca non impaginavano e quindi ci mandavano i loro articoli dandoci le indicazioni sulla loro importanza e su come andavano messi in pagina. Non era proprio un lavoro semplice ma faceva parte della “gavetta” di ogni giornalista di redazione che si rispetti.

A me erano toccate la pagine di Rossano e costa jonica e il mio referente era Giuseppe Savoia, che stamattina purtroppo ci ha lasciato causa Covid. Rossanese doc (non rivelo certo un mistero dicendo che allora come anche oggi, nonostante il referendum, c’era e c’è grande rivalità con Corigliano), aveva anche un altro lavoro – all’Agenzia delle Entrate – e quindi mi toccava chiamarlo quando rientrava a casa, nel tardo pomeriggio, per capire come avremmo dovuto impostare le sue pagine. Fosse stato per lui ne avrebbe fatto anche tre, quattro, cinque… gli piaceva il mestiere e non si stancava mai.

Giuseppe era un decisionista nato, sapeva come andavano le cose, soprattutto in politica, e aveva un’interpretazione, spesso sarcastica, di quanto accadeva, condita dal suo inconfondibile slang rossanese che non solo avevo imparato a “decifrare” ma mi piaceva anche imitare. Mi ero così identificato nella sua dimensione rossanese che ci prendevo gusto a dialogare con lui dei temi portanti di quel periodo: la Centrale Enel, la sindacatura di Filareto, le bellezze del Codex Purpureus e del mare di Rossano con tutti i suoi lidi, i temi ambientali che vedevano protagonista un giovanissimo Flavio Stasi con il suo movimento Terra e Popolo, le immancabili considerazioni sulla statale 106 e persino la passione calcistica per la Rossanese, rossoblù come il mio Cosenza e con un gruppo di fedelissimi che negli anni Novanta partivano con noi in trasferta nei treni speciali per vedere la Serie B e che erano nostri comuni amici. Ironizzavamo anche sul vecchio adagio “Russanu, terra russa e mali cristiani”, che ovviamente lui contestava e attribuiva ai soliti “avversari” della porta accanto e che in ogni caso riusciva comunque a strappargli una risata dopo la consueta e inevitabile imprecazione.

La nostra collaborazione era durata circa un anno ed era stata valorizzata anche da un buon numero di copie vendute nella sua zona, che gratificavano sia lui che me. Poi il direttore ci faceva ruotare anche con altri corrispondenti e perciò lo avevo perso di vista, e qualche anno dopo avevo deciso di andare via dal Quotidiano all’epoca della famigerata scissione di dicembre 2005. Ricordo che prima di lasciare la mia postazione gli avevo telefonato per salutarlo e oggi custodisco gelosamente quei pochi minuti di conversazione come uno degli aspetti più belli della mia e della sua professione. Giuseppe mi diceva che fare giornalismo dalle sue parti non era un’impresa facile e che spesso si trovava in mezzo a tanti fuochi e non sapeva neanche lui che pesci pigliare. Ma non aveva mai mollato e aveva continuato stoicamente fino a poche settimane fa.

Nei giorni scorsi avevo appreso dai report dell’ospedale dell’Annunziata che Giuseppe era stato ricoverato in Rianimazione e avevo chiesto conferma a qualche collega, che purtroppo me l’aveva data. Speravo con tutto il cuore che ce la facesse ma purtroppo non ce l’ha fatta e oggi sono qui a fare quello che non avrei mai voluto. Ciao Giuseppe, e mantieniti forte come mi dicevi sempre ad ogni conclusione di telefonata, dovunque ti trovi adesso. Che la terra ti sia lieve.

Gabriele Carchidi