Conte: “Comunità 5S ha già un piede fuori dal governo: risposte entro fine luglio”

(DI LUCA DE CAROLIS – Il Fatto Quotidiano) – Niente giacca e niente pochette, questa volta l’avvocato se ne sta in maniche di camicia bianca. Vuole mostrare che non può scendere dalle barricate, almeno non subito, non così. “La nostra comunità sta con un piede fuori dal governo” assicura Giuseppe Conte dentro la sua stanza nella sede romana del M5S. “Servono ragioni per restare dentro l’esecutivo, vogliamo risposte vere e risolutive entro luglio” scandisce, con il tono di chi non vuole mostrarsi pacificato, malleabile.

Poche ore prima ha incontrato Mario Draghi a Palazzo Chigi, consegnandogli un elenco di richieste e rivendicazioni: dal reddito di cittadinanza al taglio del cuneo fiscale, fino al superbonus. Il suo rilancio, al tavolo di governo che in cuor suo non vorrebbe abbandonare. Non vorrebbe lo strappo, Conte, che in mattinata aveva riunito il Consiglio nazionale, ricevendo dalla maggioranza dei dirigenti la stessa indicazione: non rompiamo, non ora. Ma il corpaccione parlamentare e tanti big la pensano diversamente. Così sul decreto Aiuti Conte indica una linea che è un equilibrismo: oggi, salvo sconvolgimenti notturni, il Movimento voterà sì alla fiducia sul decreto ma si asterrà sul provvedimento, che racchiude anche la norma sull’inceneritore a Roma. “Sarà una fatto di chiarezza politica, di coerenza” sostiene l’ex premier, facendo riferimento ai ministri grillini che sul testo si astennero già in Consiglio dei ministri.

Però in Senato, dove è previsto un voto unico, non si potrà usare lo stesso espediente. Soprattutto, i suoi gruppi parlamentari fremono, in particolare a Palazzo Madama. In larga parte vorrebbero strappare, e glielo ridicono nell’assemblea congiunta serale. Mentre dalla Russia Alessandro Di Battista infierisce tramite Facebook: “E anche oggi il Movimento esce dal governo domani. Esprime a Draghi il proprio disagio, come se uno dei peggiori presidenti del Consiglio della storia fosse un prete nel confessionale”. Colpisce, anche il possibile figliol prodigo che Conte riabbraccerebbe volentieri. Perché a Di Battista non è piaciuto l’avvocato di ieri, quello che appena uscito da Palazzo Chigi ha teorizzato: “Siamo disponibili a condividere una responsabilità di governo come fatto sin qui in modo leale e costruttivo, ma occorre un forte segno di discontinuità”. Troppo poco per l’ex deputato, troppo poco per molti parlamentari. A Conte mostrano il suo post quasi in tempo reale. L’avvocato non ha voglia di morderlo: “Non fatemi commentare il pensiero altrui”. Poi però lo dice: “Per Di Battista ogni giorno senza uscire è un giorno perso, ma la sua linea non è la mia”.

Ma quale è la rotta che vorrebbe, e quali sono i problemi su cui ha insistito con Draghi? Conte parte così: “Noi del M5S siamo in sofferenza perché si sono accumulate una serie di difficoltà. C’è un tema di dialettica politica, sono sparite le cabine di regia, i testi da approvare arrivano all’ultimo momento prima del Consiglio dei ministri, spesso convocato solo con poche ore di anticipo. Se ne è lamentato il nostro capodelegazione Stefano Patuanelli, e anche quello del Pd, Andrea Orlando”. Insomma, “c’è un problema di metodo e di merito”. E l’ha detto a Draghi? “Certo, l’ho scritto anche nel documento” precisa l’avvocato (“il Cdm non può essere relegato a mero consesso certificatore”, ndr). Un nodo tra i nodi. “Noi non chiediamo rimpasti o poltrone” ripete Conte. Però ora gli servono risposte, magari bandierine, anche per tenere i suoi. Alle telecamere del fattoquotidiano.it, glielo ricordano due big. In successione, Riccardo Fraccaro: “Senza risposte a breve, restare nel governo non avrà senso”. E poi Stefano Buffagni: “Se devi prenderti il costo di sostenere un esecutivo devi poter incidere”. Due voci, da un coro che l’ex premier sente ogni giorno. Però è da tempo che si parla di Movimento con un piede fuori: non è che lei, Conte, è l’uomo dei penultimatum? Solo a sentire la parola, l’avvocato s’inalbera, alza la voce, pare offeso: “Ditemi quali sono questi penultimatum”.

Gli ricordano che non voleva la fiducia sul dl Aiuti, arrivata ieri mattina, e lui replica: “Era uno sfregio al Movimento, confermo. Quali sono i penultimatum?”. Non può essere tranquillo, l’avvocato, svuotato da una scissione, con alla porta anche una minoranza di governisti pronti ad abbracciare Luigi Di Maio in caso di addio a Draghi. Gli rammentano che la definizione di uomo dei penultimatum è comparsa anche sulla bocca di Beppe Grillo – era lo scorso novembre – e lui: “Mi riferite una sua opinione o una vostra?”. Rivendica: “La centralità del Parlamento l’abbiamo difesa noi, ma abbiamo avuto tutti contro”. E le richieste nel documento, sono un ultimatum? “Noi non siamo pagliacci, rispetto a un grande disagio dobbiamo conoscere le ragioni per andare avanti con l’esecutivo. Servono risposte, e di certo non aspetteremo mesi”. Quindi ora romperete? In Senato il voto su fiducia e provvedimenti è unico… “C’è una linea di continuità su questo, siamo stati chiari già in Cdm, non sono io a dovermi giustificare ma chi insiste” ringhia l’avvocato. Ma dei segnali chiari prima della fiducia in Senato, quanto aiuterebbero? “Non mi faccia parlare con i se, le abbiamo chieste le risposte, e comunque manca ancora tempo, siamo una comunità e rifletteremo”.

Nell’attesa però il dem Dario Franceschini è stato chiaro: se il M5S sce dal governo, non ci sarà più l’alleanza giallorosa. Ma su questo, Conte rialza la voce: “Noi non subiamo diktat che lasciano il tempo che trovano, il Movimento andrà in alleanza solo se ci sarà piena condivisione sui programmi e coesione, piena collaborazione. Sono le nostre condizioni”. Non solo: “Io dico no al mucchio selvaggio solo per sconfiggere le destre, un obiettivo che a noi sta a cuore, sia chiaro”. E se in coalizione ci fosse Di Maio? “Lasci perdere…”. Si cammina su una lastra di ghiaccio, è evidente. E non infrangerla a questo punto non dipenderà solo da Conte. Ogni passo pesa, a questo punto. E tra una riflessione e l’altra l’ex premier la butta lì: “Senza il M5S i numeri ci sarebbero per il governo, a quel punto starebbe a Draghi decidere cosa fare”. Sembra un riferimento a un appoggio esterno. Evocato, forse, come ipotesi di scuola. O forse no. Nell’attesa Conte saluta. In serata, riconvoca il Consiglio nazionale.

Poi, alle 20.30, è tempo di assemblea congiunta con i parlamentari. E dal palchetto il presidente drammatizza, subito: “Il tempo è già scaduto, questo governo deve cambiare marcia. E io a Draghi non ho dato alcuna rassicurazione sulla nostra permanenza. Noi non stiamo qui a reggere il moccolo al grande centro o alla destra”. Poi la parola passa ai parlamentari. Ed è una pioggia di interventi che chiedono di uscire subito dal governo, o quanto meno di chiedere agli iscritti online se restare o no. “Un plebiscito” osserva un deputato. E un altro segnale a Conte, un leader in mezzo a mille fuochi.