sabato, Maggio 4, 2024
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Coronavirus, 28° giorno. Vendite allo scoperto: quelle scommesse per fare profitti quando il mercato crolla

Vendite allo scoperto: quelle scommesse per fare profitti quando il mercato crolla

Gli investitori che puntano sui ribassi azionari possono vendere i titoli senza possederli. Ecco come funziona lo short selling e quando le autorità possono vietarlo. Con un dubbio: è etico scommettere contro un’azienda o un Paese?

di RAFFAELE RICCIARDI

Fonte: Repubblica

MILANO – Se un ortolano vi vendesse delle mele che non ha sul suo banco, porbabilmente credereste si tratti di uno scherzo. Nel campo finanziario, invece, le cosiddette “vendite allo scoperto” sono una prassi ormai consolidata e ampiamente regolamentata dal livello europeo alle singole Autorità che gestiscono i mercati finanziari.

Vendere allo scoperto – operazione che gli anglofoni definiscono short selling – consiste nella “vendita di strumenti finanziari non posseduti, con successivo riacquisto” (sintesi di Borsa Italiana). Una modalità di intervento sui mercati che implica la convinzione da parte degli investitori di un ribasso degli strumenti oggetto della vendita allo scoperto. Sono dunque delle scommesse sul fatto che un’azione o un titolo in genere andrà male e il suo prezzo scenderà. Il guadagno per lo scommettitore sarà dato dalla differenza tra il prezzo di vendita e quello del successivo riacquisto.

Perché l’operazione sia realizzabile, è necessario l’intervento di un soggetto esterno: una banca o un broker che “presta” le azioni oggetto di vendita allo scommettitore al ribasso. Un ruolo per il quale gli viene riconosciuta una commissione. Alla chiusura dell’operazione, in una certa data o al raggiungimento di un certo livello di prezzo, al broker andrà restituito lo stesso quantitativo di azioni.

Vantaggi e svantaggi dello short selling

Scommettere al ribasso è una strategia che gli investitori adottano per cercare di fare profitti anche in una stagione di Borse in calo, come avviene in queste settimane. Ci sono poi delle vendite allo scoperto “mirate”, quando si concentra il fuoco su singoli titoli e comparti. Non sono mancati casi di fondi speculativi che hanno adottato la strategia di aprire posizioni corte su determinati titoli per poi sfruttare studi o analisi particolarmente negativi sulle aziende oggetto delle loro scommesse, per poi passare all’incasso dopo i contraccolpi di Borsa. Ci sono, infine, strategie meno aggressive che prevedono di utilizzare le vendite allo scoperto come una sorta di tutela del proprio portafoglio, ovvero di bilanciamento in caso le quotazioni di Borsa si rivelino più negative del previsto.

Vincenzo Longo, che per il broker brittanico Ig si occupa della gestione dei clienti premium in Italia, spiega che le vendite allo scoperto sono “il principale strumento per approfittare di una fase di ribasso” e l’unico “per scommettere contro il titolo fisico, senza cioè ricorrere a prodotti finanziari derivati”. D’altra parte, ci sono potenziali svantaggi: “Voci di costo importanti, come il premio che si paga al fornitore dei titoli prestati e le garanzie che spesso richiede”. E lo stesso interesse richiesto dai broker può crescere sensibilmente nel tempo: “Se si diffonde l’aspettativa di ribassi di un titolo sul mercato, tutti lo vogliono shortare e allora chi lo ha in portafoglio richiede un alto interesse per prestarlo”. Altro rischio da non sottovalutare, spiega ancora Longo, è che “il fornitore dei titoli può chiedere indietro il pacchetto in qualsiasi momento. Il ribassista potrebbe trovarsi nella situazione di dover chiudere la sua posizione e cercare altri titoli sul mercato”.

Scommettere al ribasso non è quindi sinonimo di guadagno assicurato. Ipotizziamo una posizione corta contro un’azione Z che oggi vale in Borsa 2 euro. Se decidessi di vendere allo scoperto 4 mila euro di quelle azioni (cioè un pacchetto da 2 mila titoli) ma il prezzo salisse a 2,3 euro, al momento di restituire lo stesso pacchetto d’azioni al broker che me le ha prestate dovrei spendere 4.600 euro, incassando cioè una perdita. E da questo punto di vista bisogna stare attenti, perché in linea teorica il prezzo potrebbe crescere fino all’infinito e tale potrebbe esser la perdita.

Short Selling, l’esempio di Borsa Italiana

Supponiamo che un investitore ritenga che il titolo X vada incontro ad un movimento dei prezzi ribassista, egli può decidere di vendere questo titolo anche se non lo possiede. Ad esempio decide di vendere 1000 azioni X al prezzo corrente, poniamo 10 euro. Verificata la disponibilità da parte del broker a prestare il quantitativo del titolo X oggetto di vendita, l’investitore vende ed incassa il controvalore, pari a 10.000 euro.

Il broker congela quanto l’investitore ha incassato dalla vendita più un ulteriore importo detto margine di garanzia (supponiamo il 50%, quindi 5.000 euro). Qualora l’operazione non venga chiusa in giornata, il broker richiederà all’investitore il pagamento di un interesse sul controvalore dell’operazione, supponiamo pari al 20% su base annua. L’importo degli interessi dipenderà dalla durata dell’operazione. Ipotizzando che questa sia di 5 giorni, gli interessi da pagare saranno pari a (10.000 euro x 20 x 5) / 36500, cioè a 27,7 euro. Supponiamo che, dopo 5 giorni, alla data di chiusura dell’operazione, le previsioni si siano rivelate esatte e il prezzo del titolo sia sceso a 9 euro. L’investitore potrà riacquistare 1000 azioni X al prezzo di 9 euro spendendo 9.000 e restituirle al broker che glie le aveva prestate. Il profitto totale realizzato sarà pari a 972,3 euro (cioè 10.000 – 9.000 – 27,7).

Le regole sullo short selling e il dubbio etico

La regolamentazione europea introdotta dal novembre del 2012 (Regolamento (Ue) N. 236/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio) ha introdotto obblighi di segnalazione delle posizioni nette corte sopra una certa soglia e alcune limitazioni alle vendite allo scoperto degli strumenti finanziari e all’acquisto di credit default swap degli Stati. “In precedenza – ricordo Longo – erano possibili le cosiddette vendite ‘nude’, che avvenivano senza nemmeno la disponibilità dei titoli, ovvero la garanzia che un prestatore (in genere il broker) disponesse dei titoli da fornire all’investitore”.

Oggi ciò non è più concesso e Consob pubblica sul suo sito quali sono le società verso le quali gli operatori dei mercati hanno aperto delle “posizioni nette corte”, appunto le scommesse al ribasso. In casi straordinari, come avvenuto oggi in Italia e Spagna, può vietare questa strategia di investimento. Può funzionare per limitare i ribassi? “In passato, questi divieti non hanno dato prova di esser strumenti particolarmente efficaci” risponde l’esperto. “Possono stemperare la speculazione temporanea, ma è chiaro che servono altre misure perché la tendenza si inverta in maniera significativa. Nel caso di queste ore, solo una forte azione dei leader politici e dei governatori potrà portare sollievo alle Borse. Diversamente, la pressione al ribasso resterà forte e duratura e non ci sarà divieto in grado di arginarla”.

Più forte sembra esser un’altra obiezione, di tipo etico, che prende piede tra gli investitori: “In Italia è un tema molto sentito: shortare vuol dire scommettere contro un Paese, un’azienda, i suoi lavoratori e le sue famiglie. Molti operatori non vogliono fare questa scommessa”.