Coronavirus, l’epidemia è un “io” infettato (di Saverio Di Giorno)

di Saverio Di Giorno 

Ormai se non parli di Coronavirus non sei nessuno. E nessuno intende togliere l’attenzione morbosa (questa sì) dai contagiati. Non essendo virologi è difficile distinguerlo da altri virus che appestano questa nazione, ma raccogliendo i ricordi e racimolando qualche libro, una cosa è saltata fuori: il contagiato è una categoria mentale e i più malati di tutti sono i meridionali.

Tanto per buttare giù qualche punto fermo ormai acclarato: non è un’infezione mortale (tranne che per immunodepressi o anziani); in Cina è in fase discendente e siamo il paese europeo con più contagiati solo perché siamo quello con più controllati. Difficile dire qualcos’altro di medico, per cui via alle divagazioni.

Ne “La peste”, la città di Orano divenne un ghetto. E al suo interno ognuno reagì a modo suo: chi cinicamente vi lucrò sopra, chi eroicamente mise a disposizione tutte le sue energie, chi fece finta di nulla e così via. Tutti meccanismi di difesa dell’io, l’ironia, la razionalizzazione e anche il nervoso.  Quasi tutti iniziarono a sospettare gli uni degli altri. Camus aveva in mente un morbo preciso: il nazismo. E descrisse in mezzo a quale tipo di società potesse attecchire. Una società di sospettosi e indifferenti, avrebbe scritto Moravia in Italia.

Durante un’epidemia, se ti trovi al supermercato non hai tempo e modo di pensare ai numeri: se il tizio davanti a te starnutisce, devi agire in fretta e nel dubbio lo allontani. Devi agire nel dubbio. E nel dubbio le pulsioni hanno modo di emergere libere e anche giustificate dalla prevenzione. Le ipocrisie di cui sono fatti i rapporti sociali crollano. Lentamente le città non sono più fatte di uomini, ma di tanti virus che camminano. È il punto in cui il virus ha già infettato la mente.

Per esempio la comunità cinese in molti casi non si è mai inserita. È utile, perché i negozi sono economici. Ora però è divenuto chiaro, altrimenti non si spiega perché sono stati isolati individui e attività che sono in Italia da anni e la Cina non l’hanno mai vista. Nel dubbio non si sa mai. Altro esempio? I meridionali.

I meridionali, il famoso popolo dell’accoglienza ha tirato fuori un razzismo inverso. Un senso di rivalsa e di vendetta contro il nord invasore e razzista. Come nell’inferno dantesco si è posti lombardi e veneti alla regola del contrappasso, anche qui giustificata dalla prevenzione. Le ironie e le battute tradiscono questo aspetto: i meridionali non sono diversi da chi li ha discriminati.

Come spiegano i sociologi, se ti chiamano per una vita intera criminale, cominci a delinquere e se ti chiamano per un’intera vita terrone, terrone ci diventi. È così. Il meridionale è prima di tutto una categoria mentale, dello spirito forse. Ma a questo punto sarà anche vero che se sei discriminato per generazioni, diventi come il tuo aguzzino e inizi a discriminare. Quando si dice “noi che sappiamo cosa vuol dire essere discriminati…” bisogna concludere che proprio per questo hanno imparato a farlo bene.

E i meridionali hanno imparato a farlo bene perché il sud da tempo è diventato malato di sospetto. Si sospetta da chi riesce nel lavoro o nella vita perché viene il dubbio che ci sia qualcosa dietro. Si sospetta di chi ti offre aiuto o lavoro, perché chissà cosa vuole in cambio. Si sospetta di chi “predica” bene, perché chissà che interessi ha. Sono sospetti più che giustificati perché in luoghi dove la masso-mafia controlla le carriere, dove delinquere conviene e l’immobilismo è regola, riuscire è strano. È dal sud che è partito questo virus che ha pervaso l’Italia. La logica del sospetto si è estesa alle ONG, alla Rackete ecc. Il complotto e l’insabbiatura al sud è una pratica conosciuta, ma in questi altri però i sospetti non sono per niente giustificati e sono solo ridicoli.

Quando al posto di una persona si vede Soros, i banchieri e chissà chi altro, il virus ha già infettato il cervello. Quando al posto di un ragazzo cinese vedi un essere verde fluorescente con mille tentacoli, il virus è nella tua testa e non è il Coronavirus, ma una piccola infezione che è latente da tempo. Da tanto tempo. Sul quale può infilarsi sia un essere microscopico che un essere più grosso comunque verde con mille social.

L’epidemia è un “io” infettato. Putrescente, rachitico perché incapace di crescere ed evolversi. Che già non respira più soffocato da una montagna di pelle e organi. Il razzismo non può che attaccare a chi gli resta solo la pelle per descriversi. Ai virus non resta che gli organi da attaccare perché il resto è andato via. Soprattutto al sud che è rimasto soltanto una terra di ettari di pelle ormai troppo indurita.