Cosenza, 12 aprile 1943: la brutalità della guerra non risparmiò nessuno (di Demetrio Guzzardi)

di Demetrio Guzzardi

Nella storia recente di Cosenza, non c’è data come quella di lunedì 12 aprile 1943 che possa raccontare un episodio più drammatico; nessun cosentino avrebbe mai pensato che in un giorno di primavera dal cielo piovessero bombe e morte. Nessuno fu risparmiato, dai più piccoli agli anziani, ai negozianti, agli artigiani a quelli che lavorando alle ferrovie, erano tutti intenti a trasportare le persone dalla città capoluogo ai vari paesi che fanno da corona a Cosenza.

C’era anche un circo equestre che aveva montato le sue tende nei pressi del Crati, per strappare un sorriso a chi poteva comprare il biglietto per lo spettacolo. Poi dall’azzurro del cielo… il nero della morte, la distruzione, case bruciate, vite spezzate o mutilate, niente più come prima. E l’orrore della morte che veniva dal cielo si ripeterà per altri 150 giorni; la brutalità della guerra non risparmiò i luoghi della cultura e finanche ospedali, orfanotrofi, conventi e chiese. Arrivò anche sulla scalinata di San Gaetano, dove un prete, don Luigi Maletta, molto vicino ai poveri e ai sofferenti, raccolse gli ultimi istanti di vita della madre e della sorella.

Per i cosentini in quell’estate 1943 allontanarsi dalla città fu l’unica via di scampo, cercando un rifugio nei paesi circostanti, tra parenti e amici. Le bombe e la morte fecero scappare tutti; anche gli oggetti più sacri e venerati presero la via di un rifugio sicuro: la venerata icona della Madonna del Pilerio fu portata a Pietrafitta dai frati minori e il miracoloso Crocifisso della Riforma fu messo in salvo dall’incendio che distrusse quasi tutto della chiesa e del convento dei cappuccini, portato a piedi e in spalla da padre Daniele Gil, nel santuario della Madonna della catena a Laurignano. Anche la preziosa Stauroteca fu messa in salvo e, per paura delle distruzioni e delle ruberie, di nascosto fu portata a Roma e custodita nei Musei Vaticani.

Tanti, troppi i segni che quella devastazione aveva lasciato; i morti furono pianti e seppelliti, ma i feriti portarono per sempre sulla loro carne quelle cicatrici incancellabili. Per solennizzare gli 80 anni dal 12 aprile 1943, pubblichiamo il reportage della prof.ssa Roberta Fortino che ci costringe a fare un tuffo nel passato per conoscere episodi che non erano del tutto noti al grande pubblico, o lasciati solo al ricordo dei parenti delle vittime e dei mutilati. C’è un però di questa storia che riguarda tutti noi, ancora dopo tanti anni; periodicamente, pure a Cosenza, casualmente ci sono dei ritrovamenti di ordigni bellici inesplosi, che ci fanno ritornare a quei drammatici giorni.

Roberta Fortino, autrice del volume “Cosenza bombardata”, da bambina, trovò nei pressi della sua abitazione a Donnici, un proiettile inesploso con cui si mise a giocherellare e solo l’intervento di uno zio che le tolse di mano l’ordigno e la pietra con cui stava cercando di aprirlo, ha evitato il peggio. Le bombe lanciate e non esplose, degradano molto lentamente, rimanendo attive per decenni; purtroppo continuiamo a convivere con un passato, a volte tragicamente presente, una vera discarica bellica sotto i nostri piedi: vengono rinvenuti ogni anno 50 mila ordigni inesplosi. Dovremmo far nostro il preambolo dello Statuto dell’Onu che recita: «Salvare le future generazioni dal flagello della guerra».