Cosenza 2016, John Trumper: “C’è cultura e cultura!”

John Trumper, il docente gallese di Glottologia all’Università della Calabria, è il candidato di punta della lista Cosenza in Comune che sostiene Valerio Formisani sindaco.

Gli abbiamo fatto tre semplici domande.

Oltre ai massimi sistemi propóstici di recente, lei ha qualche proposta seria sugli interventi culturali?

‘C’è cultura e cultura!’

Le sagre, i concertoni, le manifestazioni religiose sono eventi culturali? Sì, lo sono. I convegni, le presentazioni di libri, le conferenze del personaggio famoso sono cultura? Sì, lo sono. Perché, se si accetta la definizione che usiamo noi studiosi, ‘cultura’ è ogni manifestazione attuata dall’uomo in rapporto col mondo che lo circonda.

Una città è colta se è abitata da cittadini consapevoli che imparano a interagire con chi li governa, mettendo nelle giuste caselle diritti e doveri, dando e pretendendo, secondo le regole del corretto e civile gioco democratico, che è cosa molto concreta. Ma per ottenere questo c’è bisogno anche di altro.

Siccome ci si abitua al brutto come al bello (sui tempi non saprei), una città colta e civile si fa più lavorando quotidianamente sulle persone che proponendo ‘eventi’; si fa parlando con chi si incontra, comportandosi correttamente e vigilando che lo faccia il tuo vicino.

seminaria

Si fa creando momenti di scambio come avviene ad esempio, da anni, con la programmazione di Seminaria che, in associazione con Auser Cosenza (CGL), organizza incontri per conoscere autori che siano disposti a condividere il loro libro e la loro esperienza, oltre che firmare autografi, come divi della Tv, e chiede ai propri iscritti di mettere in comune i frutti del loro lavoro e delle loro ricerche, che escono sul territorio e lo studiano dall’interno.

La confusione tra eventi culturali e cultura è uno tra gli errori più pericolosi che un amministratore possa fare. Creare manifestazioni, per quanto degne, ha dei limiti insuperabili. Questi possono essere: trovarsi tra i soliti noti, che poco hanno da condividere e comunque ancor meno con l’esterno, pensare che il bagno di folla lasci qualche ricaduta; privilegiare una visione televisiva, nel senso deteriore (il divo culturale, spesso, parlando di qualsiasi cosa, in realtà parla solo di sé). Tutto questo serve a ben poco.

L’abitudine a scambiare opinioni e esperienze, l’offerta costante e abituale di cinema, stagioni teatrali (musicali e di prosa) dignitose, buone biblioteche, anche di quartiere, ben fornite di personale che sappia stare a sentire gli utenti, occasioni numerose e differenziate di incontri che interessino i cittadini. In due parole: capillarità e continuità!

L’università e la scuola devono essere inserite in un contesto sano e adeguato. Quali sono le proposte vere, e non chiacchiere?

‘Chiediti che cosa il Comune può fare per te e che cosa

puoi fare tu per la comunità!’

Il ruolo del Comune nei confronti delle istituzioni culturali, scuole, università e ogni altro ‘fornitore’ di cultura non può essere certo quello di determinare politiche di intervento diretto, né di limitarsi a proporre sedi o elargire borse di studio. Non che non sia meritevole adoperarsi in questo senso, ma è molto più importante, e in prima istanza immediatamente attuabile, creare le condizioni per ospitare, favorire, affiancare le attività, ordinarie e straordinarie, delle istituzioni culturali.

In termini pratici, una città ordinata, attenta al decoro urbano, ricca di luoghi fisici ben tenuti, in un contesto adeguato (non singoli palazzi restaurati per raggiungere i quali si deve affrontare un percorso di guerra), può mettersi a disposizione di scuole, enti, università per ospitare le attività che da un contesto urbano, di grande valore, possono trarre vantaggio, pratico e culturale.

Un’attenzione a istituzioni che erogano cultura, ad esempio le biblioteche, che sia costante, e concreta, un approccio che privilegi azioni, magari limitate ma permanenti, che sottraggano gli interventi di cui il Comune si fa carico, o a cui partecipa, alla sfera dell’eccezionalità, dell’episodio, dell’intervento eclatante, che provoca discussioni più che ricadute permanenti.

Un amministratore ‘oculato’ dovrebbe avere il coraggio, oltre che dell’impopolarità, quando è necessario, di impegnarsi in interventi che lascino meno il segno, specie se negativo, del suo passaggio, per concentrarsi su quelli che migliorano dal basso la qualità della vita, in questo caso, culturale, della città.

Senza aver paura di contaminare e contaminarsi: un vezzo di alcuni intellettuali dell’Atene della Calabria è quello di ritrovarsi tra loro a disquisire della Vera Cultura. Per me la cultura è sapere le cose, metterle a disposizione o stare ad ascoltare chi ne sa di diverse. In questa prospettiva, le occasioni ‘culturali’ diventano moltissime e si estendono quasi naturalmente al territorio.

Che cosa s’intende per ‘turismo culturale’ e i suoi sviluppi, oltre a Piazza Toscani e ai Murales, oltre a ‘Cosenza si trova a metà strada tra il mare e la Sila’?

‘Chiediti che cosa cercano i turisti e daglielo!’

Il paradosso in cui cadono, qualche volta in buona fede, altre volte no, molti esperti o amministratori è quello di celebrare le bellezze –decadute, abbandonate, bisognose– della nostra città e poi passare oltre, appoggiare, sponsorizzare, imbarcarsi in imprese che vanno in direzione opposta e contraria.

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Un palazzo, tra i più pregevoli di Cosenza, Palazzo di Tarsia, il cui portale (1570 circa) era a due metri in linea con il famigerato crollo di via Gaeta, ha subito impavido i colpi dell’avversa fortuna e dei macigni che lo bersagliavano durante la demolizione del palazzo di fronte, crollato. Non una protezione, non un’azione concreta da parte dei critici d’arte, dei sovraintendenti e dei primi e secondi cittadini (tutti si sono, però, mortalmente offesi con chi gridava il suo sconcerto e il suo dolore).

Primo paradosso: i palazzi antichi erano sotto ‘attacco’, i murales dell’inaugurando Museo storico all’aperto venivano appesi loro di fronte, quasi a schernirli. Loro sì sono stati immediatamente dotati di una mascherina di protezione contro le intemperie.

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Il secondo paradosso è che non occorre molta lungimiranza per capire che nessuno, nemmeno i turisti più sprovveduti, pagherebbero per vedere dei murales o un fantomatico sito basato sulla tomba di Alarico (trattato come pagano e non un cristiano eretico!), se il loro scopo è vedere una città d’arte. A Firenze, a Siena, a Padova, a Venezia, e quindi anche a Cosenza, Calabria, ci sono veri monumenti. Se nel percorso si offre ai visitatori qualche spunto folkloristico, curioso, non c’è nulla di male. Basta mettere le cose nelle giuste caselle.

La dignità culturale non si riconquista, non si mantiene né autoattribuendosi epiteti –Atene della Calabria–, né plaudendo al personaggio famoso che ci viene ad insegnare chi siamo e da dove veniamo.

Azioni piccole, in alternativa, almeno economica, con quella dei murales o simili, potrebbe essere far adottare agli sponsor e a cooperative di privati un portale, una facciata, un’icona, un elemento suggestivo e di reale valore artistico, in attesa di interventi strutturali. Questo forse cancellerebbe in parte lo stupore dal viso dei turisti che si fermano a chiedermi perché il centro sia così abbandonato e come si possa vivere così. Vorrei poter essere fiero di dove vivo e non dover più rispondere: “perché non la voglio dare vinta a chi fa di tutto per costringermi a scappare!”.