Cosenza, bomba a piazza Fera: in ogni caso c’è sempre di mezzo la ‘ndrangheta

Sono passati tre giorni e ancora non ci sono novità di rilievo nelle indagini per chiarire la natura della violenta esplosione che ha distrutto il “Bilotti cafè” tra via Caloprese e piazza Fera e danneggiato seriamente un altro negozio vicino e il portone d’ingresso di un condominio. Ormai ci sono ben pochi dubbi sulla matrice dolosa dell’esplosione e anche se qualcuno nutre dubbi sulla buonafede del titolare del bar, Gianfranco Parise, 62 anni, lasciando intendere che potrebbe essere stato proprio lui il “regista” del fattaccio, è evidente che, anche in questa ipotesi, non possa che aver chiesto aiuto alla criminalità organizzata.

Talvolta le estorsioni o comunque le richieste di esplosioni per truffare le assicurazioni non sono messe in atto e/o gestite da un capo mandamento ma da semplici malavitosi locali, che nel corso del tempo possono diventare di alto rango, oppure “accasarsi” in una delle aziende che hanno taglieggiato, trincerandosi dietro una “busta paga” mensile. Quindi sono perseguibili alla stessa stregua, se non più incisivamente, di un capo mandamento.

Comunque, e in ogni caso la si voglia guardare, sempre di organizzazione criminale di stampo mafioso/ndranghetistico/camorristico si tratta, perché anche questi soggetti – e ribadiamo, compresa l’ipotesi che siano stati chiamati dallo stesso titolare del bar – probabilmente a loro volta devono pagare dazio al capo mandamento solo per poter dire “conosco un amico che…”.

Per il fatto che non si chiamino Totò Riina o non siano suoi diretti discendenti, questi soggetti non possono essere definiti né vandali né cani sciolti né tantomeno soggetti in preda ai fumi dell’alcol e/o della droga perché è evidente che una bomba in grado di combinare quel disastro non l’hanno trovata in mezzo alla strada o comprata al supermercato…
Anche quando bruciano un automezzo che prima è stato rubato, lo fanno perché non hanno avuto il cosiddetto “cavallo di ritorno”, oppure perché il proprietario non si è andato a trovare un “amico” che potesse conoscere qualcuno in grado di fargli ritrovare l’autovettura, dietro un semplice “regalo” che altro non è che una estorsione con richiesta di tangente. Ma se proprio vogliamo continuare a sostenere che Parise si è fatto l’attentato “da solo”, è chiarissimo che deve aver coinvolto qualcuno. 
A questo punto, facciamo un esempio pratico di reazione da parte di un imprenditore finito nel mirino della malavita. Ci sono due linee di azione che un malcapitato imprenditore può mettere in atto. Alcuni, apparentemente più risoluti, si cercano l’amico degli amici per provare ad apparare. Altri, non perché più stupidi, vanno dai carabinieri. Ma nel caso della bomba a piazza Fera non rientriamo in questa casistica.
Adesso, invece, vediamo di capire cosa succede se l’attività investigativa è inserita in un contesto territoriale nel quale agisce un’organizzazione ‘ndranghetistica già conclamata come a Cosenza, dove – anche se la procura e i carabinieri vi diranno il contrario…. – la ‘ndrangheta esiste eccome. Già la prima richiesta di tangente, generalmente attuata con una telefonata, è classificata un tentativo di estorsione di stampo mafioso, quindi l’evento viene da subito trattato come un fatto di “ndrangheta. Ma anche se la richiesta è semplicemente quella di “bruciare” il bar per truffare l’assicurazione, con tanto di promessa di soldi per aver messo in atto il “piano”. siamo nella stessa, identica casistica.

Se invece lo stesso accadimento si configura in ambiti territoriali un po’ decentrati da quello in cui agisce il capo mandamento, viene trattato come una risultanza di gente esagitata che vuole comunque fare un “gesto eclatante” tipo quello avvenuto l’altra notte a piazza Fera ed è 
cosi che il “capo-ghenga” di piccole città o di paese cresce e diventa un capo mandamento.
Ma tutto questo non dovrebbe essere l’imprenditore vessato a farlo emergere giuridicamente, poiché esso stesso deve pensare alla sua attività e ai suoi dipendenti, fino a quando non è costretto a chiudere. E se proprio questo imprenditore vessato non è, ma è invece a caccia di soldi, sempre alla ‘ndrangheta è costretto a rivolgersiCosi è se vi pare e se avete voglia di capire. Altrimenti prendete per buono quello che vi fanno dire, per riempirvi la testa di minchiate, la procura di Cosenza alias porto delle nebbie e i carabinieri.