Cosenza Calcio. Umiliati colori, storia, orgoglio, simbolo e prestigio di un popolo (di Giulio Bruno)

di Giulio Bruno

“Guarascio? Ha fatto anche cose buone…”. L’affermazione non riporta a periodi felici. Quando si dice “ha fatto anche cose buone”, il riferimento mirato a difendere l’indifendibile è chiaro. Senza voler fare, ovviamente, paragoni improponibili, il paradosso giustificativo rende tuttavia evidente il disastro sportivo che ha colpito il Cosenza Calcio e tutto ciò che ruota intorno a squadra e società. Dal ritorno in serie B con la vergogna della gara persa a tavolino con il Verona per impraticabilità di campo, al Daspo verso il tifoso contestatore, all’ammissione dell’impegno da presidente vissuto come semplice hobby, all’accusa ai tifosi “da strada” di lesa maestà e agli attacchi alla stampa non compiacente, alle cause giudiziarie di ex tesserati per emolumenti non riconosciuti.

Nel mezzo, tante false campagne acquisti fatte di prestiti a costo zero, di giocatori arrivati in riva al Crati a fine carriera e in condizioni fisiche inadeguate, a ritiri precampionato con organici risicati all’osso per risparmiare ingaggi/vitto e alloggio, a cessioni avvenute ai primi di gennaio e arrivi rinviati all’ultimo giorno di mercato invernale per evitare il pagamento del mese di stipendio, ai ricavi non reinvestiti in seguito alle partenze di atleti ceduti, ai ripetuti ingaggi di svincolati, all’assenza di programmazione, di un progetto tecnico credibile, di un’organizzazione societaria degna di tal nome.

Tre campionati di serie B sempre con l’acqua alla gola, vissuti a fare calcoli sulle dirette concorrenti per non retrocedere, condotti con mediocrità e approssimazione affidandosi al caso e agli eventi. Prima, le promozioni conquistate per fortuite congiunzioni astrali e vari ripescaggi nelle serie inferiori. Il tutto a spese di una città, di una provincia, di un ambiente storicamente appassionato della propria squadra di calcio. È stata mortificata un’identità, calpestato il senso di appartenenza, umiliati colori, storia, orgoglio, simbolo e prestigio di un popolo. Nel calcio si può vincere e ci sta anche perdere, ma bisogna farlo con dignità e rispetto verso quei tifosi che a quella squadra hanno dedicato anni di passione, sacrificato affetti, compiuto scelte dolorose, operato rinunce e affrontato difficoltà economiche. E anche nei confronti di chi, per quella passione, direttamente o indirettamente, non è più tra noi: calciatori, dirigenti e semplici appassionati. Questi anni sportivi saranno consegnati inesorabilmente al declino della storia e tra qualche decennio, quando qualcuno chiederà dell’operato del presidente Guarascio, solo qualche distratto nostalgico risponderà genericamente “Ha fatto anche cose buone…”, senza sapere a cosa si riferisce con esattezza.