Cosenza corrotta: se il pentito parla di Perna va bene, se parla di Occhiuto no

Se ci fate caso tutto ciò che riguarda il corso della Giustizia a Cosenza, dagli anni 70 ad oggi, sembra un film già visto e rivisto.

Specie quando si tratta di ‘ndrangheta e politica.

Ad un lungo periodo di impunità degli amici degli amici garantita dalla corruzione in procura, segue, giusto per non farla sporca o magari perchè costretti, sempre un blitz. Una volta effettuato il blitz a distanza di qualche giorno iniziano le prime defezioni, ovvero i pentimenti. Spesso, come già successo, gestiti da magistrati mafiosi il cui unico scopo è quello di inquinare, depistare, insabbiare l’inchiesta al fine di proteggere gli amici degli amici, nonché controllare a proprio piacimento i famigerati pentiti ed usarli come una clava contro i nemici. Pentiti che pur di non stare al 41 bis sono disposti a dire tutto: bugie e verità. E quando iniziano a raccontare verità scomode, con tanto di nomi di politici collusi e magistrati infedeli, finisce sempre così: pentito inattendibile e nessun colletto bianco o politico implicato. E a pagare per tutti, la solita bassa manovalanza criminale e i boss che non si pentono. Questa è storia (vedi operazione Garden, e tutto ciò che viene dopo). E questo accade sistematicamente. In ogni “stagione giudiziaria”. Anche nell’entusiasmante stagione di Gratteri.

A questa “regola” sono diversi i magistrati che si adeguano, e le eccezioni sono veramente poche. A guardare le ultime retate della DDA contro le cosche cosentine, in particolare quelle contro i clan Rango/zingari, e Lanzino/Patitucci, di pentiti ne sono usciti fuori nu catu e na sporta. L’elenco è lungo e ne cito solo alcuni: Foggetti, Daniele Lamanna, Franco Bruzzese, Edyta Kopaczynska, e almeno altri 15. Eppure, da quando sono collaboratori, le loro dichiarazioni sono servite solo per arrestare qualche pusher di quartiere. Nonostante abbiano, così come già successo in passato, ampiamente cantato dei legami tra politica e malavita. La storia si ripete. I pentiti chiamano in causa i politici e i magistrati collusi, e le loro dichiarazioni non vengono tenute minimamente in considerazione. Al contrario di quello che avviene per i pusher di quartiere. Per loro le dichiarazioni dei pentiti, anche se non riscontrate, vanno bene, per i politici e gli infedeli bisogna trovare riscontri e prove (che mai nessuno cercherà).

E’ notizia di ieri del salto del fosso dell’ennesimo picciotto, tale Luca Pellicori che stando alle notizie fatte circolare dalla DDA di Catanzaro pare sia legato a quello che gli investigatori continuano a chiamare il clan Perna. Ma in realtà a sentire radio marciapiede è un signor nessuno. Uno dei tanti che, vista la maliparata e magari dietro la promessa di qualche beneficio, ha deciso di collaborare con le Giustizia. Francamente il suo nome in termini di spessore criminale non dice niente a nessuno. La sua storia criminale è fatta solo di spaccio di piazza.

Luca Pellicori fu raggiunto da un provvedimento restrittivo durante l’operazione Apocalisse il 12 novembre 2015, mentre si trovava già in galera sempre per spaccio. Una operazione che portò all’arresto di 20 persone accusate di aver formato una associazione dedita allo spaccio d hashish e marijuana. Di Luca, i pochi che lo conoscono, lo descrivono come un venditore di fumo incallito detto anche nel quartiere “Luca a chiacchiera”. Insomma Luca Pellicori al massimo si può cantare qualche ragazzetto che comprava una dieci di fumo da lui. Eppure la DDA di Catanzaro ha ritenuto opportuno farlo entrare nel programma di protezione destinato ai collaboratori di giustizia. Per dire cosa? Visto che non ha alcuno spessore criminale? Forse perché la DDA di Catanzaro non ha mandato giù il boccone amaro che dell’operazione Apocalisse è rimasto poco o nulla. Smontata prima dal Gip e poi dal Tribunale della libertà che ha escluso l’associazione mafiosa e ridimensionato i capi d’imputazione. Tant’è che tutti gli arrestati di questa operazione sono attualmente liberi e qualcuno ai domiciliari. Per il Tribunale della libertà non c’è nessuna pericolosità sociale. E proprio ieri si è svolta la prima udienza dibattimentale di questo inutile processo.

Udienza nella quale è stato ufficalizzato il pentimento di Luca Pellicori.

C’è da scommettere che l’ennesimo acquisto della DDA serve più per recuperare questo processo, oramai andato a “male”, che per altro. Un modo per recuperare le accuse smontate dal Gip e dal TDL. E non avendo trovato niente di niente sperano di portare in aula Pellicori per confermare quello che fino ad oggi i pm della DDA di Catanzaro non sono riusciti a riscontrare. Un classico. L’uso strumentale dei pentiti per fini che con la Giustizia non hanno niente a che fare. L’obiettivo della DDA è Marco Perna e senza un pentito che lo accusa, non possono fare niente. Ed ecco spiegato il perchè di questo nuovo arruolamento. Nonostante l’esercito dei pentiti in mano alla DDA sia già bello numeroso.

Dunque, per Marco Perna va bene tutto, anche un pentito che non sa niente ma che è disposto a firmare e a dire tutto quello che gli dicono i pm, mentre, quando altri pentiti di spessore criminale superiore a quello di Pellicori, tipo Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti, dicono che Occhiuto era un uomo fidato del clan, queste dichiarazioni vanno prese con le pinze. Vanno riscontrate, verificate, lavate e stirate. E l’epilogo è sempre lo stesso: Perna in galera solo perché porta un cognome pesante, ed Occhiuto fuori a godersi con i suoi amici la refurtiva. Sempre la stessa storia.

Questo è un esempio chiaro di come vengono gestiti i pentiti anche dalla DDA di Catanzaro che di fare giustizia a Cosenza non gli passa neanche per l’anticamera del cervello. Altro che Gratteri!

GdD