Cosenza e il suo invalicabile porto delle nebbie

Per capire le dinamiche che hanno portato ai misteri più vergognosi della città di Cosenza, dagli omicidi di Roberta Lanzino e Denis Bergamini alle coperture e agli insabbiamenti dei procedimenti più importanti, per finire alle vere e proprie persecuzioni nei confronti di determinati soggetti (Fabio Gallo, Padre Fedele e i no global, solo per fare qualche esempio), bisogna conoscere a fondo la realtà cosentina e il contesto politico-giudiziario-massonico e mafioso. Qui a Cosenza sono scesi in tanti a fare gli inviati speciali e addirittura a scrivere libri ma nessuno è mai andato in profondità perché non si potevano (e non si possono ancora) toccare i protagonisti della cupola e quindi il suo invalicabile “porto delle nebbie”. 

Il “porto delle nebbie” è un famoso romanzo dello scrittore francese George Simenon (diventato poi anche un film interpretato da Jean Gabin) scritto su misura per il più grande investigatore mai esistito, il commissario Maigret, che opera in una cittadina della Bassa Normandia, Ouistreham, paragonabile benissimo a Cosenza. L’indagine si svolge nell’ambiente umido e nebbioso del porto, in un clima di continua angoscia ed oppressione.

Dopo aver rischiato più volte la propria incolumità, Maigret riesce a rompere il provinciale muro di omertà, teso a nascondere la torbida storia familiare del sindaco Grandmaison… E’ proprio da questo romanzo, che nel corso degli anni, ha preso vita anche un’espressione giornalistica affermatasi proprio negli anni Ottanta del XX secolo come appellativo della procura della Repubblica di Roma, a causa di una serie di episodi poco chiari e mai chiariti, veri e propri insabbiamenti. Esattamente come quello dell’omicidio di Denis Bergamini (e purtroppo non solo questo)

LA CITTA’ DI COSENZA

La città di Cosenza è la metafora ideale delle tante province del meridione che seguono un orologio storico diverso da quello delle grandi città. Per questo motivo esse sono spesso difficili da comprendere, visto che appaiono in controtendenza rispetto al corso generale degli eventi.

E’ proprio quanto accadeva a Cosenza negli anni Ottanta. In quel decennio dominato dal riflusso, dal ritiro nel privato, dall’esaurimento dell’impegno collettivo, nasceva in quella realtà una nuova forma di partecipazione e di protesta al cui centro c’era la squadra di calcio cittadina e i suoi tifosi che dietro gli striscioni della Curva Sud davano vita a nuovi fermenti nella città. L’obiettivo era quello di portare la curva fuori dagli stadi, creare coesione sociale utilizzando il tifo, dare identità e valori per eliminare le tremende forme di esclusione sociale tipiche del Mezzogiorno.I grandi politologi e sociologi americani che avevano osservato con attenzione il carattere civico del Sud d’Italia, da Banfield a Putnam, avevano colto nella scarsa presenza di capitale sociale uno dei vizi antichi di questo mondo che si traduceva nel “familismo amorale”. L’esperienza dei tifosi del Cosenza provò a sfatare questa lettura. Lo fece con la rabbia del punk, ma senza derive nichilistiche. Il suo obiettivo era costruire spazi politici e sociali, luoghi di critica e confronto, azioni di solidarietà e protesta.

E per una fase ciò riuscì perché da quell’esperienza nacquero centri sociali, il Gramna e il Filo Rosso, radio libere, su tutte Radio Ciroma, luoghi di accoglienza per migranti ed emarginati, come la Mensa dei Poveri di Padre Fedele Bisceglia alla quale gli ultrà aderirono entusiasticamente animandola e gestendola, libri, riviste, idee. Il tifo era un valore aggregante che teneva unito l’avanzare di un movimento che aveva contagiato tutta la città.

Già, tutta la città. Ma che città era Cosenza al di fuori degli ultrà?

Cosenza, oggi come allora, è una città di provincia nella quale i poteri forti sono ben visibili in tutti i settori della vita politica, economica, sociale e culturale. E’ una delle città italiane a più alta densità massonica. I sindaci sono sempre stati espressi dalla vecchia Democrazia Cristiana e dall’altrettanto vecchio Partito Socialista.

L’attività economica è controllata dai “colletti bianchi”, che gestiscono le tangenti di concerto prima con i politici e poi con la malavita. I maggiori proventi vengono dall’edilizia e dal mercato della droga ma una fetta importante del benessere arriva dal rastrellamento pressoché totale dei fondi europei da parte di bene individuate forze politiche (ovviamente mai perseguite seriamente da magistrati e forze dell’ordine) e dal riciclaggio di questo denaro “sporco”.

Gli imprenditori sono quasi tutti invischiati (chi da strozzino chi da strozzato) nella rete dell’usura con la complicità determinante delle banche.

Le forze dell’ordine e la magistratura sono evidentemente colluse in tutto questo tourbillon e nella quasi totalità dei casi non perseguono i “pezzi grossi” che delinquono.

La cronaca nera degli anni Ottanta riferiva di una guerra di mafia tra i clan dominanti della città, Sena-Pino da una parte e Perna-Pranno dall’altra, che si è protratta, a ritmi più o meno intensi di omicidi e attentati, per circa dieci anni. Dal 1977, quando fu ucciso il boss Gigino u Zorru al 1985, quando fu ucciso il direttore del carcere Sergio Cosmai. U Zorru, al secolo Luigi Palermo, venne ucciso perché non voleva aprire Cosenza al mercato della droga.

Dopo la sua morte, i clan gestiscono a loro piacimento l’arrivo di quantità ingenti di eroina per le classi meno abbienti e di cocaina per i giovani rampolli della Cosenza “bene”. E’ anche per questo che si sono fatti la guerra.

Dal 1985 in poi però i clan hanno siglato una proficua “pax”, come scrive persino la questura, testimone oculare di partite di calcio nel campetto del carcere che sancivano la nuova fase e pronta a “benedire” la riconciliazione con risultati tangibili per… le tasche dei dirigenti più in vista.

E se non fosse arrivata la Dda di Catanzaro, che nel 1994 diede il via all’Operazione Garden (dal nome del cinema davanti al quale è stato ucciso u Zorru e, ironia della sorte, da dov’è partito il piano per uccidere Bergamini), tutti gli “uomini d’onore” di Cosenza sarebbero rimasti tranquilli e liberi di fare ciò che volevano grazie alla compiacenza della politica (alla quale servivano i loro voti), delle forze dell’ordine e della magistratura cosentina. Il Tribunale di Cosenza non a caso viene definito tuttora il “porto delle nebbie”…

Un dossier redatto nel 2005 dagli ispettori del ministero della Giustizia rappresenta un eccezionale documento sulla malagiustizia, che è la gemella di quella malapolitica che ancora dilaga a Cosenza e in tutta la Calabria. Il dossier mette in evidenza intrighi, rivalità, omissioni, complicità che hanno avuto come protagonisti magistrati importanti sia della Procura cosentina che della Dda, avvocati e faccendieri.

Facciolla

Ci sono i furbi e i meno furbi, gli arrivisti, i “doppia faccia”, i delinquenti, i pentiti. L’inchiesta era nata da una nota informativa del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Catanzaro relativa alle segnalazioni del sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Eugenio Facciolla (oggi procuratore di Castrovillari e protagonista della riapertura del caso Bergamini), che lamentava l’assenza di misure di sicurezza per le sue indagini in corso e una serie infinita di segnalazioni disciplinari. Obiettivo: smontare pezzo per pezzo il processo nato dall’Operazione Garden. Ma questa è un’altra storia, che vi abbiamo già raccontato e che vi racconteremo ancora.