Cosenza e le cantate. Barone e Turboli pentiti per vendetta

Con l’aggiunta di Ivan Barone e Danilo Turboli sale a 144 il numero di malandrini pentiti appartenenti alla cosche di ‘ndrangheta cosentine. Pentiti che vanno “catalogati”, per il ruolo occupato nella consorteria criminale, in pentiti di serie A, B, C, D, E, fino alla Z. Una distinzione obbligata che attiene al patrimonio di conoscenza del pentito che dipende sempre dalla posizione gerarchica occupata nella cosca. Le ‘ndrine cosentine detengono, per numero di pentiti e con le dovute proporzioni, un record nella storia delle mafie. Con poche eccezioni la maggior parte dei fondatori della locale di Cosenza, si sono pentiti. Dopo decenni di scorrerie e decine di omicidi eseguiti nella totale impunità, arriva l’operazione Garden che apre la strada del pentimento a boss e gregari finiti nella retata. Meglio pentirsi che finire all’ergastolo. Da allora in tanti hanno percorso la “via del pentimento”, chi per convenienza, chi per ripagare altri picciotti con la stessa moneta. Che è quello che hanno fatto gli ultimi due pentiti, in ordine cronologico, Ivan Barone e Danilo Turboli_ pentirsi dopo aver ricevuto da chi consideravano “compare” una infamità. Un classico nelle dinamiche interne ai clan: tendere tranelli e vendere amici quando la propria posizione è in bilico. Pur di salvarsi sono disposti anche a pugnalare alle spalle un familiare. È questa la prima regola del malandrino: morte tua, vita mia. Non esiste l’amicizia e la fratellanza nel mondo della ‘ndrangheta.

A raccontare l’infamità subita dagli ex compari, come conseguenza del suo pentimento, è lo stesso Ivan Barone nei primi verbali da pentito, picciotto di punta della ‘ndrina denominata “Rango/Zingari”. Ivan, pentito da sei mesi, è sempre stato un uomo fedele ai Banana (famiglia Abbruzzese), nella ‘ndrina aveva il compito di riscuotere le estorsioni e di distribuire i soldi ai familiari dei detenuti. Dopo l’arresto di gran parte dei componenti della paranza dei “banana”, Ivan diventa il titolare della cassa del clan, almeno fino a quando lo struzzo (Marco Abbruzzese) non lo informa di un progetto, messo a punto da Luigi Abbruzzese e dal cognato Antonio Abruzzese, per ucciderlo. I due avevano paura che Ivan potesse, una volta finito in galera, collaborare con la giustizia. Ed è solo grazie all’intercessione dello struzzo che i due decidono di accantonare l’insana idea. Che non era però infondata, infatti subito dopo il suo arresto, operazione Reset, Ivan inizia subito a collaborare. Dopo averli serviti per anni fedelmente, volevano ammazzarlo. Per questo Barone si è pentito. Anche il Turboli racconta di essersi pentito dopo aver appreso di diverse infamità, alcune di carattere privato, messe in atto, a suo danno, dal boss. Entrambi hanno deciso di rendere, agli ex compari, pan per focaccia. Entrambi restano però pentiti di serie D.

I racconti di Ivan e di Danilo Turboli, scagnozzo senza cervello agli ordini di Roberto Porcaro, così come quelli di tanti altri pentiti di serie D, sono tutti uguali. Raccontano la solita vita del malandrino fatta di traggiri, spaccio, abusi sui deboli, guapparia a convenienza e ccuri caggi, carrette di ogni tipo, falsa amicizia. Il tutto nel nome di un unico “ideale” che nulla ha a che fare con l’onore tanto sbandierato dai “cristiani (chissà cosa direbbe Gesù se sapesse che i suoi seguaci, i cristiani, passano la giornata a vendere bustine a disperati e ad estorcere denaro a famiglie e lavoratori onesti)”: a guagna. Fino a che gira a guagna e a sciampagna sono tutti compari, fratelli, fedeli soldati, uomini di onore, amici fino alla morte, ma non appena i soldi scarseggiano, quando il gioco si fa duro e il tintinnio delle manette diventa assordante, ecco che tutta la malandrineria pavoneggiata sparisce di colpo per lasciare spazio al Giuda (a proposito di “cristiani” e Gesù) che ha sempre albergato in loro. A stu priazzu è facile fare il malandrino, fino a quando gira bene sono tutti Scarface, quando si mette male diventano tutti Franco Pino, e chi si è visto si è visto.

Quello del pentito è un mestiere difficile e complicato, e non vogliamo sminuirlo, anche perché comprendiamo l’importanza di “questa figura” a livello investigativo. Ma quello che non capiamo è questo reclutamento continuo da parte della Dda di personaggi che francamente nulla possono aggiungere a quello che già è stato detto e messo nero su bianco da tanti altri pentiti. E poi a cosa servono tutti questi pentiti di serie D, quando le dichiarazioni di pentiti di serie A non vengono minimamente prese in considerazione? È questo il punto: se Turboli parla di droga diventa il Vangelo, e la gente finisce in galera anche senza riscontri, se altri pentiti di livello parlano dei massomafiosi, diventano inattendibili e poco credibili, e poi servono i riscontri. Avia ragiuni chira bonanima i Buscetta: “Non mi chiedete chi sono i politici compromessi con la mafia perché se rispondessi, potrei destabilizzare lo Stato”.