Cosenza, Ercole Barile: “Mio fratello Mimmo non ha nessuna credibilità”

Egregio direttore,

dovrei intervenire altrove, ma spesso, come spiegherò tra poco, i miei interventi vengono censurati dagli altri giornali, ed è per questo che mi rivolgo a lei.

Ho letto sul quotidiano “La Provincia di Cosenza” un articolo che mi riguarda, e vorrei, all’uopo, dalle vostre colonne, pregare l’editore di questo giornale di andare in maniera doverosa a leggersi tutta la mia vicenda prima di pubblicare determinati articoli, anche se credo non vi sia bisogno alcuno visto che la mia storia è ai più conosciuta, e mi meraviglia che chi fa informazione non ne sia a conoscenza.

Riscontro inoltre una forte carenza di “memoria”, in quanto la malversazione paventata nell’articolo che mi riguarda, io la denunciai nel 2006 in procura, così come tentai, oltre a questo, di denunciare altri misfatti commessi da mio fratello Mimmo Barile e dei suoi complici ai miei danni con l’utilizzo in buona fede della mia firma (egregio editore della Provincia, se vuol sapere come mio fratello carpì la mia buona fede vada a leggersi gli atti depositati illo tempore in procura), cosa di cui già si discusse in quegli anni con il PM incaricato di quell’indagine, chiarendo la mia posizione.

La carenza di memoria del suo giornale in merito a tutto questo, come quella di altri mezzi di informazione, comprende anche la dimenticanza dei miei vani tentativi di rendere pubblico quanto stava accadendo a mio danno (all’epoca FB non era così diffuso). Infatti più volte contattai i giornalisti delle varie testate dando loro informazioni correlate da corpose documentazioni, ed ogni volta, dopo strepitoso interesse, seguiva il silenzio assoluto, forse perché all’epoca mio fratello era tra gli intoccabili?

Lo stesso PM Anastasio si meravigliò di questo palese disinteresse dei mezzi di comunicazione in merito a quello che stava accadendo, tant’è che una mattina lui mi espresse forte meraviglia in proposito, chiedendomi se io sapessi chi proteggeva mio fratello, visto che in seguito ad un blitz, da me sollecitato, presso tutte le sedi delle nostre società, nonché le abitazioni personali e di tutti i (suoi) consulenti, mobilitando oltre 50 uomini della Guardia di Finanza, e dopo averne dato notizia alla stampa ed alle tv locali e regionali, nulla accadde se non il silenzio assoluto sulla notizia.

Silenzio anche da parte della magistratura, e guarda il caso subito dopo il PM Anastasio fu trasferito. Adesso dopo 11 anni c’è il risveglio dei dormienti, dove di colpo tutti si interessano (a modo loro) della vicenda, dimenticando le mie denunce e le sofferenze da me e dalla mia famiglia patite. E’ chiaro che qualcosa che poco ha a che fare con la Giustizia si sta muovendo.

Per rendere credibili le accuse mosse nei miei confronti da mio fratello, tirano impropriamente in ballo le “società spagnole” proprietarie dei terreni attorno ai quali si sta montando tutto questo can can. Beh, vi informo che su questi terreni, quando si parla di compromessi, l’unico che fu fatto nel 2014 non comprendeva alcun riscontro economico, che sarebbe avvenuto una volta che i committenti avessero ottenuto un finanziamento dalla Regione Calabria, per cui tale atto altro non rappresentò che un mio impegno “ufficioso” a vendere ad un importo precedentemente stabilito qualora i committenti avessero ottenuto il finanziamento. Cosa che non andò a buon fine.

In merito ai trasferimenti di quote societarie altro non furono che donazioni fatte in favore dei miei figli, volendo io in tal modo assicurare loro un futuro, visto che zio e accoliti li hanno spogliati di ogni bene, ed in tutto ciò non vedo alcun atto strano o illegale.

A questo punto mi verrebbe di manifestare pentimento, sì mi pento di non aver partecipato alle malefatte di mio fratello e dei suoi accoliti, perché adesso avrei quantomeno le tasche piene, come dire: oltre al danno la beffa.

Spero solo che Giustizia trionfi, anche se a questo punto, per come si sono messe le cose, diventa difficile pensare a tutto questo come ad una operazione per fare Giustizia.

Ercole Barile