Cosenza, le donne di Rifondazione dalla parte di Silvia

In questo momento non ci interessa sapere  nient’altro di Silvia Romano, l’unica cosa che conta veramente è che sia viva, stia bene, le sue condizioni siano buone.
In queste ore i social e, ahinoi, pure certa stampa destrorsa e di basso giornalismo, sono stati letteralmente invasi da commenti che poco hanno a che fare con la sua storia, il suo sequestro e questi lunghi 18 mesi lontana dai suoi affetti più cari.
Non ha neppure potuto godersi appieno il momento del suo rientro, la tanto agognata libertà, perché subito ha dovuto scontrarsi con l’accoglienza becera che certi nostri connazionali le hanno riservato. Silvia Romano ha quindi dovuto smentire matrimoni, relazioni e presunte gravidanze.

Ogni suo gesto è stato radiografato e interpretato in maniera capziosa. Non valutata la sua emozione, il sentimento più “normale” in una persona che finalmente poteva riabbracciare la sua famiglia. Le persone possono tranquillamente starsene a casa propria e ad un certo punto sentire la vocazione per l’Islam, per il buddismo o per qualsiasi altra religione.

L’Italia è un paese laico, la nostra Costituzione garantisce la libertà di culto (e anche di genere) e che per questo non si deve subire discriminazione alcuna. Quella stessa Costituzione che porta la firma di chi ha fatto la Resistenza, scritta con il sangue ed il sacrificio soprattutto dei comunisti. Siamo donne, siamo comuniste e quando cantiamo “Bandiera Rossa” (sì, ancora lo facciamo, qualcuno dirà nostalgicamente ma noi continuare a pensare e a credere che quella bandiera sia ancora baluardo di libertà e diritti) decliniamo sempre “evviva il comunismo e la libertà”!

A questa ragazza mancava la libertà. Ora Silvia è libera, nonostante il truce armamentario di stampo fascistoide, sessista e razzista che fetidamente fuoriesce dalla pancia di piccoli uomini e che circola impunemente. Libera di autodeterminarsi nella religione che si sceglie e nel vestiario che si utilizza. Quei piccoli uomini non vengono mai giudicati per quello che indossano, a loro non è continuamente chiesto di dimostrare qualcosa, solo e soltanto perché maschi.

Siamo profondamente convinte che il perpetrarsi di certi atteggiamenti alimenti una cultura violenta e macchiata che respingiamo convintamente e per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Silvia e appoggiamo altrettanto convintamente la posizione di Di.Re, donne in rete contro la violenza, e di WWW, la Calabria vista dalle donne, che giustamente intendono muoversi anche legalmente nei confronti di Giovanni De Rose, ex consigliere comunale con un lunghissimo curriculum alle spalle come assessore anche della precedente Amministrazione a guida PD, capo dello staff dell’attuale sindaco di centrodestra, dirigente del Comune di Cosenza, nonché ex comandante della Polizia Municipale che ha scritto e poi cancellato un post su Facebook, dai toni vergognosi e sessisti. Un turpiloquio di cui avremmo fatto volentieri a meno.
Noi ancora una volta sappiamo da che parte stare, dalla parte di Silvia, dalla parte delle donne!

Le donne di Rifondazione Comunista, Cosenza