Cosenza, l’ospedale ai tempi del virus: “Ma se siamo in guerra, dove sono le armi?”

Salve a tutti,

da un po’ di tempo mi definiscono eroe, ma a differenza dei tanti eroi in circolazione non sono bello, alto, non ho super poteri e a dire la verità non indosso neanche armature.

Sono un operatore sanitario che in quest’ultimo periodo sto facendo parlare molto di me, a pensare che fino a qualche mese fa sono stato aggredito e minacciato dagli stessi che oggi mi contemplano.

La mattina mi sveglio presto e come migliaia di miei colleghi faccio la lavatrice, pulisco casa e mi preparo per scendere in campo… ci tengo a precisare che il campo non è quello di calcio e le faccende di casa sono costretto a farle io perché vivo da solo da più giorni ma ho famiglia. Non vive più con me perché preferisco rivedere e riabbracciare i miei cari quando tutto sarà finito.

Ogni mattina dopo 2 tazze di caffè mi accendo la sigaretta e mi dirigo verso “Nunziatina”. Lei si fa trovare sempre pronta ad accogliermi, ultimamente però non è felice e giorno dopo giorno è sempre più triste, suscita timore persino in queste splendide giornate primaverili, incredulo mi chiedo “ma è tutto cosi strano ?” Lei dopo tanti anni di sacrificio mi vuole dire qualcosa che sinceramente io non capisco. “Tu che hai resistito alla seconda guerra mondiale e alle più perniciose gestioni di sciacalli di cosa hai paura…?”. Ma sconsolata mi fa capire che non è come le altre volte, adesso la cosa è seria.

Allora, dopo aver sentito i miei cari mi dirigo verso il mio reparto e prego Dio che possa trattarsi di un qualcosa di risolvibile nel più breve tempo possibile. Metto la divisa e cerco i dip che non ci sono… allora mi ritaglio una traversina e mi creo una mascherina personalizzata, mi prendo un camice usato già due volte e comincio a lavorare. A fine turno vado via, rispettando le nuove disposizioni, a comprare un disinfettante per i miei indumenti e chiedo al negoziante se hanno mascherine. Lui mi risponde: “Sono finite persino in ospedale!” e con un sorriso stentato avallo ciò che giustamente lui afferma.

Ritornato a casa, mia figlia mi manda un messaggio whatsapp dicendomi che si sente triste perchè non ritorno a casa, non capendone il motivo, vista la sua età. “Non preoccuparti… papà tra un po’ ritornerà a casa”. Io non ho mai mentito a mia figlia e vorrei mantenere anche questa promessa ma con molta preoccupazione rifletto su quello che sta accadendo. Lei fa la prima elementare e più volte ha dimostrato antipatia verso questo lavoro perché vorrebbe che la notte la trascorressi a casa, soffre la mia assenza a Natale, Capodanno, etc… vuole giocare fino allo sfinimento ma io dopo un po’ mi addormento sul divano stremato. “Papà, cambi lavoro?” questa è una delle domande più frequenti.

Cammino e la gente che mi conosce prende le dovute distanze abbondando il limite a tre/quattro metri, ma la cosa non mi scompone anzi apprezzo il buon senso e l’eccessiva preoccupazione (ma di questi tempi meglio esagerare!). L’altra sera in un negozio di generi alimentari, il commesso aveva paura a prendersi persino i soldi pensando che fossero infetti ed io banalizzando sulla cosa mi sono messo a ridere… ma nulla di grave ripeto, capisco.

Arrivato finalmente a casa mi “sterilizzo” e con l’accappatoio ancora addosso accendo la televisione e ascolto l’intervista al direttore sanitario di Cetraro che esorcizza sulla criticità dell’epidemia, affidando il loro destino a San Francesco da Paola, sul telefono leggo invece che il nostro sindaco di Cosenza fa esporre l’effige della Madonna del Pilerio.

Poi penso fra me e me: ….Vabbè se siamo in guerra c’è il nostro commissario Saverio Cotticelli che le guerre sa sicuramente come combatterle. Ma se siamo in guerra dove sono le armi? Chiediamo al Santo di Pietralcina ?

Lettera firmata