Cosenza, Maurizio merita Verità e Giustizia

La morte di Raffaele Tenuta, da tutti conosciuto come “Maurizio”, merita Verità e Giustizia.

Abbiamo aspettato qualche giorno prima di formulare la nostra tesi, per evitare che i soliti lecchini ci accusassero di speculare su questa ennesima tragedia sul lavoro. Perché il loro scopo, celato dalla finta pietas, non è quello di arrivare alla verità, ma, come dicono i fatti, nascondere tutto ed insabbiare il più possibile. Veri e propri sciacalli. Gente che non ha nessun rispetto della vita e della sofferenza altrui. Persone che non hanno il benché minimo senso di Giustizia. L’unica giustizia che conoscono è quella del loro padrone. Della morte del povero Maurizio non gliene frega niente. L’importante è nascondere la verità, fermare il chiacchiericcio, e affibbiare le responsabilità a qualcun altro che non sia il loro padrone.

Maurizio è morto dopo 4 mesi di agonia. Una morte così non si augura a nessuno. Una morte che urla Giustizia. Ma nonostante ciò i lecchini cercano di spostare l’attenzione sulla necessità del silenzio in questo momento di dolore. Come a dire: tanto oramai è morto, lasciamolo riposare in pace. Come, quando e perché è successo, non ha più importanza.

Vorrei vedere se a morire, in questo modo, fosse stato un loro parente, un figlio, un padre, un fratello, un marito, cosa farebbero lor signori.

La dinamica dell’incidente in cui è stato coinvolto Maurizio è stata scientificamente occultata. E questo è un dato che dovrebbe far accapponare la pelle ad ogni sincero essere umano. Maurizio quella mattina di marzo era a bordo di un automezzo della ditta Chiappetta che gestisce diverse cantieri in città, tra cui quello del ponte di Calatrava.

Era da qualche giorno che aveva iniziato questo lavoro. Ed era in procinto di caricare del materiale da trasportare proprio al cantiere del ponte di Calatrava. Ed è in questo frangente che succede l’irreparabile. Maurizio cade dall’automezzo e batte la testa al suolo. Perde i sensi e i colleghi impauriti chiamano il titolare della ditta che gli ordina di trasportarlo a casa, piuttosto che in ospedale.

La posizione lavorativa di Maurizio è quella di un lavoratore in nero, ed è questo che spinge il titolare della ditta a prendere la sciagurata decisione di non soccorrere Maurizio, per non incorrere in “sanzioni”. I due colleghi di Maurizio ubbidiscono al titolare e trasportano Maurizio a casa sua, dove vive con la moglie e la figlia dodicenne. I colleghi del marito mettono a conoscenza la signora dell’accaduto, e le dicono che da lì a poco sarebbe arrivato il titolare per apparare tutto.

Viene detto alla moglie di Maurizio di non preoccuparsi perché avrebbe continuato a percepire lo stipendio e che le eventuali spese mediche sarebbero state a carico dell’azienda. E la moglie che ha una figlia da mantenere accetta l’accordo. La paura è tanta, ma pare che Maurizio non sia grave. Ed invece nell’arco di poco tempo la situazione precipita e diventa necessario trasferire Maurizio in ospedale.

Appena giunti in ospedale, appare chiaro ai medici che la situazione è grave, Maurizio non risponde alle sollecitazioni esterne. E come da prassi interviene la polizia che chiede ai familiari com’è avvenuto l’incidente. La moglie risponde che è caduto da un albero. Mantenendo fede, suo malgrado, all’accordo fatto con il titolare della ditta. Altrimenti perché dire così?

Ma i poliziotti non abboccano e trasmettono gli atti alla procura che come da prassi, quando sono coinvolti politici, imprenditori e pezzotti vari, insabbia e mette tutto a tacere. Fino a che Maurizio “è vivo”, non c’è bisogno di fare strusciu. Può darsi che si ripiglia, pensano tutti. Ma così, purtroppo, per il povero Maurizio non è stato. Dopo una lenta agonia durata 4 mesi, Maurizio lascia questo mondo.

A questo punto i familiari non possono più tenere “fede” al patto e raccontano tutto ai carabinieri.  E la procura è costretta ad aprire un’ inchiesta, iscrivendo nel registro degli indagati, dopo una serie di lunghi interrogatori, i due colleghi di Maurizio e il titolare dell’azienda Tonino Chiappetta.

E’ chiaro che Maurizio è morto mentre lavorava in nero per la ditta di Chiappetta. E’ chiaro che l’incidente è avvenuto all’interno di un cantiere. E’ chiaro che Maurizio era a bordo di un automezzo della ditta di Chiappetta, al momento dell’incidente. Ed è chiaro che c’è stato un tentativo di nascondere l’accaduto. Questi sono i fatti accertati, raccontati dalla moglie e dai due colleghi di Maurizio, ovvero gli unici testimoni oculari al momento dell’incidente.

Appare evidente, in questa triste storia, che ci sono delle responsabilità bene individuate. Quelle più gravi e pesanti stanno in capo alla ditta che non presta l’immediato soccorso a Maurizio, ordinando ai due operai di trasportarlo a casa.

Poi ci sono quelle della procura che come al solito interviene a scoppio ritardato e solo perché costretta dagli eventi. E questo comporta che: non c’è più la scena dell’incidente. Eventuali rilievi, per confermare le dichiarazioni della moglie di Maurizio e dei suoi colleghi, non sono più possibili. Perché in quattro mesi c’è stato tutto il tempo di ripulire e cancellare ogni prova della presenza di Maurizio in quel cantiere.

E’ chiaro anche qui che la procura sapeva da tempo di questo incidente sul lavoro, perché sono i poliziotti del pronto soccorso che esprimono i loro dubbi su quanto raccontato dalla moglie sulla presunta caduta dall’albero. E nonostante ciò, la procura non dispone alcun atto per raccogliere prove e testimonianze per accertare la verità sull’accaduto. Lascia passare il tempo nella speranza che Maurizio guarisca, così tutto si può archiviare.

Ora Maurizio è morto e qualcuno dovrà dire ai familiari e ai cittadini come sono andati i fatti e di chi sono le responsabilità. E soprattutto chi pagherà per questa morte così orrenda e assurda. Restiamo in attesa di sapere a che punto è l’inchiesta della procura e quali sono le misure che intende adottare Spagnuolo nei confronti di chi si può tranquillamente chiamare assassino.

P.S. al contrario di tanti non penso ci siano responsabilità dell’amministrazione comunale, in questa tragica storia.

GdD