Cosenza, qui porto delle nebbie: il “killer” De Vuono colpisce ancora

Ha la faccia serafica di chi conosce il fatto suo e la “pistola” la conserva gelosamente nella borsa pronta a tirarla fuori ogni qual volta deve emettere una sentenza contro chi disturba i manovratori. Al contrario, è servile e prona quando deve giudicare i potenti o i loro tirapiedi.

Si chiama Francesca De Vuono ed è una dei giudici “killer” preferiti della cricca che fu di Granieri e che ora vede al proscenio il capo banda Spagnuolo (che per certi versi oggi fa anche pena) e tutto il cucuzzaro. Per non parlare di uomini piccoli piccoli come Tridico, Cozzolino, Cava e tutti gli altri: carne venduta al potere.

La signora De Vuono (ché chiamarla dottoressa ci vuole coraggio), non contenta di avermi già appioppato otto mesi di condanna in primo grado per aver pubblicato la sacrosanta protesta di sette carabinieri che avevano denunciato il loro comandante di essere una talpa del clan Lanzino, si era già ripetuta condannandomi per il processo relativo alla vergogna ai danni di Padre Fedele.

Non era bastata la sentenza della Corte di Cassazione che ha certificato nero su bianco l’assoluzione di Padre Fedele Bisceglia dopo dieci anni di calvario, non era bastata la dimostrazione lampante che quelle di suor Tania Alesci erano solo menzogne costruite ad arte da un magistrato ed un poliziotto al servizio dei poteri forti, non era bastata la denuncia dei legali del monaco che hanno accusato apertamente il magistrato Claudio Curreli di aver occultato una serie di fascicoli dai quali si evinceva senza possibilità di equivoci che la suora è una bugiarda telecomandata.

Il “killer” De Vuono aveva colpito ancora: otto mesi per difendere Ferace, il colonnello dei carabinieri che faceva la talpa al boss Lanzino e poi nove mesi per difendere Curreli, il magistrato che è stato clamorosamente sconfessato dopo aver provato in tutti i modi a dimostrare che Padre Fedele era uno stupratore.

Adesso, proprio ieri, altri nove mesi per difendere uno degli avvocati penalisti più chiacchierati e discussi di Cosenza: il massone (in sonno?) Franco Sammarco, che col grembiulino stava una cosa magnifica ed ha ancora in pugno il porto delle nebbie finché durerà il regno del Gattopardo.

Così vanno le cose a Cosenza. Un giornalista non può scrivere che il teorema di un giudice è andato a… puttane (mai come in questo caso la metafora casca a pennello) sulla scorta di una sentenza della Cassazione perché in questa città trova colleghi e potenti pronti a rendergli “giustizia”. Ma questa è “giustizia” solo per la loro cricca di servitori infedeli dello stato.

Scrivevo tempo fa, dopo due condanne, che questa signora (ché chiamarla giudice ci vuole fegato) non aveva più nessun titolo per potermi giudicare. E invece è arrivata anche la terza… A questo punto cosa dobbiamo fare, visto che la signora di cui sopra si guarda bene dal denunciarmi perché deve continuare a “spararmi”? Dobbiamo aspettare che punti nuovamente la sua “pistola” contro di me ogni volta che Sammarco o qualche giudice corrotto o qualche carabiniere o poliziotto venduto vanno a commissionarle il “delitto”? Venghino siori venghino, al porto delle nebbie si può fare tutto e il contrario di tutto!

Gabriele Carchidi