Cosenza, sorveglianza agli attivisti. La criminologa smonta il “teorema De Marco”

Sorveglianza agli attivisti. La criminologa smonta il “teorema De Marco”

(parte 1)

Di seguito il testo redatto da Veronica Marchio, dottoressa di ricerca in scienze giuridiche e criminologia presso l’Università di Bologna, che analizza e smonta le due recenti richieste di sorveglianza speciale proposte per i due attivisti cosentini, Jessica Cosenza e Simone Guglielmelli, da parte della questura di Cosenza e architettata dal vicequestore Raffaele De Marco.

Di Marchio V. (2022), Sorveglianza speciale e conflitto sociale: la costruzione politica dei “profili criminali”, pubblicato in Studi sulla Questione Criminale al link: https://studiquestionecriminale.wordpress.com/?p=4436

Sorveglianza speciale e conflitto sociale: la fabbricazione politica dei “profili criminali”

La sorveglianza speciale, insieme alle altre misure di prevenzione personale, è una costante storica nell’ordinamento italiano e rappresenta il massimo della coercizione esercitabile su una persona che sia ritenuta socialmente pericolosa. La misura viene oggi utilizzata per differenti scopi preventivo-punitivi: accanto a un uso ordinario, circoscritto ai comportamenti e ai “tipi criminologici” che afferiscono al mondo della cosiddetta microcriminalità, coesistono richieste di sorveglianza speciale che riguardano categorie di disturbo e pericolo sociale legate a ipotesi di reato contro l’ordine pubblico.

I comportamenti lesivi della sicurezza collettiva ma provenienti dall’alto della gerarchia sociale (si pensi ai reati d’impresa), non sono invece selezionati per l’applicazione della misura, così come non lo sono i comportamenti legati alle attività della criminalità organizzata. È oggi necessario prendere atto che i tentativi di sperimentazione politica nell’uso della sorveglianza speciale non costituiscono più dei casi isolati. La richiesta della misura è stata accolta dai giudici della prevenzione nel caso di Eddi, di Chadli e di Francesco.  Si tratta di precedenti preoccupanti e pericolosi che testimoniano una serie di tendenze dell’attuale sistema punitivo/preventivo italiano rispetto all’eventualità che certi stili di vita, comportamenti, conflitti sociali e lotte politiche si riproducano nella società.

In questo articolo si proverà a smontare i presupposti giuridici di altri due casi recenti di richiesta della sorveglianza speciale provenienti dalla questura di Cosenza e non ancora decisi dai giudici. Le misure andrebbero a colpire due militantə del movimento cosentino (Jessica e Simone), attivi su diversi fronti sociali e di età molto giovane6. Si tenterà anche di ipotizzare quali possano essere i reali scopi perseguiti dalla questura, per capire cosa si nasconde dietro l’apparente esigenza di prevenzione del crimine come scopo finalistico dell’intero impianto delle misure.

Il primo elemento che viene all’occhio leggendo le richieste della questura è il tipo di classe di pericolosità a cui vengono ricondotti i presunti comportamenti pericolosi di Jessica e Simone. Sembra quasi un escamotage per evitare che il giudice della prevenzione valuti come troppo generica e aleatoria la prognosi di pericolosità sugli eventuali comportamenti futuri. Servendosi della lettera i) dell’articolo 4 del d.l. 159/2011 (persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401), la questura farebbe rientrare le condotte dei proposti nell’ambito dei comportamenti violenti compiuti in occasione di manifestazione sportive.

Oltre al fatto che, come vedremo, le condotte attribuite nulla hanno a che fare con manifestazioni sportive, né tanto meno con episodi di violenza, è da sottolineare che l’art. 6 della legge 401 disciplina l’applicazione di un’altra misura di prevenzione, il cosiddetto Daspo sportivo. Per altro, anche nei casi di violazione del Daspo sportivo, magari aggravata da altri comportamenti, non è così scontato che venga richiesta e applicata una misura di sorveglianza speciale.

Sembrerebbe che l’appiglio alla suddetta classe di pericolosità sia riferito esclusivamente ad alcune condotte indicate all’articolo 6 della legge n. 401, come l’indossare caschi protettivi, portare armi o oggetti atti a offendere, nonché altri comportamenti contrari all’ordine pubblico, anche non tenuti in occasione di manifestazione sportive.

L’elemento che merita di essere sottolineato è, in ogni caso, che nelle richieste non si legge da nessuna parte che Jessica e Simone hanno agito con violenza, minaccia o intimidazione, condizioni che costituiscono il presupposto dell’applicazione del Daspo Sportivo. Come sarebbe plausibile applicare una misura decisamente più afflittiva del Daspo in assenza di questi elementi?

Anziché descrivere dei fatti caratterizzati da gravità indiziaria, nella richiesta di sorveglianza per Jessica la questura traccia il “profilo criminale” prendendo una posizione netta su quale sia la prognosi di pericolosità: ” […] è sempre presente nei cortei ed in ogni manifestazione di protesta di questo centro anche associandosi con soggetti aderenti ai centri sociali, è verosimile ritenere che il suo unico interesse sia quello di compiere atti lesivi per l’ordine pubblico non perseguendo uno stile di vita improntato alla legalità“.

L’essere presenti ai cortei di protesta e frequentare soggetti aderenti ai centri sociali paiono essere considerati comportamenti violenti e quindi pericolosi, cioè sui quali si basa la prognosi di pericolosità necessaria per l’applicazione della misura. Ma questa presa di posizione è smentita ad esempio dal Tar dell’Emilia Romagna nella sentenza che annullava un foglio di via (misura meno afflittiva) a carico di un attivista che presentava un simile profilo di pericolosità: «Ma l’appartenere a movimenti politici che siano particolarmente attivi sul piano delle manifestazioni pubbliche o che siano note alle forze di polizia perché alcuni dei loro componenti tendono a fomentare disordini se non a commettere reati, non può automaticamente far attribuire alla persona la categoria di persona pericolosa per l’ordine pubblico. Bisogna poter dimostrare che il soggetto non si sia limitato a esercitare i suoi diritti politici, ma che in occasione di pubbliche manifestazioni abbia trasceso in manifestazioni violente o abbia comunque favorito chi tali comportamenti violenti abbia posto in essere» (sentenza n. 794/2017).

Anche in un’ordinanza di rigetto della misura della sezione prevenzione del Tribunale di Bologna8 viene delineato una sorta di atto di manifestazione di dissenso che non sarebbe coincidente con uno status di pericolosità sociale perché «i reati contestati sono tutti inerenti a forme di protesta politica o sociale, riguardanti temi particolarmente sentiti dall’opinione pubblica quali il diritto alla casa, i diritti degli stranieri, l’antifascismo» (ord. 23/2018).

Ma vediamo qual è il materiale probatorio che sosterrebbe la prognosi di pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica di Jessica e Simone. Nel procedimento di prevenzione le prove si presentano come “elementi di fatto” che possono presentarsi come precedenti penali e/o di polizia e vengono vagliati dal giudice solo in modo approssimativo. Va in primo luogo precisato che in nessuno dei due casi vengono menzionati precedenti penali, per il semplice fatto che si tratta di persone incensurate. Ecco perché è estremamente contraddittorio il fatto che la questura di Cosenza nelle richieste di sorveglianza parli di “reati commessi”, provando quasi a sostituirsi ai giudici nell’accertamento della responsabilità penale.

Sempre nella richiesta di Jessica si legge: “… per quanto sopra esposto, ritenendo lo scrivente Ufficio che la pericolosità sociale del proponendo sia grave ed attuale oltre che per numerosissimi reati commessi in danno dell’ordine pubblico in maniera continua nel tempo ed anche per la costante condivisione di intenti turbativi dell’ordine pubblico”.

Sebbene ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione non sia necessaria la sussistenza di un precedente penale (i giudici della prevenzione richiamano spesso alla distinzione tra prevenzione e repressione), non tutti i precedenti di polizia sono idonei, in quanto mere ipotesi accusatorie, a condurre all’applicazione di una misura. Un giudice di Bologna così scrive: «Orbene, in assenza di qualsivoglia condanna irrevocabile e anche dell’adozione di misure cautelari, che avrebbero quanto meno comportato il previo accertamento a carico del predetto della sussistenza, ex art 273 c.p.p. di gravi indizi di colpevolezza non è possibile allo stato argomentare, esclusivamente, da tali ipotesi accusatorie (oppure più semplicemente da meri precedenti di polizia) [..].» (ord. 16/2014).

Il quadro descritto finora mostra che non sono gli elementi probatori in se a fornire un quadro indiziario grave a tal punto da formulare una prognosi di pericolosità. Sembra piuttosto che sia la capacità e l’abilità degli organi di polizia di fabbricare la carriera deviante dei proposti per le misure a fare la differenza. In linea generale la questura elenca ogni singola segnalazione, controllo o denuncia in capo alla persona, anche se si tratta di denunce non rinviate a giudizio, di procedimenti archiviati o presumibilmente terminati con formule assolutorie.

Nel caso di Jessica e Simone il grosso delle segnalazioni di polizia fa riferimento all’aver preso parte a manifestazioni non autorizzate dalla questura. Si tratta anche qui di un escamotage per far lievitare il curriculum: è già dagli anni ’70 che la Corte Costituzionale (sentenze 90/1070 e 11/1979) ha affermato che il solo prendere parte o parola durante una manifestazione non autorizzata non costituisce reato, ma esercizio della propria libertà di manifestazione del pensiero.

Nel caso di Jessica vediamo un elenco di quasi 15 pregiudizi di polizia che fanno riferimento a questa condotta del prendere parte e non dell’essere promotrice. Praticamente la sua pericolosità sociale scaturirebbe, secondo la questura, dal semplice fatto che partecipa a delle manifestazioni. Solo un precedente fa riferimento a una resistenza a pubblico ufficiale, precedente di polizia, quindi non accertato come fatto di reato.

Possiamo dire di conseguenza che il profilo deviante è fabbricato ed è basato su un controllo selettivo, si parla addirittura di pregiudizi di polizia per cui Jessica e Simone venivano controllati insieme a persone con precedenti di polizia e appartenenti ai centri sociali. Non solo viene detto che prendere parte a manifestazioni di protesta denota pericolosità sociale, ma anche frequentare chi a sua volta vi prende parte. Si tratta della discrezionalità di polizia, che qui appare non solo come discrezionalità amministrativa, ma come pura decisione politica (Bertaccini 2010), ossia come policing: quell’attività di controllo volta alla fabbricazione dell’ordine sociale (Neocleus 2000) più che alla prevenzione e repressione dei reati.

1 – (continua)