Covid, la deriva della Calabria. Longo&Bevere sono diventati i “loschi figuri” della sanità

Una cosa la sappiamo, in Calabria la sanità è una giostra dei miracoli e dei miracolati, che affoga in un oceano di debiti, di inefficienze e di complicità diffuse. Questo è un fatto risaputo che ha fatto rassegnare i calabresi, che ancora sperano nelle divinazioni del “commissariamento”, quella specie di arresto sine die della responsabilità democratica e di autodeterminazione di un popolo, che si regge sulla convinzione, sbagliata, che tutti i calabresi siano incapaci e soprattutto mafiosi.

La verità invece è un’altra, quella che sottoscrive quasi quotidianamente il procuratore Gratteri, che la “mafia” o meglio la ‘ndrangheta si conserva, si alimenta e progredisce all’interno della pubblica amministrazione e non più negli anfratti del territorio calabrese, regno di pastori e pastorizia, quelli con la coppola e la lupara

La sanità calabrese è il domicilio perfetto della ‘ndrangheta, dei colletti bianchi diciamo massoni e degli imprenditori, quelli della “doppia” fattura, giusto come è stato ricordato nell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti della Calabria. Modello di gestione e di buona amministrazione “massomafiosa” opportunamente replicato ed infiltrato nel Dipartimento alla Sanità della regione Calabria, quello la cui sanità è “commissariata”. Siamo passati negli ultimi tempi scanditi dall’orologio del Covid, dal piccione in brodo Cotticelli vittima della magaria piuttosto che delle droghe pesanti, i cui occhi a palla ed il senso di smarrimento per essere stato sgamato, è riuscito a farci vergognare erga omnes più del dovuto minimo sindacale.

Un modus operandi che in Calabria conoscono tutti. Infatti migliaia e migliaia sono i posti di lavoro che la politica massomafiosa ha creato con questo sistema, costruendo sulle spalle dei malati e attraverso il ricatto lavorativo, il “famigerato pacchetto di voti”, necessario per mantenere il potere. Lavoratori delle cliniche private e sistemati nella sanità pubblica e relative famiglie, costretti a votare i massomafiosi come segno di “riconoscenza” per il lavoro o il piacere elargito e Cotticelli, come tutti quelli che si sono succeduti prima di lui sulla poltrona di “commissario”, sono stati i capofila della banda dei disonesti. D’altronde la sanità in Calabria è sempre stata un Eldorado per tutta la classe politica calabrese. Un bancomat per gli amici degli amici sempre disponibili con i fratelli massomafiosi.

C’è una domanda che sorge spontanea e che resta per i posteri, vista l’imbarazzante situazione in cui si è trovato il generale Cotticelli: la classica figura del coglione deficiente, messo a dirigere un settore strategico, dalla solita politica imbrogliona, di cui ignora persino l’esistenza…così dice sotto l’effetto degli stupefacenti? A noi questo è sembrato troppo, sempre troppo tanto da pensare che fosse la recita di un “colpevole” e non ci siamo sbagliati. Un cretino così è veramente raro trovarlo. È talmente inverosimile quello che è successo che pare venir fuori da un copione, quello scritto da Maria, la subcommissaria e recitato insieme all’usciere “mascherato”. Nessuno descrive se stesso, specie se si occupa un ruolo importante nelle istituzioni, come un coglione, salvo che non debba salvare il culo ed i polsi dalle manette.

Passato Cotticelli non siamo finiti in mani migliori. Siamo sempre in balia di incompetenti, che hanno un trascorso nelle istituzioni della Repubblica, come generali, poliziotti, prefetti o boiardi di Stato: quelli che partono dall’inciso che il mondo è merda, una manica di criminali che loro devono combattere, quando nei fatti sono proprio loro i veri soggetti poco raccomandabili, coperti però dallo scudo dello Stato o dal grembiule, se serve

La prospettiva della Calabria, soprattutto in tema di sanità, è il burrone!

L’emergenza Covid ha messo a nudo le incapacità e le incompiute della regione Calabria in tema di sanità, se al 27 febbraio siamo ancora in zona gialla, questo non significa che tutto stia avvenendo con puntualità e trasparenza. Che la macchina sia perfettamente rodata. Che i vaccini si stiano somministrando tenendo presente le priorità e senza favoritismi. Che il tracciamento del contagio ci sia sul territorio e che soprattutto il Dipartimento alla Salute con il suo direttore generale, Francesco Bevere stia dando una risposta significativa di efficienza e di capacità in sintonia con il commissario ad acta Guido Longo.

Bugia assoluta. Siamo nel guado fino agli occhi, la pandemia è fuori controllo e soprattutto la “zona rossa” deve essere tracciata a partire dal palazzo della Cittadella regionale. E’ proprio nel Dipartimento alla Salute che c’è un “cluster” del Covid-19. Infatti il pomeriggio del 24 febbraio tutto il personale veniva mandato a casa prima dell’orario previsto e, si provvedeva alla sanificazione del sito, perché almeno due dipendenti erano considerati e considerabili “positivi” al virus.

E’ sempre del 24 febbraio 2021 la nota del Dirigente responsabile della sicurezza, dott. Salvatore Lopresti che comprendendo che la soglia dell’indecenza sia superata e che esista, prevista anche per legge con relative sanzioni penali, una responsabilità anche di ordine sanitario e di sicurezza del personale in forza alla regione Calabria, riporta il problema del possibile “focolaio” interno al Dipartimento alla Salute, proprio al direttore generale, l’ormai famoso dott. Francesco Bevere. Il classico “parassita” di Stato, proveniente per titolo da un altro carrozzone pubblico, AGENAS, dove ci si arriva grazie al “calcio nel culo” e si scala la piramide dirigenziale solo in base a quanto forte sia stato, proprio il rinculo. Ecco, questo è Bevere. Il protetto delle logge massoniche, che costa alle casse della regione Calabria oltre 250 mila euro all’anno, più benefit e premi di produzione, ma che è riuscito ad “immobilizzare” l’intero settore della sanità calabrese, dove ormai da mesi non firma nessun atto, restando rintanato nella sua stanza, amabilmente circondato da incapaci leccaculo portati al seguito o nominati alla necessità, ma soprattutto continuando a replicare reati di natura penale ed amministrativa, tipo un “danno erariale” perenne.

Il suo staff utilizza anche i posti generalmente attribuiti alla funzione politica dell’assessore regionale, che non c’è perché la sanità è commissariata. Del privilegio godono tre dipendenti regionali, senza i titoli necessari, che peraltro bivaccano nel Dipartimento “incassando” l’indennità di struttura e, soprattutto, figurando in servizio anche quando sono già sulla via del ritorno a casa… parlare con il direttore generale Bevere è un impresa inutile: non riceve nessuno! E chiunque abbia necessità di parlare con lui, deve inviare richiesta solo a mezzo “posta certificata”, che non è un vezzo di legalità, ma la prova provata di un “vagabondo” venuto solo in Calabria a gozzovigliare a “caviale e champagne” sulle tasche dei calabresi. Tanto che prenderlo a “calci in culo” non sarebbe poi un grave delitto, nemmeno di cortesia.

Ma, c’è di più, ovvero quello che connota la proverbiale legalità di Bevere. Non solo non si attiva come nella vicenda del possibile contagio nel Dipartimento, restando nel suo buen retiro dorato, ma pare attribuisca incarichi dirigenziali “sulla parola”, visto che ormai non firma più nulla. Tutto questo determina la paralisi della macchina sanitaria regionale, che proprio lui sulla base dello stipendio lautamente riconosciuto doveva rianimare, come il principe resuscitava Biancaneve. Non è così, il cadavere tale è rimasto.

Esistono settori nel Dipartimento peraltro strategici, che gestiti da persone assolutamente inutili e complici con Bevere, stanno determinando una mancata risposta, dovuta, ai cittadini. Scandalosa è quella delle autorizzazioni ed accreditamenti – altra cosa rispetto all’OTA – dove la dirigente, la dott.ssa Francesca Palumbo sta creando un circolo vizioso, che vedrà la Regione soccombere a richieste di risarcimento economico, quello che nei fatti è danno erariale, anche perché nessuno la controlla alla Palumbo, in tema di produttività e di attribuzione dei riconoscimenti economici connessi. In tutto questo Bevere sonnecchia, tanto non sono suoi i soldi, ma dei calabresi che continueranno a pagare quei danni e quella mala gestio, che proprio la Corte dei Conti ha ricordato.

Come se non bastasse, il dottore Bevere provvede a rinnovare l’arredamento del suo ufficio, lasciando la facoltà ai dipendenti della ditta esterna che provvede alla pulizie del Dipartimento, di “rottamare” il vecchio mobilio presso i locali tecnici loro riconosciuti per il contratto in essere e, di: “farne cosa volete”. Anche i mobili come la salute dei calabresi è una gestione separata e personale del direttore generale Bevere, come a questo punto anche la sicurezza sul luogo di lavoro dei dipendenti del Dipartimento regionale alla Salute, trattati come un appendice in una situazione di pericolo Covid. Il problema è risolto, li hanno mandati a casa in smartworking e, ora sono fatti loro…

Non è così purtroppo, caro dottore Bevere. C’è una responsabilità specifica del direttore generale del settore, quella che è penale in termini di sicurezza sui luoghi di lavoro e soprattutto in termini di mancata vigilanza sanitaria e possibile procurata pandemia.

Qualcuno dovrà spiegare: perché non sono stati attivati i protocolli di vigilanza in tema Covid? Perché ad oggi il personale in servizio nel Dipartimento alla Salute non sia stato convocato per lo screening a tappeto nella ricerca del contagio Sars-CoV-2. Perché non si è valutato il potenziale rischio di contagio di centinaia di persone, sulla base di una replicazione del virus considerando l’afflusso quotidiano di soggetti al Dipartimento alla Salute della regione Calabria.

Eppure l’estate scorsa nel pericolo di una possibile diffusione del virus, replicato all’interno di una discoteca del litorale catanzarese, furono attivate le postazioni mobili di screening sul territorio per una mappatura. Cosa è cambiato oggi? I dipendenti del Dipartimento Salute della regione Calabria sono figli di un Dio minore, perché stabilito da Bevere?

I calabresi hanno “qualche” difficoltà a fidarsi di certi loschi figuri, che stanno finendo di sbranare il futuro dei questa regione, dove Bevere è una faccia della medaglia, quella dei massoni e dei boiardi di Stato, mentre l’altra è quella dei “poliziotti” dalla legalità a doppio senso alternato.

Serve a poco che il commissario Longo faccia il “mangiafuoco”, una specie di incrocio fra un vichingo ed un tamarro nei corridoi della regione Calabria, se poi al fenomeno circense non si dà seguito concreto. Anche perché tutti dobbiamo dimenticare la barzelletta della “ruota della fortuna” dove la nomina si è determinata fra quanti sono stati bravi a comprare la vocale. Serve a poco se poi si scopre che fa comodo avere una sanità con la retromarcia inserita, solo perché derubrica le responsabilità singole, evitando di dimostrare i limiti di comprensione e di efficienza. Anche per questo proprio il commissario Longo dovrebbe sapere, perché lo sa, che la sanità calabrese è un cadavere non sepolto, per una volontà che risiede nelle stanze vicine alla sua. Ecco che essere “poliziotto”, come lo era il generale “nei secoli fedele”, gli impone di attivare la magistratura e di chiedere una verifica sulle responsabilità, se ancora ha un valore il senso dello Stato.

Se è così, allora spieghi il commissario Longo: perché il giorno successivo alla chiusura degli uffici del Dipartimento della Salute causa Covid, ha fatto richiamare il personale in servizio della sua struttura senza alcuna protezione? Per come spieghi, senza balbettamenti ed omissioni, se risulta a verità che presso il Policlinico Mater Domini abbia fatto nei giorni fra mercoledì 24 e giovedì 25 febbraio il tampone – aumm, aumm – per la ricerca del Covid? Perché lei sì, signor commissario Longo ed i dipendenti del Dipartimento della Salute, no?

Così continuando nella mappa dei colori sulla diffusione del Covid in relazione all’indice Rt, la Calabria merita di diritto, per sopruso e per codardia, il colore criminale… rafforzato.