Altro che cambiamento: Salvini e Di Maio hanno lasciato solo macerie

Dovevano abolire la Fornero, la povertà, i migranti. E poi rialzare la testa in Europa, recuperare la presunta sovranità dispersa, risollevare l’economia italiana, aiutare i giovani e le famiglie. Il premier Giuseppe Conte lo aveva pure previsto nel suo personalissimo oroscopo gialloverde: «Il 2019 sarà un anno bellissimo». E invece, dopo appena 14 mesi di vita, con un contratto di governo tirato per la giacchetta ora da un lato ora da un altro, il governo del cambiamento implode, lasciando al suolo solo le rovine di un ecomostro mezzo Lega mezzo Cinque Stelle, che ha vissuto di annunci, scadenze elettorali e competizione continua tra i due alleati di governo.

Il problema, dopo poco più di anno, non è quello che Luigi Di Maio e Matteo Salvini non hanno fatto. Ma quello che hanno fatto e come lo hanno fatto. Di corsa, in un continuo gioco a chi arrivava primo. Senza concludere, o, peggio ancora, concludendo male. A partire dal raffazzonato reddito di cittadinanza. Un sussidio a misura di convention casaliniane, non certo a misura dei disoccupati in cerca di un lavoro. Tra presentazioni di slide, Postepay e kermesse di debutto dei navigator in versione Grande Fratello, i rubinetti del reddito sono stati aperti di tutta fretta giusto in tempo per le elezioni europee. Ma le cifre erogate non sono certo i 780 euro annunciati, i centri per l’impiego ancora arrancano. E di posti di lavoro da proporre ai percettori non se ne sono visti.

Idem per la “quota 100” targata Carroccio. Che non è l’abolizione della legge Fornero, come Matteo Salvini aveva annunciato. Tant’è che le domande sono state molte meno del previsto, viste le condizioni rigide per chi volesse andare in pensione prima. L’unico effetto che avrà la strombazzata quota 100 sarà quello di ridimensionare l’organico di qualche ufficio, soprattutto pubblico, senza aprire alle assunzioni dei giovani. Il calcolo è che ogni dieci prepensionamenti, i nuovi assunti saranno al massimo un paio. Mentre problemi dei pensionati italiani sono ancora tutti lì a guardare.

E se è vero che l’occupazione è cresciuta di qualche virgola, lo stesso non vale per le ore di lavoro, checché ne dicano Di Maio e Salvini. Anzi, le ore di cassa integrazione straordinaria sono aumentate, nei primi sei mesi del 2019, del 42% rispetto allo stesso periodo del 2018. Mentre ben 159 tavoli di crisi sono aperti al ministero dello Sviluppo economico di Luigi Di Maio, dove un giorno sì e l’altro pure si organizzano sit-in e proteste per scongiurare licenziamenti collettivi.

Il governo del cambiamento si era pure dotato di un ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana. Ma l’unica cosa che ricordiamo dei 14 mesi appena passati è il congresso pro life di Verona con tanto di feti in gomma, mentre chi faticava a trovare un posto all’asilo nido è ancora lì in coda nelle liste d’attesa. E a fare il secondo figlio non ci pensa neppure. Non solo: i gialloverdi si erano pure inventati un ministro per il Sud, Barbara Lezzi, che alla sua regione, la Puglia, aveva promesso niente Tap e chiusura dell’Ilva. Promesse disattese. Salvo poi dimenticare qualsiasi opera a Sud di Roma nel famoso decreto “sblocca cantieri”. Ottimo lavoro.

E mentre da Nord a Sud migliaia di lavoratori rischiano il posto, al largo di Lampedusa si sono consumati gli show salviniani, con la regia sempre attenta di Luigi Di Maio, contro l’organizzazione non governativa di turno. Rea di aver salvato ora 50, ora 100 disperati. Dopo 14 mesi, ci rimangono le rovine del decreto sicurezza uno, e pure quello bis, approvati a braccetto da Lega e Cinque Stelle. Senza farci mancare il caso della Diciotti e la lotta contro la comandante della Sea Watch 3 Carola Rackete. Il tutto mentre gli sbarchi extra ong continuavano, senza che Salvini, chino sullo smartphone a fare dirette Facebook, proferisse parola. Risultato: la questione migranti è rimasta lì dov’era. E la discussione si è spostata da Bruxelles, dove dovrebbe essere, alla nave della ong di turno. Ma dal punto di vista politico, l’unico possibile per fronteggiare in maniera strutturale la questione migranti, stiamo come prima, o peggio di prima.

Perché il governo del cambiamento, che avrebbe dovuto alzare la voce in Europa (se non fare la rivoluzione a Bruxelles), alla fine è rimasto alla finestra a guardare. Tranne lo zero virgola di deficit strappato all’Unione sotto la spada di Damocle di una manovra correttiva, ai gialloverdi non è stata concessa, finora, neanche una scrivania nelle stanze europee che contano davvero. E così, tra le macerie dell’ecomostro gialloverde, ci resterà un’Italia finita in recessione tecnica e poi definitivamente in stagnazione. Un Pil dalle percentuali piatte che, come ha già preannunciato l’Istat, porteranno a chiudere il 2019 con crescita zero. Doveva essere un anno bellissimo…

Fonte: Linkiesta