Crotone, la tribuna della discordia

di Antonella Policastrese

Crotone – Area archeologica di Capocolonna , estate 1983

PRELUDIO

In una torrida giornata di agosto, con il sole a picco sul promontorio, l’unica cosa che genera un po’ d’ombra è la colonna superstite del tempio di Hera Lacinia. Intorno ad essa si aggirano due uomini e una donna, sono la Soprintendente archeologica della Calabria, Elena Lattanzi; il direttore dell’Ufficio scavi di Crotone, Roberto Spadea  e Dieter Mertens, archeologo e accademico tedesco, massimo conoscitore dell’architettura antica della Magna Grecia.

Osservando il suolo caratterizzato da ciottoli e sporgenze di ogni dimensione, l’archeologo tedesco indica ai suoi due interlocutori  delle “creste di muri che sporgevano e potevano nascondere grandi sorprese”. Con ciò raccomandava loro di mettere in luce, zappettando, solo la parte superiore di queste strutture. In questo modo sarebbe stato possibile allargare la conoscenza dei monumenti antichi presenti nell’area del  santuario.

Nel sito di Capocolonna  l’ultima campagna di scavo era stata eseguita nel 1979. Circa dieci anni dopo, nel 1987, la Lattanzi esortò, con forza, Spadea  a riprendere il lavoro intrapreso. Il 9  giugno di quell’anno ebbe inizio la nuova campagna di  scavi. Destò subito stupore la consistente presenza di materiale bronzeo là dove si stava scavando e pochi giorni dopo affiorò una piccola sfinge di bronzo fuso. La voce del ritrovamento si diffuse e quindi bisognava fare presto a scavare prima che sui luoghi si riversassero gli scavatori clandestini. Perciò si andò avanti con il metal-detector. Emerse ben definita la presenza di una struttura muraria a forma quadra che fu definita Edificio B. I rinvenimenti di oggetti in bronzo all’interno dell’edificio si susseguivano regolarmente, era metà luglio del 1987, c’era stata una incursione di tombaroli, ma non fu possibile sapere cosa avessero asportato. La scoperta era di per se sensazionale e unica, ma il meglio sarebbe arrivato la mattina del 16 luglio allorché uno degli addetti allo scavo disvelò da sotto un secchio un oggetto brulicante di palline d’oro. Fu così che ritornò alla luce il cosiddetto “Diadema di Hera” , la parte più preziosa e consistente di quell’insieme di oggetti  votivi che fu definito “Il tesoro di Hera”.

Negli anni che seguirono, quando sia la Lattanzi che Spadea erano andati via, volendo usare una espressione molto ravvicinata alla volgarità , ma  pienamente efficace per spiegare cosa accadde, si può dire che “l’archeologia, come il cunno, era finita nelle mani dei bambini “.

E siamo ai giorni nostri, aprile 2024, partiamo dall’ultima oscenità: la tribuna dell’Ezio Scida.

La questione della tribuna amovibile installata allo stadio E. Scida di Crotone che la Soprintendenza, nella figura del responsabile territoriale, Stefania Argenti,  ha ordinato di rimuovere, evidenzia, in tutta la sua drammaticità, l’atavico e irrisolto conflitto tra la colonia  achea sepolta e la città moderna, tra la bramosia  di conoscenza di quanto è antico e la sete di denaro dei grandi palazzinari di ieri, di oggi e di domani.  Va detto, altresì, che il conflitto tra stadio e archeologia, e sempre per via di una tribuna, si è ripresentato a distanza di un quarto di secolo, allorché il Crotone  calcio, promosso in Serie B aveva bisogno di maggiore capienza per il pubblico con l’ ampliamento della Curva Nord, pena dover disputare le sue partite casalinghe in altri stadi distanti anche centinaia di chilometri. Ma in merito a tale aspetto riportiamo più avanti uno stralcio d’intervista a Roberto Spadea che all’epoca era il responsabile archeologico dell’area.

A Crotone , dagli anni 60 a oggi, si è costruito ovunque per esigenze abitative, ma anche per necessità pubbliche: dal nuovo ospedale sino alla sede Inps, dalla sede comunale a quella della banca locale, dall’acquedotto per uso industriale all’edilizia scolastica . Ovunque si sia scavato per gettare le fondamenta di nuove costruzioni c’erano vestigia della città antica, sepolture e preesistenze di ogni genere e natura.  Insomma, l’estensione di Kroton era speculare a quella dell’odierna Crotone, se non più ampia e ramificata.

Trapela altresì che sotto la pavimentazione della Cattedrale, chiusa al culto dallo scorso mese di giugno, stia  affiorando un vero e proprio insediamento paleocristiano o giù di lì.  Uno strumento di regolamentazione per garantire la  convivenza tra  nuovo e antico, è arrivato all’inizio degli anni Settanta con la dislocazione sul territorio di uffici della Soprintendenza archeologica. Non è che si sia riusciti a evitare che si seppellissero per sempre le testimonianze del passato, vietando l’edificazione in aree di interesse archeologico, e quindi il top di gamma del vincolo di interesse storico, paesaggistico e archeologico è consistito nella collocazione di grate e griglie sui reperti rinvenuti sotto palazzi e costruzioni con la velleitaria idea di renderli fruibili ai visitatori. Però, quegli scampoli archeologici,  sono diventati ricettacoli di spazzatura, frequentati dai topi e invasi dalla erbacce. In una fase esecutiva del progetto “Antica Kroton” prima versione, risalente a prima del 2014, erano previsti dei corsi di formazione per i lavoratori fuoriusciti dalle attività industriali dismesse. Essi avrebbero poi dovuto trovare impiego nelle attività di scavo dell’area Montedison, che all’epoca era l’unica prevista dal progetto originale. Poi, una volta posata la prima pietra, cosa che è stata fatta con relativo cerimoniale, si sarebbe proceduto al recupero funzionale dell’area e sua valorizzazione a fini turistici, con tanto di museo virtuale d’avanguardia.

Le attività formative consistettero nella manutenzione di uno di quegli “scampoli archeologici grigliati” che giaceva e ancora giace (abbandonato e dimenticato) sotto “palazzo Foti”, una costruzione post moderna per fini abitativi relativamente recente realizzata in acciaio e vetro. I corsi durarono da “Natale e Santo Stefano” e nessuno ne sentì parlare più. Il progetto “Antica Kroton” entrò nel limbo delle idee e delle buone intenzioni per poi rinascere totalmente cambiato o rimodulato, come si preferiva dire. Una rimodulazione fatta da interventi a pioggia, in ogni angolo della città fin verso il promontorio di Capocolonna;  come a dire che da un taglio di stoffa destinato a diventare un elegantissimo  abito da sera, si sono ricavate molte paia di mutandoni con la “braghetta”. Dell’area Montedison, con i suoi cinque magnifici villini di campagna in inarrestabile rovina e del  tracciato stradale di età magno-greca, non se n’è fatto e non se ne farà più niente nonostante con  il termine “Antica kroton” ci si riferisse esattamente al sito adiacente il polo industriale crotonese, da bonificare, risanare e riutilizzare.

Il nocciolo del conflitto tra la Crotone antica e la città moderna, negli anni in cui questa si espandeva , consisteva in tre aspetti ben definiti dalla Soprintendenza all’epoca in cui a reggerla era Elena Lattanzi con il direttore Roberto Spadea. Tre aree di fortissimo interesse archeologico: Parco di Capocolonna; Parco Montedison e ampliamento dell’ospedale civile. Il Parco archeologico di Capocolonna fu realizzato e furono avviati gli espropri delle costruzioni ricadenti nel suo perimetro. L’ampliamento dell’ospedale, che consisteva nella creazione del reparto microcitemia, fu avviato e concluso, inglobando i reperti emersi in modo da renderli fruibili, con il collaudato sistema delle griglie. E così pure avvenne dietro la curva nord dello stadio che ricade nella medesima area di interesse archeologico dell’ospedale. Alla fine della giostra, il fruitore potenziale delle “meraviglie” venute alla luce,  avrà modo di visitarle quando andrà in ospedale oppure allo stadio. Come a dire: un occhio alla salute e l’altro ai reperti; un occhio al pallone e l’altro all’archeologia. Ma la tribuna amovibile dello stadio Ezio Scida deve essere tirata giù, perché essa ricade su un modulo del progetto “Antica Kroton” che vale 10 milioni di euro della dote finanziaria prevista. Tirarla giù però ha dei costi esorbitanti, si è parlato di 300 mila euro, eppoi  il Crotone non è più in Serie A, aveva detto la Soprintendente ai Beni Culturali Stefania Argenti.

Ma noi poniamola così come segue. Se una impalcatura di ferro che occupa una minima parte di un’area di fortissimo interesse archeologico, a fronte di un ospedale che la occupa praticamente tutta, costituisce un grave impedimento per  i lavori di scavo, recupero e valorizzazione previsti dal progetto, perché non demolire prima l’ospedale per far affiorare le preesistenze che vi sono sepolte di sotto ? Per fortuna non vi sono state richieste e diktat in tal senso, ma solo per la tribuna. E visto che anche il calcio ha la sua importanza e ne ha avuta tantissima quando il Crotone ha militato in Serie A, sotto ogni profilo, a cominciare da quello economico, a qualcuno è venuto in mente come salvare capra e cavoli, per cui si è stabilito di trasformare l’Ezio Scida in uno stadio museo: metà calcio metà archeologia.

Ma anche l’ospedale, a pensarci bene, ha le stesse caratteristiche, per via dei reperti che giacciono “grigliati” sotto il reparto microcitemia. Ed a pensarci ancora meglio, anche la Basilica Cattedrale è destinata a diventare una chiesa-museo per quanto sta venendo alla luce sotto il suo pavimento. E dunque: a Crotone “ci sono più musei che sazizzi” per dirla in gergo neozelandese. La domanda dalle cento pistole però è un’altra: perché quella particolare zona, area stadio-ospedale, che è stata tra le più indagate, scavate e analizzate nel corso di campagne archeologiche del passato, adesso è divenuta il cuore del progetto “Antica Kroton” ? A parere di chi si interessa giornalisticamente di archeologia da quando tutti, giornalisti, storici, professoroni  ed esperti, ritenevano che questa fosse una branca della medicina che si occupa delle patologie muscolo-scheletriche, la ragione è una e soltanto una.

Il preludio di questo intervento è dirimente; nel senso che vi è un’altra area archeologica di Crotone che presenta delle analogie con  la porzione di terreno dove fu rinvenuto l’Edificio B con il “Tesoro di Hera” a Capocolonna: “creste di muri che sporgevano e potevano nascondere grandi sorprese”. Questa area è situata dove sorge l’ex cinema Ariston, mai indagata eppure tempestata di creste in muratura affioranti in lungo e in largo nel vasto perimetro. Una zona che era attraversata da un tratto delle ferrovie Calabro-Lucane, dove cresceva la liquirizia e sbocciavano melograni; intersecata diagonalmente da un tratto del torrente Pignataro oggi interrato per tutto il suo antico percorso, ma che sino agli anni sessanta era ben visibile. Un sito dove basterebbe una zappetta per capire che un tempo deve essere stato un lussureggiante quartiere della Crotone antica. Situato sullo stesso asse delle aree di “Acquabona” , “Gravina” e Inps a nord rispetto all’area occupata dall’ospedale e dallo stadio, ma pressoché sgombro in quanto vi insistono solo una villa di privati e il rudere di un ex cinema. Fatalmente quell’area, una porzione di essa, ha fatto gola ai palazzinari di turno e dovrebbe sorgervi una costruzione di sette piani fuori terra destinata ad accogliere uffici, ambulatori medici e abitazioni con la premessa che, quello che di interesse archeologico si rinvenisse durante l’edificazione, verrà “grigliato” e lasciato alla fruizione delle frotte di turisti che verranno a Crotone da ogni angolo del globo per ammirarne le bellezze. Ne è nato un contenzioso, tra la Soprintendenza che nel 2021 ha posto il vincolo archeologico sull’intera area e la cordata dei palazzinari che ne chiedeva l’annullamento, e il primo dei due contendenti ha avuto la meglio, mentre il secondo si è appellato con successo ottenendo il permesso di costruire su una porzione di immobile, l’ex cinema “Ariston”.

Difatti il TAR nel 2023 ha rigettato la richiesta di annullamento del vincolo in quanto, si legge nella sentenza “  L’area ex Ariston ha le caratteristiche di un’area archeologica pluristratificata” .  Ma d’altra parte quando c’è di mezzo il tribunale vince sempre il più forte e il più forte non sempre è chi ha ragione. Si scaverà da quelle parti, ma sul lato opposto, abbattendo una tribuna costata un occhio della testa, pregiudicando l’andamento di un campionato di calcio e facendo infuriare i tifosi e magari tirando fuori, quali favolosi rinvenimenti archeologici, dei tracciati di muri, di strade e abitazioni  e mozziconi di colonne. Perché dunque il modulo dell’”Antica Kroton” che sta per partire con 10 milioni di dote finanziaria riguarda una area già indagata e non una che andrebbe esplorata per la prima volta con la massima urgenza  prima che l’ennesimo scempio edilizio sia un fatto compiuto ? L‘arcano di tutta questa vicenda risiede nella rimodulazione del progetto “Recupero e valorizzazione area archeologica  Antica Kroton” , sottoscritto in sede interministeriale dalla Regione Calabria nel 2013 con una dotazione finanziaria iniziale di 65 milioni di euro.

Ma torniamo alla vicenda dello stadio “convitato di pietra” tra il passato e il presente di una città capoluogo di provincia che è stata una importante colonia magno-greca. Riproponiamo uno stralcio dell’intervista realizzata da chi scrive con Roberto Spadea, apparsa su “Il Crotonese” del 20/09/2016

…La vexta quaestio dell’ampliamento dello stadio Ezio Scida ai tempi in cui il Crotone calcio è arrivato in Serie A, è più o meno la stessa di quando la squadra conquistò per la prima volta il diritto a disputare il campionato di Serie B (stagione 2000/2001).  Stadio piccolo, pochi posti e quindi la difficoltà di procedere a un ampliamento poiché esso sorge in un’area di forte interesse archeologico. Alla fine fu costruita la cosiddetta curva nord , valorizzando alla meglio le preesistenze archeologiche che giacciono ai piedi della struttura e che continuano sull’asse di un’area contigua che all’epoca era soggetta anch’essa ad ampliamento; quella del reparto microcitemia dell’ospedale civile   . La questione si ripropose circa quindici anni dopo (quelli della prima volta in Serie A del Crotone calcio ) con la costruzione della tribuna amovibile. Nel 2000 il direttore della Soprintendenza archeologica per l’area di Crotone era il Dr. Roberto Spadea, che oggi è in quiescenza e vive a Roma. Interpellato all’epoca (2016) come testimone di una vicenda analoga a quella che si ripropone oggi con la richiesta di abbattimento della tribuna  che non si sarebbe dovuta costruire, così si espresse di primo acchito: “… Che nell’area dello stadio giacciano importantissime preesistenze archeologiche è cosa risaputa da sempre; ma stavolta si sostiene che lì sotto vi sia sepolta addirittura l’agorà, ovvero la piazza principale dell’antica polis di Crotone, vale a dire: il cuore pulsante di una delle più importanti colonie greche dell’Italia meridionale.” . Ma ecco uno stralcio di quella intervista.

Domanda – Dr.Spadea, ha avuto modo di seguire la vicende dello stadio di Crotone, cosa sta accadendo ?

Spadea – Si ripete ciò che accadde quando il Crotone fu promosso in serie B. Andava costruita la curva nord. Ci presentarono un progetto relativo a una struttura leggera che noi approvammo e quindi ci consentirono di fare un’analisi archeologica preliminare e preventiva.

Domanda – Quali furono le risultanze di tale analisi ?

Spadea –  Non fu una sorpresa, perché l’area intorno al campo sportivo, compreso gli spazi che vengono occupati per le giostre, era già stata indagata dalla Soprintendenza a più riprese a partire dagli anni 70 sino al 1982.

Domanda – Cosa venne alla luce durante quelle campagne di scavo ?

Spadea – Vennero fuori degli ambienti di grande importanza e taluni erano contigui allo spazio che sarebbe poi stato occupato dalla curva nord. Lì trovammo anche delle colonne crollate. La soluzione fu quella di coprirle e preservarle. Qualcuno ci accusò di averle sigillate, ma non fu così; l’intervento è perfettamente reversibile.

Domanda – Ma cosa vi spinse a dare il via libera alla costruzione della curva nord ?

Spadea – Ci fu una specie di compromesso all’epoca, tenendo conto anche delle esigenze della tifoseria locale che era un po’ turbolenta. Io stesso ne avevo fatto le spese evitando per poco un linciaggio. Ci rendemmo conto che quelle esigenze erano espressione di un forte fenomeno sociale, che i tifosi andavano ascoltati, e che esse andavano in qualche modo soddisfatte.

Domanda – Anche questa volta è così.

Spadea – Adesso il problema che si pone è più vasto perché si tratta di costruire una tribuna. Io non ho avuto modo di vedere i progetti per valutarne l’invasività e la distruttività sull’area archeologica. Tuttavia ho letto sulla stampa, perché qualcuno ha vociferato in tal senso, che in quell’area vi sia l’agorà della Crotone antica. Ecco, te lo dico in tutta onestà; quello io lo smentisco, perché i quartieri che abbiamo scavato, i frammenti di essi, sono quartieri artigianali, con delle case e laboratori annessi. Quella zona l’abbiamo definita come il quartiere ceramico dell’antica Crotone; essa è ancora più vicina all’ospedale e si estende verso la collina. Il quartiere ceramico ha comunque le caratteristica di un’area pubblica; ma da qui a intravedervi un’agorà…

Domanda – Perché allora la Soprintendenza ha dato parere positivo all’avvio dei lavori e adesso si assiste alla levata di scudi degli archeologi ?

Spadea – E’ un fatto abbastanza naturale allorché si ipotizza una distruzione di aree di interesse archeologico. Ma perché dobbiamo sacrificare una memoria, una radice antica a qualcosa di così effimero come uno stadio ? La risposta è che Crotone deve fare i conti con le sue preesistenze archeologiche; un discorso che abbiamo ripetuto per tanti, tanti, tanti anni. Ma esso è caduto sempre nel vuoto; è andato avanti tra proponimenti e contraddizioni della varie amministrazioni succedutesi negli anni.

Domanda – E la Sprintendenza che faceva ?

Spadea – Noi siamo andati avanti tra mille difficoltà e siamo riusciti a ricostruire una quadro della Crotone antica, anche se esso non è completo.  Il problema dell’agorà è estremamente sentito e andrebbe affrontato, ma non so dove. Noi l’anno scorso abbiamo pubblicato un volume abbastanza articolato sulla topografia di Crotone. Ci sono delle ipotesi, come quella avanzata da Giovanna Verbicaro, che interessano l’area del campo sportivo. Ma sono soltanto delle ipotesi.

Domanda – Frattanto che può accadere ?

Spadea – Tornando alla questione del Crotone calcio; non credo che si possa traccheggiare ancora a lungo con una squadra che disputa le sue partite casalinghe addirittura a Pescara. Occorre trovare un compromesso tra calcio e tutela dei beni archeologici e quindi far conciliare le due cose.

Aprile 2024, il Comune di Crotone ha messo a bando la convenzione  per la gestione dello stadio Ezio Scida che è scaduta quest’anno, ma nessuna adesione è pervenuta, neppure da parte del Crotone-Calcio che ne era titolare di quella convenzione. Un brutto segno ? Forse; ma questo la dice lunga su quanto sia difficile far conciliare la tutela dei beni archeologici con le esigenze, anche quelle sportive, di una città protesa verso il futuro e che ha sempre visto il suo passato come un inciampo, salvo glorificarlo a parole e sui libri e nella narrazione ufficiale. Di sicuro la soluzione individuata di trasformare l’Ezio Scida in uno stadio-museo non risolverà il problema e la struttura continuerà a essere qualcosa in più di un campo di calcio e molto meno che un museo. Tanto varrebbe andare a scavare altrove per il momento; l’ “Antica Kroton” attende dal 2013, hai visto mai che il Crotone-Calcio nel frattempo non riesca a costruirsi uno stadio tutto suo come ha fatto la Juventus ?