Crudele è la realtà, infinito il sogno rossoblù (di Claudio Dionesalvi)

di Claudio Dionesalvi

Fonte: Inviato da Nessuno (http://www.inviatodanessuno.it)

A volte la vita ti prende a pugni. Per giorni e mesi rimani chiuso nell’angolo, rimbalzi da un dolore all’altro, ti lasci avvolgere dai rovi della paura. Allora ti aggrappi ai sogni.
Che strano sogno ho fatto l’altra notte! Passeggiando per Cosenza, in tanti mi stringevano la mano esclamando felici “Forza Lupi”. Ho pure sognato che andavo allo stadio e il Cosenza giocava contro una squadra dal bizzarro nome silvestre: Leonzio. Perdevamo 1 a 0 e dalla rabbia stavo per andar via, ma entrava in campo un ragazzo nero e segnava una rete di quelle che le vedi solo nella Champions.

Il gol mi attivava la memoria onirica riportandomi al passato recente e remoto: la signora che a Pomigliano, in serie D, durante la partita s’affacciava dal balcone spiovente in curva: “Guaglio’, scusate, vi potete spostare? Accussì pozz’ appènne i panni a sciaurià”.

E ancora tre salti indietro, uno ogni 10 anni: con Maya in braccio, appena nata, e lo squadrone bruzio DOC di mister Mimmo Toscano che festeggia il ritorno in serie C.

Poi rivedo con gli occhi dell’anima quel caldo pomeriggio salentino, nel ’98: invadiamo il campo con la torta nuziale del gemellaggio tra noi e i Casaranesi, mentre la celere ci carica.

E a Monopoli nell’88 con lo stadio traboccante di rossoblù che ratifica lo striscione della domenica precedente: “Mai più prigionieri di un sogno”, lo stesso sogno che mi trascina in un presente onirico, nel “Marulla” gremito di gente.

Appena la folla intona l’inno di Mario Gualtieri, sono travolto da una crisi di pianto e scappo via dallo stadio, assalito dal pensiero lacerante che da poche ore Paoletta non c’è più. Percorro da solo la strada verso casa. Deserta. Sono ancora tutti dentro che festeggiano la conquista della finale. Mi sovviene l’immagine della bandiera con i nostri colori, deposta nella tomba di mia madre.

Così per un istante mi ritrovo davanti a una siepe affacciata sul mare, lì dove il Poeta disvelò l’infinito. Il sogno mi riprende per mano sollevandomi come un drone.

Sorvoliamo la strada che costeggia l’Adriatico, tinta di rossoblù. Planiamo in un autogrill dove gli amici di Portapiana ci offrono polpette. Hanno lo stesso sapore di quelle preparate da mia madre alla vigilia di ogni trasferta. Riprendiamo il volo, rivedo Alessio e Filippo di Ancona, privati della libertà per la loro coerenza, che a pugno chiuso ci salutano. Stringo le mani dei fratelli Genoani e Lancianesi sorridenti. Ritrovo tanti vecchi amici disseminati ovunque. Infine tutto si dissolve in penombra.

Sembra di scorgere solo un ragazzo che indossa la seconda maglia del Cosenza. Si chiama Gennaro. Prende la palla a centrocampo, corre, avanza verso la porta, penetra nelle pieghe dello spazio come se fosse invisibile. Nessun avversario lo affronta. “Ti prego, non ti fermare, non ti fermare”. A pochi centimetri dal limite dell’area finalmente solleva il capo tenuto basso per tutta la corsa. E ho l’impressione di scorgere in lui lo sguardo di Gigi. Il ragazzo calcia. La palla assume una traiettoria inverosimile per i campi della LegaPro. Pallone sotto l’incrocio. L’apoteosi.

Mi sveglio. Che meraviglia questo sogno che ho fatto! I sogni sono i tornelli nello stadio della vita. Qualcosa tra il diabolico e il paradisiaco. Nel calcio non vendi al diavolo l’anima, gliela presti in cambio di gioia momentanea. E la città si rianima, vibra di antiche magie, quando nel pallone si specchia.