Eugenio Anselmo e la sua idea di società (di Rosamaria Aquino)

Foto Il Gazzellino della Calabria

Poco più di un anno fa, il 25 marzo 2016, ci ha lasciati l’architetto Eugenio Anselmo, uomo e professionista di grande spessore. 

Ripubblichiamo l’accorato ricordo di Rosamaria Aquino, che ringraziamo di cuore.

Clarks ai piedi, sigaro in bocca. L’incedere obliquo e l’aria spettinata di chi ha un sacco di idee per la testa. Mi diceva: “Ti rendi conto? Una piazza-parcheggio in pieno centro, non se ne fanno più da anni!”.

Immaginava polmoni verdi e aree attrezzate dove oggi ammassano cemento. La giunta di centrosinistra gli aveva finalmente dato un incarico adatto al suo profilo: far rivivere i chiostri abbandonati della città, farne musei, centri di aggregazione. Mi ricordo di un’estate, di un concerto sotto ai portici, mi ricordo il matrimonio di un’amica…

Quei luoghi, invece, non mi ricordo più come si chiamano, non me lo ricordo più. Era comunista, Eugenio. Lo era nelle azioni, prima di tutto. Pensava città a misura d’uomo, era un architetto.

eugenio

Il primo pezzo che mi aiutò a scrivere era su un parco per bambini diversamente abili, un parco “sensoriale” lo chiamava lui. Arrivare dove non arrivano con i sensi, farceli arrivare, farli sentire come gli altri. Gli piaceva come scrivevo, mi chiamava dopo un pezzo, magari suggerito da lui, diceva: “Oggi gliele abbiamo cantate!”, come se quel pezzo lo avessimo scritto insieme, io e lui.

Mi ricordo… una macchina, noi due a parlare fitto sotto la pioggia, vicino alla vecchia stazione. La sua faccia, sconsolata, per una storia di censura: “Ti hanno fatto questo, a te, come hanno potuto?”. Poi, in giorni meno grigi, se ne stava da solo seduto su una specie di banchetto di scuola al centro del salotto di una casa antica di famiglia.

Doveva rimetterla a posto quella casa, renderla moderna, ma la sua vocazione al restauro fu più forte. Iniziò a scegliere con cura materiali per le porte, assi di legno per i pavimenti. “Le luci – diceva – le luci lasciamole con le tracce a vista, che la pietra soffre, se la batti”.

Se ne stava con quei quattro fogli a disegnare archi, porte scorrevoli, qualsiasi cosa sorreggesse la sua idea iniziale: la luce, in una casa buia, lui l’avrebbe recuperata da tutte le finestre. Niente rendering, niente profezie tecnologiche, solo una matita. Un po’ come quella che credo di aver capito dovesse essere la sua idea di società: da restaurare, da rimettere in piedi, costi quel che costi, senza andare a costruire oltre, altre cattedrali nel deserto, altri mausolei dello spreco, altri fugaci sviluppi urbanistici. Curare l’esistente, fare in modo che la città se ne riappropri, tirare fuori la luce, da tutte le finestre.

Questo era Eugenio Anselmo nei miei ricordi. Questo mi hai insegnato, amico mio.

Rosamaria Aquino