Giustizia a Cosenza: avvocatoni, avvocaticchi e quaquaraquà

Ci sono avvocati e avvocati. Quella dell’avvocato è una nobile professione che se praticata con onestà e dedizione può rendere alla società buoni servizi. Per diventare avvocato bisogna, oltre che conseguire una laurea, prestare un giuramento che recita così: “Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell’assistito nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento”.

Una formula che a Cosenza suona vuota. Una mera formalità, perché lo sappiamo tutti come funziona nel tribunale di Cosenza: va avanti solo chi si allinea con la procura e chi si iscrive alle logge massoniche della città, dove dentro ci stanno giudici, politici e professionisti vari, compresi gli avvocati. Questo lo ha descritto bene nella sua relazione il giudice Lupacchini, oggi alla Corte d’appello di Catanzaro che sul Tribunale di Cosenza dice: sono tutti parenti e amici tra di loro, e il conflitto di interessi e le incompatibilità ambientali sono all’ordine del giorno.

Insomma a Cosenza la Giustizia viene amministrata prima ancora che nelle aule del Tribunale, nella segrete stanze dei magistrati che valutano che tipo di sentenza emettere in base dalla difesa assunta dall’imputato. Se a difendere l’imputato c’è un massone conclamato come l’avvocatone dei miei stivali Franco Sammarco, l’esito non può che essere loro favorevole. Infatti la bravura di un avvocato a Cosenza non si misura dalle capacità oratorie, dalla conoscenza del codice, ma piuttosto da che tipo di intrallazzi mantiene. Più l’avvocato è intrallazzato più forte è il suo potere all’interno del Tribunale.

Molti di loro, tra cui Sammarco, con questa turpe pratica sono diventati ricchi da fare schifo. Tanto gli avvocati non sono mai, a Cosenza, passibili, di controllo fiscale. Incassano a dire basta senza mai emettere una fattura: sarebbe interessante promuovere una verifica fiscale su Sammarco. Ma tra fratelli massoni, ripeto, non si fanno questi torti.

In questo desolante quadro ecco che spuntano i novelli Sammarco, avvocaticchi come Anna Spada e Sergio Campanella, che pur di fare carriera si immolano sull’altare dell’illegalità e del leccaculismo. I due avvocaticchi sanno bene che per far “carriera” devono accriccarsi con gente come Sammarco. Che significa mettersi a disposizione degli amici degli amici.

Infatti Sammarco, che è un vigliacco, ha dato mandato ai due avvocaticchi, a cui passa qualche cliente per tenerseli buoni, di formulare un intervento contro di noi. I due però non sanno che la colpevolezza di un imputato non è tale fino al terzo e ultimo grado di giudizio. Non conoscono neanche l’ABC del loro mestiere, tanto la preparazione professionale a Cosenza non è richiesta, e scrivono che la sentenza della Ianni che ci condanna (non poteva essere altrimenti visto l’insano legame tra Sammarco e il foro di Cosenza) dice chiaro che abbiamo diffamato il loro cliente: l’avvocatone Sammarco.

Bene, e con questo? Per i due avvocaticchi che vivono delle elemosine di Sammarco, il processo a nostro carico contro il loro cliente è finito qui. Qualcuno se può, informi i due poveracci che esiste l’appello, la Cassazione, e la Corte Europea. Se fossero stati dei veri avvocati non avrebbero dovuto mai scrivere una cosa di questo tipo. E aspettare, come fanno i veri professionisti, l’esito delle varie fasi processuali prima di esprimere il loro vigliacco giudizio.

Li capisco, essere al servizio di Sammarco comporta questo. Del resto se vogliono continuare ad avere una vita e qualche soldino in tasca, Anna Spada e Sergio Campanella, devono fare quello che gli dice il loro padrone. Anche andare contro i loro principi e dignità, ammesso che ne abbiano una. E su di loro a breve vi racconterò come vivono.

Noi, per quello che da sempre scriviamo, non ci aspettiamo certo Giustizia dal Tribunale di Cosenza che ci vede come fumo negli occhi. Anche perché la parola Giustizia a Cosenza è una parola grossa, fino a che ci saranno magistrati corrotti, avvocatoni ammatassati, avvocaticchi da quattro soldi (nel senso che si vendono per pochi denari) e quaquaraquà vari.

P.S. : ovviamente il tutto fuori da ogni generalizzazione, perché esistono anche a Cosenza seri e preparati avvocati che svolgono la loro professione con onestà e dedizione. E mai venderebbero la loro professionalità.

GdD