Gratteri, Bruni e il deputato mafioso

Certo è che non vorrei essere nei panni del dottor Gratteri e ancor meno in quelli del dottor Bruni.

La responsabilità che grava sulle loro spalle è pari a quella del povero titano Atlante costretto da Zeus a reggere il mondo sulle spalle. Una responsabilità che nasce dalla fuga di notizie avvenuta qualche giorno addietro in merito a verbali che intercettano un deputato del PD che si mette a disposizione del clan Muto.

Un deputato la cui identità, seppur coperta da omissis nei verbali scappati dagli uffici della DDA, oggi, conoscono tutti. Ed è proprio questo che pone i due magistrati in una situazione a dir poco imbarazzante, oltre naturalmente a porli di fronte ad un grande problema di coscienza.

Perché questi due magistrati, così come la talpa che ha fatto arrivare i verbali alla stampa, sanno bene che la storia del deputato affiliato al clan Muto è vera. Perché è dai loro uffici che è stato “sottratto” il verbale con le intercettazioni in “viva voce” del deputato che si vanta di fare i favori al boss Muto. E loro lo hanno ascoltato in “diretta”.

Conoscono il suo nome e il livello di pericolosità di questa squallida alleanza. Sanno che per favorire il boss, il deputato non si è  fatto scrupolo di passare sulla pelle dei tanti calabresi in cerca di cure. Perché loro hanno “trascritto” le sue parole. Comprendendo bene i danni sociali e economici che questa banda di furfanti ha prodotto e continua a produrre nei nostri territori.

Gratteri e Bruni, più di tutti noi messi insieme, talpe, servizi e stampa, sono gli unici che conoscono fino in fondo la verità. E la verità è quella che si sono trovati davanti nelle loro inchieste: una cupola politica/mafiosa che governa l’intera provincia di Cosenza da oltre 30 anni.

Da noi la ‘ndrangheta non è come quella stereotipata dei libri, dei film e dei racconti: da noi si configura in maniera totalmente diversa. Potremmo chiamarla, per sintesi, mafia di stato. Una cupola composta da politici, professionisti, massoni, imprenditori, pubblici dirigenti, servitori delle stato infedeli, coperti da magistrati più infedeli di loro, che di volta in volta si avvale di organizzazioni criminali per controllare militarmente il territorio.

Una verità che i due magistrati conoscono bene, un dato, come direbbero loro, incontrovertibile. E dunque non è solo una questione di responsabilità deontologica e sociale, ma da questa storia e da come si comporteranno, passa, attraverso le loro persone, l’immagine stessa della Giustizia.

Mi chiedo come si possa sentire un magistrato che sa che chi ci amministra è un mafioso. Come in questo caso dove il principale partito che governa la Regione, il PD, ha al suo interno deputati-segretari mafiosi. Politici che determinano la nostra vita. Che prendono decisioni importanti per l’economia dei nostri territori.

Mi chiedo come possa sentirsi, un magistrato, nel sapere questo senza intervenire. Magari perché impossibilitato, oppure costretto. Mi chiedo fino a che punto, per amor di Legge e Verità, è disposto ad andare un magistrato a cui magari si impedisce, nonostante la gravità dei fatti da lui accertati, di intervenire.

Gratteri e Bruni sono disposti a sacrificare la loro carriera per compiere fino in fondo il loro lavoro, consapevoli della necessità e della giustezza, di questa azione? Oppure faranno finta di niente lasciando scemare tutto, e chi si è visto si è visto? Certo è che se dovessero scegliere questa seconda possibilità, mi verrebbe da dire: come farete a dormire la notte tranquilli, sapendo che c’è chi lucra sulla salute di una umanità che già di per se ha molti altri problemi da affrontare? Ecco perché non mi vorrei trovare nei loro panni.

GdD