Gratteri e Pignatone: c’è chi dice e c’è chi fa

Gratteri e Pignatone

A Roma è bastata una intercettazione – all’interno dell’ennesima inchiesta contro la corruzione promossa dalla procura di Roma, dove le chiacchiere stanno a zero – nella quale alcuni lestofanti, dediti da sempre alla corruzione, fanno il nome del fratello e del padre di quell’intrallazzone di Alfano, per far scoppiare il finimondo. Titoli e prime pagine di tutti i giornali. Apertura di tutti i Tg. Talk show sul tema a na lira.

La storia si riferisce ad un classico della politica nostrana, il solito familismo amorale. Posti di lavoro elargiti fuori da ogni norma e regola ad amici e parenti, nonché benefici economici di ogni sorta agli amici degli amici.

C’è da dire che il ministro amorale Alfano non è indagato nell’inchiesta romana denominata “Labirinto” condotta dal dottr Pignatone, uno che la corruzione la combatte davvero.

Giuseppe Pignatone in una foto di archivio       ANSA/STRINGER
Giuseppe Pignatone in una foto di archivio ANSA/STRINGER

Da quando è diventato procuratore a Roma ha iniziato una vera e propria guerra contro questo odioso reato, causa principale dei nostri mali. Senza mai guardare in faccia nessuno. Lavorando sodo e bene. Tant’è che tutte le sue inchieste sono sempre giunte a condanne. Non è uno che “perde tempo” a presenziare a questo o a quel convegno.

Di lui Massimo Carminati, alias Er Cecato, principale indagato nell’inchiesta “Mafia Capitale” ha detto: “Questa è una persona che non gioca. Tira brutta aria. Questo butta all’aria Roma. Ha cappottato tutto in Calabria. Non si fa ingloba’ dalla politica”. E così è stato e sta facendo anche a Roma: sta cappottando tutto.

Ha trasformato la procura di Roma, il porto delle nebbie per eccellenza, in un ufficio efficiente al servizio della Giustizia e del cittadino. E’ entrato a gamba tesa, com’era giusto che fosse, nel cuore del malaffare romano: il Campidoglio. E senza tanti riguardi, dopo una seria indagine, con tanto di riscontri e pistola fumante, senza pentiti e verbali, ha messo fine ad un sistema di corruzione che andava avanti da anni. Un apparato di sistematica corruttela, consolidato, rodato e testato, del quale tutti erano a conoscenza, ma che nessuno ha mai denunciato: sindaci, consiglieri, politici, dirigenti pubblici, giudici, poliziotti, impiegati e cittadini romani.

cinghiale alfanoTutti sapevano e nessuno parlava. Insomma, dagli scarti di questa ultima indagine targata Pignatone, l’amorale Alfano, tirato in ballo da un truffatore che potrebbe pure millantare, diventa l’argomento politico del giorno. Uno “spunto” per i legalitari in cerca d’autore a convenienza per cavalcare un tema che qualifica positivamente chi l’affronta: la lotta alla corruzione come priorità nazionale.

Un pretesto per mettersi in mostra rispetto ad un problema serio e sentito dai cittadini, qual è la corruzione in Italia, giusto per darsi un tono, salvo poi dimenticarsene quando si tratta di fare leggi e praticare Giustizia. Un problema di cui tutti si lamentano ma che nessuno affronta mai seriamente.

Certo, la discussione politica su Alfano, sull’opportunità o meno di sue eventuali dimissioni dalla carica di ministro, ci sta tutta. Perché, anche se non risulta indagato, c’è da dire che questo modo di intendere la politica come proprietà privata, sta ad Alfano come il cato sta alla corda. Del resto, si sa che Alfano, come tutto il suo microscopico partito, è da sempre dedito al familismo amorale, al clientelismo, al favoritismo: questo fa parte del loro dna politico.

Prova ne è il fatto che Alfano potrebbe smarcarsi elegantemente da questa storia smentendo pubblicamente che sia il padre che il fratello non hanno mai “favorito nessuno”. Ma questa frase ancora non l’ha pronunciata. Preferisce, alla verità, farsi blindare dal PD. Segno evidente di coda di paglia. Tutto questo avviene a Roma. Anche se, a guardare la “posizione di Alfano”, si deve convenire che siamo di fronte a scarti di intercettazioni, finiti alla stampa chissà come, che non hanno “suscitato” nessun interesse alla procura. Carta straccia per i pm. Roba penalmente non rilevabile. E per questo sono giorni che l’informazione discute.

Da noi, invece, dove la corruzione ha raggiunto livelli allarmanti, con l’aggravante della commistione politico/mafiosa, non succede niente. Non ne parla mai nessuno. Mai un titolo di giornale, una inchiesta, qualche arresto, una velina, un post su feisbuk.

occhiutomannapaoliniIn procura a Cosenza non c’è traccia di procedimenti penali che riguardano la corruzione nella pubblica amministrazione. Eppure, a differenza della storia di Alfano, a Cusenza, a voler fare un paragone, è successo di tutto: pentiti a dire basta che hanno riempito verbali con nomi e cognomi di politici quali Occhiuto, Principe, Manna, Greco, Paolini ma anche consiglieri, assessori, avvocati, giudici, imprenditori, mafiosi, poliziotti, carabinieri.

Pentiti che affermano di aver contrattato voti, in cambio di favori e appalti. Cose che i cosentini conoscono bene.

Nessuno di buon senso, a Cosenza, affermerebbe mai il contrario, e cioè che la corruzione da noi non esiste. Ciononostante, nessuno a livello nazionale ha ripreso queste intercettazioni, questi verbali, queste indiscrezioni. Niente titoli, niente Tg, niente di niente, solo le nostre farneticazioni. Ho capito che i chiamati in causa non sono “appetibili” come un ministro dell’Interno, ma parliamo sempre di una potente “cupola” che conferma il teorema della mafia di stato. Roba di non poco conto.

Cosenza è l’emblema di come funziona la filiera del malaffare a livello istituzionale. Svelare questo sistema significa lanciare un forte segnale all’Italia delle piccole città, dove la corruzione dilaga proprio perché tutti i “responsabili” delle istituzioni (procuratore capo, questore, prefetto, dirigenti e tutto il cucuzzaro) sono “facilmente avvicinabili”. In provincia si ama il quieto vivere. E poi, si sa, da noi nessuno viene a ficcare il naso. Siamo talmente sfortunati rispetto all’esigenza di giustizia che abbiamo che da noi non ci sono neanche i legalitari in cerca d’autore, disposti a fare un po’ di caciara, giusto per farsi vedere. Niente.

Siamo assuefatti alla corruzione, al malaffare e alla mancanza di Giustizia, così come lo erano i cittadini romani prima dell’arrivo di Pignatone, che anche quando carta canta, pensiamo subito: tanto non succede niente, tutto come sempre verrà insabbiato, è la prassi.

pignatone-gratteri-28x28Non abbiamo fiducia più di nessuno, nemmeno del dottor Gratteri, che tanto ha detto e scritto sulla corruzione amministrativa, ponendola senza mezzi termini come la madre di tutte le nostre sciagure, che da quando si è insediato, seppure un tempo breve, non ha ancora lanciato, come ha fatto Pignatone, un messaggio di tranquillità che la giustizia farà il suo corso, ai cittadini onesti.

Un messaggio di speranza e di vicinanza, in una terra dove la solidarietà funziona a gettone, che in tanti si aspettano ma che ancora non è arrivato.

GdD