Stasera alle 19 al Teatro Massimo di Cagliari, il regista Riccardo Milani presenterà il docufilm “Nel nostro cielo un rombo di tuono” sulla vita del grande Gigi Riva, che oggi compie 78 anni. E lui, da sempre schivo e riservato potrebbe assistere alla prima, come affermato a l’Unione Sarda in edicola oggi. “Non lo so, credo che deciderò all’ultimo momento – ha affermato – Ho paura di commuovermi al punto da non riuscire a vedere tutto il documentario. Certo questa è una giornata ricca di emozioni: il film, il compleanno e perché no, potrei anche decidere di andare a festeggiare assieme alla mia famiglia e agli amici più stretti dal mio amico Giacomo Deiana“. Riva poi spiega come il regista sia riuscito a convincerlo a partecipare al film: “Lui ha alle spalle una lunga carriera professionale. È venuto a casa mia, me ne ha parlato, anche se è un’idea che covava da tanto tempo e, alla fine io ci sono stato. Racconterà gli stati d’animo, le difficoltà, le paure, ma anche le emozioni della mia infanzia e adolescenza, quello che ho provato e vissuto prima di arrivare in Sardegna sono parte di me”.
Di seguito, un bel “ritratto” di Gigi Riva firmato da un grande del giornalismo sportivo italiano, Roberto Beccantini.
di Roberto Beccantini
E’ ancora là: con i suoi amori, con le sue cicatrici, con il suo orgoglio. I compleanni ondeggiano sempre tra borotalco e rotocalco. Spiegare Riva ai giovani è un piacere e un onore. Perché Gigi Riva è stato, a mio avviso, il più grande attaccante italiano del Dopoguerra. Ha portato il Cagliari allo scudetto (1970), è stato campione d’Europa nel 1968 e vice campione del Mondo in Messico, nel ‘70. Detiene ancora oggi il record di gol in Nazionale: 35 in 42 partite.
Tre volte capocannoniere, in serie A ne realizzò 156, e chissà quanti ne avrebbe segnati se solo avesse potuto contare sul liberismo normativo degli ultimi anni: dal mani-comio al fuorigiochicidio, dagli autogol estinti al potere che la Fifa sfilò ai difensori per offrirlo ai cacciatori, di frodo e non.
Portava il numero undici, sinistro fino al midollo, Gianni Brera lo ribattezzò Rombo di Tuono. Per come tirava, per come riempiva il cielo delle partite. Non un lampo: un tuono. Definirlo attaccante è riduttivo. Riva era l’attacco. Lo copriva tutto, per tutti. Era, quel Cagliari, il Cagliari di Manlio Scopigno detto il filosofo. Un sabato sera entrò nella camera in cui Riva, Enrico Albertosi, Bobo Gori e Cesare Poli stavano giocando a poker. Fumavano come turchi. Il sabato sera. La vigilia della partita. Il massimo della trasgressione. “Disturbo se fumo?”, chiese Scopigno. E il giorno dopo il Cagliari vinse, naturalmente.
Uomo tutto d’un pezzo, e non tutto d’un prezzo, Riva. Rifiutò le offerte di Gianni Agnelli, le lusinghe di Moratti padre. Nato lombardo, diventò sardo e sordo alle sirene del buon ritorno. Giocava di forza, in acrobazia, faceva perno sul corpo di coloro che lo marcavano per liberare i gomiti, per armare il tiro. Era forte di piede e di testa. La rovesciata contro il Lanerossi Vicenza, la sgrullata in tuffo contro la Germania Est emergono dalle scartoffie della memoria. Storia, non cronaca.
Foto LaPresse
Ai suoi tempi, il pallone rotolava a ritmi meno ossessivi. Alla Nazionale, Gigi trovò il tempo – e i “complici” – per sacrificare entrambe le gambe: il portiere del Portogallo, Americo, gli spezzò il perone sinistro nel 1967, allo stadio Olimpico di Roma; il terzino austriaco Hof gli tranciò il perone destro nel 1970, al Prater di Vienna.
Orfano di padre a nove anni, e di madre quando partì per Cagliari: “Cosa vuoi che ti dica? Che dedico il gol alla Sardegna o all’Italia se gioco in Nazionale? Ma non facciamo ridere: io non ho nessuno a cui dedicare nulla. Segno per dovere”, confessò a Gianni Mura. Scrivendo di Gigi Riva, del suo coraggio e della sua scorza, mi viene in mente Osvaldo Soriano. Fieri, solitari y final: li immagino così, i 78 anni di questo guerriero, prigioniero-padrone dei suoi silenzi. E, dunque, libero.
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