“Il Potere in Italia: da De Gasperi a questi qua”: Giacomo Mancini

FOTO DI ERCOLE SCORZA

“Giacomo Mancini ? Un grande leader, un politico di razza”.
Il bel ritratto, tutto da leggere, del Vecchio Leone socialista, vergato dall’acuto giornalista di razza e scrittore Filippo Ceccarelli.

”… L’altro grande leader del Psi era Giacomo Mancini, che alla congiura dei quarantenni del Midas e alla successiva elezione di Craxi aveva dato qualcosa di più del proprio avallo, fino a essere identificato nel ruolo di “Craxi driver”.

Un politico di razza, figlio d’arte, dotato di testa lucidissima e generosa temerarietà, di cui i democristiani avevano fatto le spese tanto nella sua Calabria quanto al governo, dove se l’erano, sempre, trovato disposto a piantare ogni sorta di grane ;, un personaggio non di rado sprezzante e spesso provocatorio, con quella sua placida voce, lievemente nasale, entro cui prendevano corpo parole affilatissime e soluzioni al tempo spesso imprevedibili e spiazzanti. “Uno che-ha scritto di lui Giampiero Mughini-spostava l’aria, quando si muoveva”.

Il capo piegato da una parte, l’inseparabile fazzoletto bianco in mano, quando “Giacomino” si metteva in testa una riforma scolastica, una vaccinazione obbligatoria, una vaccinazione obbligatoria, una commissione d’inchiesta sul SIFAR, un dispetto da fare a Cefis, un’autostrada Salerno-Reggio Calabria, una poltrona di vicepresidente in qualche ente pubblico, ecco, non sentiva ragioni. Non avesse avuto il pessimo carattere, che aveva, e le rabbie e i rancori, e quell’aria, che ti diceva, in ogni momento: “o con me o contro di me”, forse, Mancini avrebbe resistito un po’ di più all’onda d’urto del craxismo. Ma non sarebbe stato lui.
Fu un cozzo duro e breve, se si vuole, reso ancora più intenso dalla circostanza che, sul piano della linea politica e delle alleanze-quando queste cose contavano-Bettino e Giacomino la pensavano, più o meno, allo stesso modo.

Al di là dell’indole, si avvertiva nel “Califfo della Calabria Saudita” quella disposizione d’animo libertaria e anti-statalista, che il Psi doveva all’originaria commistione con gli anarchici e che lo portò a proteggere anche un sacco di gruppettari-alcuni dei quali piuttosto malintenzionati- e a detestare, d’istinto, “greche ed ermellini”, quindi generali, magistrati, prefetti, questori, poliziotti, carabinieri, vigili urbani, chiunque, insomma, indossasse una divisa e rappresentasse, ai suoi occhi, l’ordine costituito.

Era il classico personaggio ammirevole, che a Montecitorio passeggiava, per il Transatlantico, occhieggiando qua e là e trasmettendo, come un fremito, all’altezza del gomito, forse a causa delle troppe battaglie, che aveva sostenuto.
Quella con Craxi la perse quasi subito. Ma, al dunque, non fu solo uno dei pochissimi socialisti, che continuò a criticare il Capo, negli anni dell’apoteosi. Ma anche l’unica delle sue vittime, che fece a tempo a presentargli il conto, con la terribile testimonianza, che rese al pool di “Mani pulite” di Milano”.

Filippo Ceccarelli, nel librone, edito da Feltrinelli, “Invano. Il Potere in Italia, da De Gasperi a questi qua”.