Quando la conca di Cosenza era “in fondo al mar” (di Claudio Dionesalvi)

di Claudio Dionesalvi

Circa tre milioni e mezzo di anni fa, dove oggi si fondono il Crati e il Busento, c’era il mare. Per la precisione, questo lembo di terra si trovava sul fondale. Poi per effetto dei grandi cambiamenti che da sempre sconvolgono il pianeta, il panorama è mutato. Emergendo dagli abissi, sospinto in alto dallo slittamento delle placche tettoniche, il fondale marino s’è fatto collina, conca, altopiano, trascinando con sé le creature acquatiche che su di esso avevano cessato di vivere per poi tramutarsi in fossili. Se li si vuole scovare, basta fare una passeggiata sul greto dei due fiumi, in alcuni angoli che i geologi, riservati come raccoglitori di funghi, non vogliono rivelare. Saltano fuori conchiglie, gasteropodi, antichissime forme viventi pietrificate, sia marine che terrestri.

Chissà come doveva essere la Cosenza del pliocene! Di pesci che ossessivi vanno su e giù per la sua via principale, è piena pure oggi. Forse anche in quell’era remota nuotavano avanti e indietro, percorrevano vasche, alcuni tronfi, altri caracollanti ammiravano preziose ostriche perlifere senza neanche poterle sfiorare. Monotona scorreva la vita dei polpi che rovistavano grotte e scogliere alla ricerca di cibarie, esperienze sessuali forti e qualche viscida alga dal potere anfetaminico. Tra le specie ittiche, il compito di mantenere pulita l’acqua, dirigere il traffico e riqualificare il fondale, era affidato al tonno: concreto, utilitarista, tutto sommato un po’ scemo nell’aspetto ma astuto nel tessere convenienti amicizie. Solida la sua alleanza con i feroci megalodonti, i più grandi di tutti gli squali mai esistiti. Il tonno non ricorreva a loro per distruggere, bensì per costruire: ogni qualvolta dovesse realizzare una nuova barriera corallina, l’equivalente di un odierno stadio o un parcheggio, s’affidava a questi giganteschi predatori per il reperimento di preziosa materia prima e manodopera scadente.
Non di rado ci s’imbatteva nel pesce-cinghiale che grazie alle sue presunte doti taumaturgiche e alla capacità di scavare tane abitabili da altre specie, s’attorniava di pesciolini più piccoli, a lui legati da opportunistica fedeltà, vincolati da battesimi, a tratti parassiti, comunque attendenti quando non addirittura asserviti.
Così si consumavano il tempo e le esistenze in quel mondo arcaico. All’epoca come oggi, non era per niente dolce il naufragar in questo mare.

grazie a Giovanni Salerno, map designer
fotografie di Francesco Gagliardi