La guerra per scippare il reddito ai disoccupati

(DI ROBERTO ROTUNNO E GIACOMO SALVINI – ilfattoquotidiano.it) – Il decreto del Primo Maggio rischia di diventare un boomerang per il governo di Giorgia Meloni. Nel Consiglio dei ministri convocato simbolicamente nel giorno della Festa dei lavoratori sarà approvato un provvedimento che riforma il Reddito di cittadinanza istituito dal governo Conte-1 (Lega-M5S) e prevede il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori. Ma, nonostante da metà marzo circolino e siano state pubblicate le bozze del decreto, nel governo si sta consumando uno scontro politico tra la Presidenza del Consiglio e il ministero del Lavoro sulla riforma del reddito e tra la Lega e Fratelli d’Italia sulla possibilità di aumentare le pensioni minime.

Il tema di scontro più rilevante riguarda il Reddito di cittadinanza. Da metà marzo sui giornali sono circolate due bozze sulle nuove misure per sostituire l’assegno – la prima si chiamava “Mia”, la seconda si divide tra le sigle “Pal”, “Gal” e “Gil” – ma in realtà il testo non è ancora chiuso. Manca l’accordo politico. Dopo che la bozza di Mia era stata pubblicata a marzo sul Corriere della Sera, Meloni aveva deciso di commissariare la ministra del Lavoro Marina Calderone accusata di avere un atteggiamento “troppo soft” e avocare a sé il dossier, affidandolo al fedelissimo Giovanbattista Fazzolari e all’ufficio legislativo di Palazzo Chigi.

Lo scontro Meloni contro Calderone sul sussidio

Lo scontro riguarda la categoria degli occupabili. Calderone, che da mesi ripete di non voler “lasciare indietro nessuno”, vorrebbe che dal primo gennaio 2024 chi può lavorare possa chiedere l’assegno ancora per un anno per un totale di 350 euro al mese a condizione di attivarsi con corsi di formazione. Linea contestata da Fazzolari. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, fedelissimo di Meloni, invece vuole un taglio netto. E sta provando a imporlo modificando l’ultima bozza del testo: il suo obiettivo è quello addirittura di eliminare il sostegno per tutti gli occupabili dal 2024. Lasciando quindi una forma di sostegno (Pal) solo per chi perderà il reddito da agosto e fino a fine anno e per gli inoccupabili (Gil). Una posizione che però non è condivisa da Calderone, che sta provando a far capire a Palazzo Chigi che “lasciare 400 mila persone per strada diventa un problema sociale”.

Ma Fratelli d’Italia non è d’accordo con la ministra e manifesta sempre più irritazione per il suo operato. Un dirigente di rilievo del partito di Meloni, che chiede l’anonimato per parlare del dossier, attacca duramente Calderone: “Questa non è una questione di dettagli tecnici, ma di linea politica: lei è favorevole o contraria al Reddito di cittadinanza? Se si è contrari, il reddito va abolito e basta. La ministra Calderone deve metterselo bene in testa: noi abbiamo preso i voti con quella proposta e adesso non possiamo cambiare idea”.

Quella del taglio netto del reddito dal 2024 è la strada che predilige Fazzolari, mentre l’ipotesi di compromesso potrebbe essere quella di mantenere l’assegno con criteri più stringenti – chi si attiva veramente per cercare lavoro – o anche ridurlo solo per pochi mesi e non più un anno. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha l’obiettivo di “fare cassa” per trovare entrate, è d’accordo mentre lo è un po’ meno il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Quest’ultimo è l’esponente di riferimento del mondo cattolico a Palazzo Chigi e in queste ore ci sono pressioni della Comunità episcopale italiana (Cei) per evitare di lasciare senza un sostegno 400 mila persone, dice un esponente di governo. Anche Matteo Salvini sarebbe favorevole. Perché il leader della Lega, con la sponda di Forza Italia, chiede di recuperare dei fondi per far inserire nel decreto un aumento delle pensioni minime. Ma non ci sono soldi: a disposizione per il taglio del cuneo ci sono 3,5 miliardi ed è già considerato il minimo indispensabile. Invece, spiegano da FdI, per le pensioni minime servirebbero 4/5 miliardi.

Dati Perché è un errore punire gli occupabili

Le ipotesi sul tavolo quindi restano diverse. La prima è l’abolizione totale dal 2024 per gli occupabili. La seconda è che la Gal resti da 350 euro al mese, purché questi si attivino per trovare un posto (come, non è ancora chiaro). La speranza è che molti non lo facciano e questo produca risparmi di spesa. Un’altra ipotesi consisterebbe nel ridurre il periodo di fruizione. A prescindere da quale opzione avrà la meglio, la traduzione pratica dell’esigenza propagandistica di punire gli occupabili sarà più complessa. Vediamo perché.

Tanto per cominciare, la perdita del sussidio in caso di mancata partecipazione alle attività di inserimento, o di rifiuto di un’offerta, è sempre stata prevista dalla legge sul Reddito di cittadinanza sin dal 2019. Semmai la difficoltà è stata applicarla perché i centri per l’impiego sono in affanno e con poco personale. Secondo la bozza del decreto, saranno ritenuti occupabili i beneficiari senza disabili, minori e anziani in famiglia. Ma non solo: anche chi ha queste categorie nel proprio nucleo, e riceve la Garanzia per l’inclusione (Gil), potrà essere obbligato a seguire corsi e accettare proposte di assunzione, purché ricorrano altri presupposti. Bisognerà intanto capire se la condizionalità sarà uguale o – vista la presenza di persone fragili in queste famiglie – sarà meno severa di quella imposta a chi non ha figli o anziani ai quali badare.

L’ultimo aggiornamento Anpal, di dicembre 2022, dice che, su 725 mila persone tenute al patto per il lavoro, solo 335 mila sono state prese in carico, il 42%. Questo non significa che il 58% restante possa essere automaticamente sanzionato: tutt’altro. In quel gruppo ci sarà chi non ha firmato il patto poiché ancora non convocato dai centri per l’impiego, chi non l’ha fatto per i tempi burocratici, altri che magari avevano una giustificazione. Le verifiche competono ai centri stessi, non sempre in grado di portarle a termine in breve. E poi ci sono i percettori che, a prescindere, sono comunque attivi “privatamente” sul mercato del lavoro, cioè lo cercano (e spesso lo trovano) senza l’aiuto dei centri per l’impiego; sarebbe paradossale punirli. Uno studio Anpal dimostra che i servizi pubblici aumentano di pochissimi punti percentuali la possibilità di trovare un posto. Se invece vincesse l’ipotesi di riduzione della durata, si rischierebbe di non fare in tempo a prenderli in carico prima della scadenza. La materia è complessa, la casistica varia, l’errore è voler racchiudere una simile utenza in grandi categorie.