La Rai costretta a risarcire la famiglia di Oliviero Beha: ennesima figuraccia del “servizio pubblico”

Oliviero Beha non c’è più. Il giornalista è morto qualche anno fa, ma è comunque riuscito a vincere una battaglia personale che conferma una volta di più come il suo modo di fare giornalismo fosse veramente libero (ma quando “libero” non è una parola banale o scontata). Spesso, infatti, è “entrato dentro” vicende delicate senza condizionamenti ed è stato per questo fatto fuori o ridimensionato. E’ il caso di Calciopoli. La Rai lo aveva “ridimensionato” e lui non era stato a guardare. Oggi, dopo anni di processi, l’emittente televisiva è costretta a risarcire la famiglia del giornalista per 180 mila euro.

A raccontare la storia nel dettaglio è un suo collega, Angelo Forgione, che ha voluto mettere in risalto la storia di un giornalista con la “G” maiuscola. Riproponiamo integralmente l’intervento di Forgione.

Leggete con un po’ di pazienza questa notizia che sostanzialmente nessuno ha dato, a cominciare dalla Rai, in un paese in cui il giornalismo di inchiesta, quella vera, taglia le gambe a chi la fa. E se poi provi a scoperchiare il pentolone del calcio… Era deceduto da quattro mesi, Oliviero Beha quando la Corte di Appello di Roma, nel settembre del 2017, aveva condannato la Rai a versare 180mila euro alla sua famiglia, riconoscendo che il giornalista era stato demansionato dall’azienda tra il 2008 e il 2010, anni di fuoco del processo a Calciopoli, pur avendo un contratto da caporedattore con Rai Sport. La causa, ovviamente, l’aveva intentata lui da vivo, perché, più che demansionato, era stato proprio neutralizzato, escluso dall’attività redazionale e relegato a compiti marginali.

Dopo quella sentenza, la Rai avrebbe potuto evitare di ricorrere in Cassazione, come richiesto dalla segreteria della Commissione di Vigilanza Rai, così rispettando la memoria di un professionista scomparso e ormai non più fastidioso. Sarebbe stato un gesto di rispetto, se non di scuse, per la memoria del giornalista e per la sua famiglia, ma l’Azienda decise di proseguire la sua squallida battaglia.

Un paio di giorni fa è giunta la sentenza della Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso della Rai e ha confermato la sentenza d’Appello del 2017. Inutile dire che si tratta di servizio pubblico, e pertanto i danni sono anche a carico dei contribuenti, ma il vero problema è etico, e attiene al diritto allo svolgimento dell’esercizio informativo, nonché al dovere, quello a cui la Rai non ha ottemperato, anche evitando di informare sull’esito della causa stessa. Trovare la notizia sul web non è facile, e dispiace che Beha non abbia mai potuto vedere riconosciute giudiziariamente le sue rivendicazioni.

Dava assai fastidio all’italico sistema la sua voce libera, senza compromessi, graffiante e per questo urticante. Un Maestro di Verità con l’etichetta di giornalista scomodo nel paese dell’ipocrisia, il più osteggiato e censurato di tutti i giornalisti italiani dell’ultimo trentennio. Il primo, in Italia, a fare inchiesta nel mondo del calcio.

La sua visione del processo a Calciopoli era scomoda e perciò era stato zittito. Per lui era una farsa per limitare i danni, e aveva perfettamente ragione, perché non era stata solo la Juventus di Umberto Agnelli e dei fidi Moggi e Giraudo a manovrare ma anche l’Inter di Moratti e Facchetti, e poi oltre.

La pensavo esattamente alla stessa maniera e perciò lo contattai nel 2014, mentre scrivevo il manoscritto per il mio futuro libro Dov’è la Vittoria sul mondo del pallone sgonfiato. Glielo feci leggere in anteprima e lui, apprezzando il complesso lavoro, mi concesse il privilegio di una sua prefazione, e anche quello di dialogare sul prezzo che pagava da tempo per raccontare la verità. Mi disse che si sentiva calpestato come professionista e come uomo. Era “serenamente” convinto di essere stato inserito in una “lista nera” di indesiderati, visto che ogni volta che veniva invitato in una trasmissione finiva per essere estromesso all’ultimo momento. Sapeva di essere boicottato dai mediocri ma potenti che lo odiavano, e mi fece anche qualche nome… di donna… che gli aveva vietato l’accesso in redazione.

Le sue difficoltà erano antiche, nate addirittura negli anni Ottanta, quando Eugenio Scalfari lo aveva imbavagliato a La Repubblica perché aveva pubblicato le prove raccolte sul pareggio combinato tra Italia e Camerun ai Mondiali in Spagna, quelli che avevano dato gioia alla Nazione. Aveva fatto causa al giornale e l’aveva vinta, ma lo avevano fatto a pezzi ed era stato costretto a lasciare in cambio di un lauto risarcimento per chiudere la vicenda. Il suo avvocato gli aveva detto di non proseguire la battaglia, perché altrimenti il danaro a lui spettante sarebbe finito nelle tasche di qualche giudice da comprare per metterlo a tacere.

Con tenacia, aveva ricominciato, ed era riuscito ad approdare in Rai senza alcuna spintarella, ottenendo nel tempo pure la nomina a vicedirettore di RaiSport. Non direttore perché non era raccomandato da nessun politico, lui che era inviso a certi poteri e ai consigli d’amministrazione. Era stato imbavagliato anche lì, dove gli avevano spento la radio che aveva fatto per dodici anni (Radio Zorro e Radio a Colori) con i massimi risultati di ascolto e gradimento. Aveva fatto causa all’Azienda, che, nel 2004, era stata condannata in sede civile per la forzata inattività.

Stessa musica nell’aprile 2007, quando alla Rai era stato disposto di impiegare Beha “in maniera adeguata alla carica di vicedirettore”. Macché! I vertici di Viale Mazzini avevano continuato a ignorare la sentenza, concedendogli il contentino di una striscia domenicale di due minuti alla fine del Tg3 delle 19. L’aveva sfruttata analizzando a modo suo le vicende torbide di Calciopoli, appunto. Scomodo anche così, molto scomodo, pur già degradato a caporedattore, e neanche quello spazio di approfondimento aveva potuto conservare. Lo avevano zittito di nuovo, spostandolo su un binario morto della redazione.

Ma lui non si era arreso, e oggi, anche da morto, ha vinto pure quest’ultima battaglia. Me ne rallegro profondamente anch’io, perché ero evidentemente un suo fan, per il suo modo di raccontare non solo le verità del calcio. Lo aveva chiaramente capito, lui che di prefazioni ne scriveva difficilmente, e perciò, quando mi consegnò quella scritta per il mio libro, mi dedicò una semplice ma lusinghiera riga privata: “Come leggerai, sono un tuo fan, sia pure ragionato”. Ed è, quel “ragionato”, una medaglia che sempre porto orgogliosamente al petto, mostrandola a quei ronzini con i paraocchi che, quando parlo di calcio manipolato, mi danno del complottista.